26 Ottobre 2018

Venerdì XXIX Settimana T. O


Oggi Gesù ci dice: “Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Vangelo). 

Dal Vangelo secondo Luca 12,54-59: Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?: il rimprovero che Gesù muove alle folle è molto severo. “L’accusa d’ipocrisia implica un’ignoranza colpevole, dovuta alla cattiva volontà: i giudei avevano la possibilità di discernere il tempo decisivo (kairós) della salvezza nella sua missione, ma non lo fecero «perché non vogliono decidersi a convertirsi, ma continuare la loro vita» [Stoger, I, p. 336]” (Angelico Poppi). Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui..., nel Vangelo di Matteo (5,25-26) l’ammonimento di Gesù ha un’applicazione sociale, cioè come i fratelli della comunità devono riconciliarsi e regolare le loro questioni, qui, nel Vangelo di Luca, invece assume una portata escatologica: il giudizio di Dio è vicino, bisogna affrettarsi a mettersi in regola.

Gesù, si rivolge alla folla partendo da elementi ben sperimentabili. In Palestina, le grandi piogge vengono da sud-ovest, dal mare; lo scirocco, dal sud, porta il caldo.
Con profonda amarezza Gesù deve costatare che la folla, pur essendo ben preparata a cogliere i cambiamenti climatici, non è affatto capace di rilevare la presenza in mezzo ad essa di Colui che ha disposto con sapienza «l’avvicendarsi dei tempi e delle stagioni» (Prefazio V Domenica T. O.).
Colui, per mezzo del quale «sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili» (Col 1,16), vero Dio e vero Uomo (cfr. Gv 1,14; Rom 9,5), è «disceso sulla terra» (Ef 4,9) ed è decisivo ai fini della salvezza pronunziarsi su di lui. È di massima urgenza perché è in gioco la salvezza, la decisione non va presa secondo preconcetti e velleità che nulla hanno a che fare con un giusto giudizio (cfr. Lc 4,16-30).
Questa incapacità è anche ipocrisia perché i segni, attraverso i quali dare un giusto giudizio, nella vita di Gesù sono evidentissimi: «Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre» (Gv 10,36-38). Respingendo Gesù, gli uomini si perdono senza speranza; peccano contro la verità. È il peccato contro lo Spirito Santo che non sarà perdonato né in questo secolo, né in quello futuro (cfr. Mt 12,32).

I segni dei tempi - Hugues Cousin (Vangelo di Luca): Gesù si rivolge allora alle folle, in scena a partire da 12,1; a eccezione di una messa in guardia contro la cupidigia, illustrata da una parabola (12,13-21), non ha ancora rivolto ad esse la parola. Lo fa adesso, e con tono severo. A differenza dei discepoli, le folle non si sono ancora rese conto che con la venuta di Gesù il tempo era radicalmente mutato, che si era entrati nel tempo della fine.
Come tutti i contadini, quelli di Galilea non si sbagliano a prevedere il tempo che farà; le loro previsioni non hanno nulla da invidiare a quelle del meteorologo. Come mai allora non sono in grado di interpretare adeguatamente i segni dei tempi (vv. 54-56)? L’apostrofe «Ipocriti!» dimostra che Gesù vede in loro degli uomini senza fede né legge, degli empi e dei dissimulatori. Mette così il dito su ciò che impedisce loro di «capire questo tempo», di interpretare nel suo giusto valore la venuta della fine e quella dell’inviato di Dio. Ognuno dovrebbe però essere in grado di giudicare da se stesso, di rispondere adeguatamente alla sfida e alla gravità dell’ora, senza aver bisogno di una parabola di Gesù che gli spieghi quello che è opportuno fare (w. 57-59)! Noi ci troviamo nella situazione di un uomo che sta per comparire in giudizio; viste le conseguenze prevedibili di un vero e proprio giudizio, egli ha tutto l’interesse a sistemare per tempo la faccenda con il suo avversario e a riconciliarsi al più presto con lui. Il tempo che rimane per sfuggire al meccanismo giudiziario è quello del percorso da compiere per arrivare in tribunale. Tale è l’urgenza della conversione.
Questa parabola implica un altro insegnamento, in sottordine. Il radicale mutamento di vita richiesto inesorabilmente dall’ora ha una forma assai concreta e quotidiana: riconciliandomi con colui che fino a quel momento consideravo mio nemico, dimostro di aver preso coscienza della qualità, radicalmente nuova, del tempo iniziato da Gesù.

Ipocriti! - Mario Galizzi (Vangelo secondo Luca): Ecco l’accusa che lancia contro di loro. Qui però non si tratta dell’ipocrisia denunciata in 12,1; il senso della parola è qui quello originale, la cui vera traduzione è questa: Commedianti. Sembra che Gesù non riesca a capire chi sono in realtà; cambiano aspetto ogni giorno come fanno i commedianti sulla scena, sono volubili, sempre indecisi sul da farsi. Sanno determinare con certezza dai segni naturali che tempo farà, ma non si sforzano di capire che il tempo di Gesù è quel momento storico in cui Dio chiama tutti alla conversione. E Gesù, trattandoli da adulti, fa loro una domanda: «Come mai non giudicate voi stessi ciò che è giusto?».
Li invita, come ha fatto con i discepoli (12,1), a non lasciarsi influenzare dai farisei, a prendersi il proprio peso di responsabilità in quel preciso momento storico, e poi parla loro del giudizio, appellandosi alla loro esperienza. Quando uno li vuole trascinare in tribunale per qualsiasi motivo, che cosa è meglio fare? La soluzione migliore è di mettersi d’accordo con il proprio avversario, cioè cercare la riconciliazione, la pace, la concordia. 
Con abilità, senza che se ne accorgessero, ha di nuovo insegnato loro un modo per convertirsi. Chi infatti vive la riconciliazione e si sforza di costruire una società di fratelli, non solo ha capito quel che è giusto fare, ma lo fa. E già entrato in sintonia con Gesù; ha capito che il tempo più adatto per convertirsi è quello in cui ha sentito risuonare la Parola e subito l’ha messa in pratica.
La conversione urge «oggi» e quello che capita ogni giorno è tante volte simile ai fatti che ora si raccontano nel Vangelo (13,1-5).

Ipocriti! - Xavier Leon-Dufour:  1. Il formalismo dell’ipocrita. - L’ipocrisia religiosa non è semplicemente una menzogna; essa inganna gli altri per acquistarne la stima mediante atti religiosi la cui intenzione non è semplice. L’ipocrita sembra agire per Dio, ma di fatto agisce per se stesso. Le pratiche più raccomandabili, elemosina, preghiera, digiuno, sono in tal modo pervertite dalla preoccupazione di «farsi notare» (Mt 6,2.5.16; 23,5). Quest’abitudine di mettere una disarmonia tra il cuore e le labbra insegna a velare intenzioni malvagie sotto un’aria ingenua, come quando sotto pretesto di una questione giuridica si vuol tendere un’insidia a Gesù (Mt 22,18; cfr. Ger 18,18). Desideroso di salvare la faccia, l’ipocrita sa scegliere tra i precetti o adattarli con una sapiente casistica: può così filtrare il moscerino ed inghiottire il cammello (Mt 23, 24), o rivolgere le prescrizioni divine a profitto della sua rapina e della sua intemperanza (23,25): «Ipocriti! ben ha profetizzato di voi Isaia dicendo: questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me» (15,7).
Cieco che inganna se stessoIl formalismo può essere guarito, ma l’ipocrisia è vicina all’indurimento. I «sepolcri imbiancati» finiscono per prendere come verità ciò che vogliono far credere agli altri: si credono giusti (cfr. Lc 18,9; 20,20) e diventano sordi ad ogni appello alla conversione.
Come un’attore di teatro (in gr. hypocritès), l’ipocrita continua a recitare la sua parte, tanto più che occupa un posto elevato e si obbedisce alla sua parola (Mt 23,2s). La correzione fraterna è sana, ma come potrebbe l’ipocrita strappare la trave che gli impedisce la vista, quando pensa soltanto a togliere la pagliuzza che è nell’occhio del vicino (7,4s; 23,3s)? Le guide spirituali sono necessarie in terra, ma non prendono il posto stesso di Dio quando alla legge divina sostituiscono tradizioni umane? Sono ciechi che pretendono di guidare gli altri (15,3-14), e la loro dottrina non è che un cattivo lievito (Lc 12,1). Ciechi, essi sono incapaci di riconoscere i segni del tempo, cioè di scoprire in Gesù l’inviato di Dio, ed esigono un «segno dal cielo» (Lc 12,56; Mt 16,1ss); accecati dalla loro stessa malizia, non sanno che farsene della bontà di Gesù e si appellano alla legge del sabato per impedirgli di fare il bene (Lc 13,15); se osano immaginare che Beelzebul è all’origine dei miracoli di Gesù, si è perché da un cuore malvagio non può uscire un buon linguaggio (Mt 12,24.34).
Per infrangere le porte del loro cuore, Gesù fa loro perdere la faccia dinanzi agli altri (Mt 23,1ss), denunziando il loro peccato fondamentale, il loro marciume segreto (23,27s): ciò è meglio che lasciarli condividere la sorte degli empi (24,51; Lc 12,46). Qui Gesù si serviva indubbiamente del termine aramaico hanefa, che nel Vecchio Testamento significa ordinariamente «perverso, empio»: l’ipocrita può diventare un empio. Il quarto vangelo cambia l’appellativo di ipocrita in quello di cieco: il peccato dei Giudei consiste nel dire: «Noi vediamo», mentre sono ciechi (Gv 9,40).

Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato... - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Luca presuppone l’inflessibile procedura giudiziaria romana. Chi non veniva alla transazione con l’avversario prima del processo, doveva affrontare tutta la trafila delle disposizioni previste dal codice penale, con il rischio di finire in prigione.
L’applicazione è trasparente. Gesù invita il popolo d’Israele ad approfittare del tempo propizio della sua presenza e attività, che ancora Dio nella sua bontà gli accordava per la conversione. Finché gli era concessa tale opportunità, i giudei dovevano decidersi per il regno e riconciliarsi con Dio. L’evangelista rilegge in senso parenetico questo appello escatologico di Gesù, secondo una prospettiva individuale dell’escatologia: è necessario che ognuno si penta prima della morte, per non subire la condanna eterna: dopo la sentenza non c’è più spazio per la misericordia, ma la giustizia segue inesorabilmente il suo corso.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Io, Paolo,  prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.  (Cf I Lettura).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio...