30 Ottobre 2018

Martedì XXX Settimana T. O


Oggi Gesù ci dice: “Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.” (Salmo Responsoriale). 

Vangelo secondo Luca 13,18-21: Israele, i profeti, i giusti avevano atteso con trepidazione il Regno di Dio: era il sogno di tutti, il sogno di ogni uomo, ma le legioni romane avevano travolto tutto, avevano piegato con la violenza ogni resistenza e la pace era stata imposta con le armi. Quando tutto sembrava perduto, nella pienezza del tempo (Gal 4,4), Gesù, il missionario del Padre, viene ad annunciare la buona novella, cioè l’avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino (Mc 1,15), è vicino, non possiede gli alamari della potenza romana, è un piccolo seme. Un piccolo seme che può crescere e diventare gigantesco, sconvolgente, immenso e straordinario. Per entrare nel regno e per farlo crescere fino ai confini della terra (At 1,8) bisogna farsi piccoli, occorre farsi seme, lievito, ma il seme deve cadere a terra e morire (Gv 12,24), e il lievito deve impastarsi con la farina. È in questo annichilimento che sta nascosto il tutto, lo straordinario, l’inaspettato, l’assoluto! Il seme diventa albero perché la nostra piccolezza, la nostra limitatezza, il nostro “niente” viene innaffiato dalla potenza di Dio (2Cor 12,9). Ora nel nascondimento, in attesa che giunga alla perfezione, il regno di Dio vive di speranza, e nella luce del Risorto si fa segno di realtà lontane, ma già vicine: è vicino il grande giorno del Signore, è vicino e avanza a grandi passi (Sof 1,14).

 Parabola del grano di senape - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Nonostante tutti gli ostacoli frapposti dagli avversari a Gesù e la crescente ostilità contro di lui, il regno di Dio si sarebbe affermato in tutta la sua magnificenza. L’umiltà e l’insignificanza della sua opera costituiva per i giudei motivo di scandalo. Gesù assicura ai presenti nella sinagoga l’esito positivo della sua missione per l’instaurazione definitiva del regno di Dio. Questa parabola e la seguente, che Luca deriva dalla fonte Q, formano una coppia; nella prima entra in scena un uomo, nella seconda una donna. Entrambe sono riportate anche da Matteo con il medesimo ordine nel discorso in parabole (13,31-32.33); Marco riproduce solo la prima (4,30-32), in dipendenza da una tradizione diversa. Nel contesto lucano entrambe le parabole alludono alla vittoria di Gesù contro Satana: la guarigione della donna curva (vv. 10-17) costituiva «il presagio del futuro trionfo del Regno di Dio inaugurato real­mente, anche se in piccolo, da Gesù» (Rosse, p. 544).
Le presuppone che Gesù stia insegnando nella sinagoga (cf. v. 10). L’evangelista, nella prima parabola, più che sul contrasto tra la piccolezza del granello di senapa e la magnificenza della pianta, pone l’accento sulla crescita continua (cf. «crebbe e divenne albero»). Probabilmente intende riferirsi al successo dell’attività missionaria e alla progressiva dilatazione della chiesa, nella quale si manifestava in forma incoativa il regno di Dio operante nel mondo. La dimora degli uccelli tra i rami dell’albero allude simbolicamente alla conversione dei pagani e alla loro aggregazione alla comunità messianica.

Il granello crebbe e divenne un albero - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): vv. 18-19 La breve parabola, narrata anche dagli altri due Sinottici, trova in Luca un’esposizione ancora più concisa ed una pointe differente; nel terzo vangelo infatti il contrasto tra la piccolezza del seme e lo sviluppo rigoglioso di esso è passato sotto silenzio. Luca insiste sull’idea della crescita, più che su quella della differenza tra i modesti inizi e la esuberante espansione del regno di Dio (cf. Mt., 13,31-32; Mc., 4,30-32 e relativo commento). Nel suo giardino; elemento descrittivo proprio del racconto lucano con il quale l’autore abbellisce l’immagine.
20-21 Testo parallelo a Matteo, 13, 33; Luca introduce la parabola richiamando la formula usata in quella precedente (cf. vers. 18); questa formula comune stabilisce un nesso più stretto tra le due immagini. Probabilmente, dato l’intimo legame esistente nel terzo vangelo tra le due parabole, il paragone del lievito accentua la stessa idea esposta in quello del chicco di senape, l’idea cioè che il regno dei cieli possiede una forza intrinseca di espansione. In Matteo invece le due parabole illustrano due verità distinte: la prima indica la forza vitale di espansione; la seconda invece, la forza di penetrazione e di trasformazione dell’intera massa di farina.
     
A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? - Daniel Sesboüé (Parabola in Dizionario di Teologia Biblica): Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo che anch’esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la ricettività diversa degli uditori. Perciò Gesù, nella prima parte della sua vita pubblica, raccomanda a suo riguardo il «segreto messianico», posto in cosi forte rilievo da Marco (1,34.44; 3,12; 5,43 ...).
Perciò pure egli ama parlare in parabole che, pur dando una prima idea della sua dottrina, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente comprese. Si perviene cosi a un insegnamento a due livelli, ben sottolineato da Mc 4,33-34: il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vite, il pastore, le semine ...) mette sulla buona strada l’insieme degli ascoltatori; ma i discepoli hanno diritto a un approfondimento della dottrina, impartito da Gesù stesso. I loro quesiti ricordano allora gli interventi dei veggenti nelle apocalissi (Mt l3,10-l3.34s.36.51; 15,15; cfr. Dan 2,18ss; 7,6). Le parabole appaiono cosi una specie di mediazione necessaria affinché la ragione si apra alla fede: più il credente penetra nel mistero rivelato, più approfondisce la comprensione delle parabole; viceversa, più l’uomo rifiuta il messaggio di Gesù, più gli resta interdetto l’accesso alle parabole del regno. Gli evangelisti sottolineano appunto questo fatto quando, colpiti dalla ostinazione (indurimento) di molti Giudei di fronte al vangelo, rappresentano Gesù che risponde ai discepoli con una citazione di Isaia: le parabole mettono in evidenza l’accecamento di coloro che rifiutano deliberatamente di aprirsi al messaggio di Cristo (Mt 13,10-15 par.). Tuttavia, accanto a queste parabole affini alle apocalissi, ce ne sono di più chiare che hanno di mira insegnamenti morali accessibili a tutti (cosi Lc 8,16ss; 10,30-37; 11,5-8).

Il regno di Dio nella predicazione di Gesù - B. Klappert (Regno in Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento): Il regno di Dio è trascendente e soprannaturale: proviene solo da Dio, solo dall’alto. Ma allo stesso tempo è completamente immanente. Dove arriva il regno di Dio, là gli affamati vengono saziati, gli afflitti consolati (Mt 5,3-10: le beatitudini), si amano i nemici (Mt 5,38-42) e sull’esempio degli uccelli del cielo e dei fiori del campo non ci si preoccupa più del cibo o del vestito (Mt 6,25-33). Anche qui solo la persona di Gesù può rendere presente il regno di Dio che deve venire, nelle cui parole e opere la sovranità di Dio è un fatto concreto. Il regno è già qui in quanto Gesù cerca la compagnia dei pubblicani e dei peccatori e siede con essi a tavola e a essi dichiara il perdono dei peccati. Come colui che ha preparato il pranzo invita a tavola i mendicanti e i senza tetto (Mt 22,1-10), come l’amore del padre riaccoglie il figlio perduto (Lc 15, 11-32), come il pastore va in cerca della pecora smarrita (Lc 15,4-7), come la donna ricerca la moneta perduta (Lc 15,8-10), come il padrone dà per sua bontà la paga completa agli operai dell’ultima ora (Mt 20, 1-15), così Gesù va verso i peccatori, per dichiarare loro il perdono, «poiché è per essi il regno dei cieli» (Mt 5,3). Solo i peccatori, coscienti di grosse colpe (Lc 7,41-43), sono in grado di misurare il significato del perdono, della bontà di Dio, perché «non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mc 2, 17).
La caratteristica della predicazione di Gesù sul regno di Dio non consiste dunque nel fatto che Gesù abbia portato una nuova dottrina circa il regno di Dio, oppure radicalizzato le attese escatologico-apocalittiche, bensì nel fatto che egli ha creato un rapporto inscindibile tra il regno di Dio e la sua persona. L’aspetto nuovo della predicazione del regno di Dio da parte di Gesù « è lui stesso, semplicemente la sua persona» (Schniewind).

La concezione cristiana del Regno - Bruno Maggioni: Nella concezione cristiana il Regno è al tempo stesso presente e futuro. E già presente nella storia, ma - come dicono le parabole - è un seme posto sotto le zolle. Il presente è il tempo in cui il Regno matura nel segreto della terra.
Importante è ricordare che la pienezza futura non costituisce un regno diverso da quello che è apparso in Gesù. I tratti fondamentali della sua figura - la dedizione, la misericordia, l’universalità - non sono semplicemente i connotati della fase terrena del Regno, ma della sua natura permanente. “Venga il tuo Regno” non esprime il desiderio di una seconda venuta del Signore che capovolga lo stile della prima, sostituendo la dedizione e l’amore con la potenza e la gloria. “Venga il tuo Regno” è il desiderio della piena manifestazione di colui che è già venuto. Ma la medesima invocazione dice anche un’altra importante verità: è il Regno che viene, non l’uomo che lo costruisce, anche se - ovviamente - occorre l’accoglienza da parte dell’uomo. È Dio il protagonista del Regno, non l’uomo. Il Regno è di Dio (il tuo Regno), non cosa dell’uomo. All’uomo spetta accoglierlo, non progettarlo. Dio è il signore del mondo, non l’uomo né la Chiesa. E perciò la prima conseguenza è che l’attesa del Regno dovrà anzitutto esprimersi nel non fare del mondo la nostra proprietà. Le parabole evangeliche sul Regno mostrano che il vero protagonista è il seme, non il seminatore (Mc 4). E la parabola della zizzania nel campo di grano dice che il giudizio sull’appartenenza al Regno spetta a Dio, non agli uomini (Mt 13,24-30). Già la predicazione di Gesù, e successivamente la coscienza della comunità cristiana, hanno messo in luce che fra la Chiesa e il Regno ci sono profonde e strette correlazioni. Tuttavia le due realtà non sono sovrapponibili. La Chiesa non si identifica con il Regno, tanto che prega: “Venga il tuo Regno”. Neppure però sem­plicemente lo annuncia e lo propone. Ne è la storica anticipazione. Il Regno sovrasta la Chiesa almeno in due direzioni: perché abbraccia tutta l’azione di Dio presente nel mondo, non soltanto quella nella Chiesa e attraverso la Chiesa; e perché la sua pienezza è alla fine, quando Cristo sarà tutto in tutti.  

È simile a un granello di senape - Benedetto XVI (Angelus, 17 Giugno 2012): [...] il granello di senape, considerato il più piccolo di tutti i semi. Pur così minuto, però, esso è pieno di vita; dal suo spezzarsi nasce un germoglio capace di rompere il terreno, di uscire alla luce del sole e di crescere fino a diventare «più grande di tutte le piante dell’orto» (cfr Mc 4,32): la debolezza è la forza del seme, lo spezzarsi è la sua potenza. E così è il Regno di Dio: una realtà umanamente piccola, composta da chi è povero nel cuore, da chi non confida nella propria forza, ma in quella dell’amore di Dio, da chi non è importante agli occhi del mondo; eppure proprio attraverso di loro irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è apparentemente insignificante.
L’immagine del seme è particolarmente cara a Gesù, perché esprime bene il mistero del Regno di Dio. Nelle due parabole di oggi esso rappresenta una «crescita» e un «contrasto»: la crescita che avviene grazie a un dinamismo insito nel seme stesso e il contrasto che esiste tra la piccolezza del seme e la grandezza di ciò che produce. Il messaggio è chiaro: il Regno di Dio, anche se esige la nostra collaborazione, è innanzitutto dono del Signore, grazia che precede l’uomo e le sue opere. La nostra piccola forza, apparentemente impotente dinanzi ai problemi del mondo, se immessa in quella di Dio non teme ostacoli, perché certa è la vittoria del Signore. È il miracolo dell’amore di Dio, che fa germogliare e fa crescere ogni seme di bene sparso sulla terra. E l’esperienza di questo miracolo d’amore ci fa essere ottimisti, nonostante le difficoltà, le sofferenze e il male che incontriamo. Il seme germoglia e cresce, perché lo fa crescere l’amore di Dio. La Vergine Maria, che ha accolto come «terra buona» il seme della divina Parola, rafforzi in noi questa fede e questa speranza.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  La Vergine Maria, che ha accolto come «terra buona» il seme della divina Parola, rafforzi in noi questa fede e questa speranza.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...