16 Ottobre 2018

Martedì XXVIII Settimana T. O


Oggi Gesù ci dice: “Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro” (Vangelo). 

Dal Vangelo secondo Luca 11,37-41: Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo: Gesù contestando le esteriorità religiose, come le abluzioni prima dei pasti e la distinzione tra cibi puri e impuri, vuole insegnare ai suoi discepoli che niente è profano, se non le azioni cattive che provengono dal cuore malvagio: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo» (Mc 7,20). Ma bisogna stare attenti che questa libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la conoscenza, stare a tavola in un tempio di idoli, la coscienza di quest’uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni sacrificate agli idoli? Ed ecco, per la tua conoscenza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello (1Cor 8,9-13).

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo - Enciclopedia del Cristianesimo: Farisei: Corrente religiosa del giudaismo sorta probabilmente al tempo dei maccabei (II sec. a.C). I farisei venivano chiamati con questo nome (in ebraico ferushim: separati) perché formavano un gruppo caratterizzato da una scrupolosa osservanza della Torà, letta, meditata, amata quale espressione della volontà divina, e da una rigida separazione da quanti non aderivano agli stessi principi. Mentre i sadducei, classe sacerdotale legata al Tempio e fortemente ellenizzata, si richiamavano unicamente all’autorità della Scrittura, i farisei accettavano accanto a essa l’interpretazione della legge data dalla tradizione orale (la Torà orale, ritenuta rivelata diretta
mente a Mosè sul Sinai), credevano all’immortalità dell’anima, alla risurrezione dei corpi, all’esistenza degli angeli. Politicamente moderati, non condividevano l’atteggiamento degli zeloti, gruppo che si ribellava alla dominazione romana e che prese parte attiva alle rivolte che ebbero luogo in Palestina a partire dal 66 d.C. Dopo la distruzione del Tempio per mano dei romani (70), scomparsa la classe sacerdotale, i farisei divennero le guide spirituali del popolo ebraico. Gesù, che pure nella sua predicazione fa propri alcuni temi cari ai farisei, critica severamente il legalismo e l’ipocrisia di molti di loro (cfr. Mt 6,1-2.5.16; 23,23.13-14.15.23-24). Va ricordato, tuttavia, che questi testi rispecchiano la situazione di forte tensione tra il nascente cristianesimo e il giudaismo e tendono ad accentuare le differenze, le opposizioni, mettendo in guardia contro la tentazione del fariseismo, inteso in accezione negativa, come ipocrita legalismi» sempre incombente anche all’interno della comunità cristiana.

Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Prima del pranzo non si era lavato; il Maestro, prima di prendere il pane non aveva compiuto le abluzioni rituali in uso presso gli Ebrei (cf. Mc., 7,2). Per il fariseo il fatto costituiva una palese infrazione alla legge; per questo se ne stupì; il testo tuttavia non dice se il fariseo abbia espresso il suo disappunto in pubblico. Si noti che lo stupore è causato dalla mancata abluzione delle mani; nel versetto seguente non si parlerà della purificazione delle mani, bensì di altri precetti concernenti la purità legale; ciò dimostra che la pericope non rispecchia una situazione storica ben precisa.
Ma il Signore gli disse; il discorso che si apre con una osservazione abbastanza pacata, prenderà in seguito un tono di polemica e di aperta riprovazione. L’intera sezione, caratterizzata da questa formula introduttiva, è parallela a quella di Matteo, 23,1-36; in Luca essa è molto più sommaria e l’ordine delle invettive è differente; tuttavia questo evangelista ha cercato di distinguere nel discorso due parti: l’una in cui raccoglie le invettive contro i Farisei (Lc., 11,39-44), l’altra nella quale riferisce le minacce dirette contro i dottori della legge (Lc., 11,46-52). La divisione non è assoluta, poiché alcune invettive rivolte ai Farisei valgono anche per i dottori della legge, loro maestri e guide religiose, e varie minacce pronunziate contro i dottori della legge interessano anche gli ebrei in genere (cf. verss. 47,49-51). Luca, nel presente discorso, usa la stessa fonte dalla quale dipende anche Matteo; egli tratterà nuovamente dello stesso soggetto in altra parte del suo vangelo (cf. Lc., 20,45-47), in quest’ultimo passo tuttavia l’autore segue Marco. Matteo ha fuso insieme le due fonti: la fonte che egli ha in comune con Luca e la fonte di Marco. Più volte Luca ritorna sullo stesso argomento in contesti differenti: in uno segue Matteo; nell’altro, Marco (cf. Lc., 10,2; 17,22).Purificate la parte esterna della coppa e del piatto; nessun rimprovero era stato rivolto al Maestro per la mancata purificazione delle mani; Gesù quindi parla perché ha conosciuto gli intimi pensieri dei suoi commensali (cf. Lc., 7,40; 11,17). Il testo accenna alla purificazione delle stoviglie, non già all’abluzione delle mani; questa interruzione di nesso nello sviluppo del racconto costituisce un indizio che il passo risulta da un lavoro redazionale dell’autore. Gesù ricordando ai Farisei di essere così solleciti e zelanti per l’osservanza delle purificazioni degli oggetti (stoviglie), li rimprovera implicitamente della loro esteriorità religiosa. Ma il vostro interno è pieno di...; in Luca si ha una correzione del testo di Matteo, che nel versetto parallelo, parla del contenuto della coppa e del piatto «[i quali] all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza»; Mt., 23,25); il terzo, evangelista rompe il parallelismo tra le due parti del versetto riferendo l’espressione all’animo dei Farisei che è pieno di desideri malvagi. In Matteo è meglio conservata la forma originale delle parole di Gesù.

La purità - Ladisla Szabò: La purità, concetto comune alle religioni antiche, è la disposizione richiesta per avvicinarsi alle cose sacre; pur potendo implicare in via accessoria la virtù morale opposta alla lussuria, essa non è procurata da atti morali, ma da riti, la si perde per contatti materiali, indipendentemente da ogni responsabilità morale. Ordinariamente questo concetto primitivo tende ad approfondirsi, ma lo fa in modo vario, secondo i diversi ambienti di pensiero. Secondo la fede biblica, che crede buona tutta la creazione, la nozione di purità tende a diventare interna e morale, fino a che Cristo ne fa vedere la sorgente unica nella sua parola e nel suo sacrificio.
Vecchio Testamento - I. LA PURITÀ CULTUALE 1. Nella vita della comunità santa. - Senza rapporto diretto con la moralità, la purità assicura l’attitudine legale a partecipare al culto od alla stessa vita ordinaria della comunità santa. Questa nozione complessa, sviluppata specialmente in Lev 11-16, appare attraverso tutto il Vecchio Testamento. Essa include la pulizia fisica: allontanamento di tutto ciò che è sudicio (immondizie: Deut 23,13ss), malato (lebbra: Lev 13-14; 2Re 7,3) o corrotto (cadaveri: Num 19,11.14; 2Re 23,13s). Tuttavia la discriminazione tra animali puri ed impuri (Lev 11), sovente desunta da tabù primitivi, non si può spiegare con il solo motivo dell’igiene. Essa costituisce una protezione contro il paganesimo: poiché Canaan era contaminato dalla presenza dei pagani, i bottini di guerra sono votati all’anatema (Gios 6,24ss) e gli stessi frutti di questa terra sono proibiti durante i tre primi anni del raccolto (Lev 19,22ss). Taluni animali, come il maiale, sono impuri (Lev 11,7), indubbiamente perché i pagani li associavano al loro culto (cfr. Is 66,3). Essa disciplina l’uso di tutto ciò che è santo. Tutto ciò che riguarda il culto deve essere eminentemente puro e non può essere indebitamente avvicinato (Lev 21; 22; 1Sam 21,5). D’altra parte, sacro e impuro sono ugualmente intoccabili come se fossero carichi di una forza terribile e contagiosa (Es 29,37; Num 19). Poiché le forze vitali, fonte di benedizione, erano considerate come sacre, si contraevano immondezze sessuali anche con il loro uso moralmente buono (Lev 12; 15). 2. Riti di purificazione. - La maggior parte delle impurità, quando non spariscono da sole (Lev 11,24 s), sono cancellate con l’abluzione del corpo o degli abiti (Es 19,10; Lev 17,15s), mediante sacrifici espiatori (Lev 12,6s) e, nel giorno delle espiazioni, festa della purificazione per eccellenza, mediante l’invio nel deserto d’un capro simbolicamente carico delle impurità di tutto il popolo (Lev 16). 3. Rispetto della comunità santa. - Alla base di questa nozione ancora molto materiale della purità appare l’idea che l’uomo ha una tale unità, che non si possono dissociare il corpo e l’anima, e che i suoi atti religiosi, per quanto spirituali, restano incarnati. In una comunità consacrata a Dio e desiderosa di superare lo stato naturale della sua esistenza, non si mangia qualunque cosa, non si tocca tutto, non si fa un uso qualsiasi delle potenze generatrici della vita. Queste molteplici restrizioni, forse arbitrarie all’origine, hanno avuto un duplice effetto. Esse preservavano la fede monoteistica da ogni contaminazione dell’ambiente pagano circostante; inoltre, assunte per obbedienza a Dio, costituivano una vera disciplina morale. Così dovevano rivelarsi  progressivamente le esigenze di Dio, spirituali.

L’elemosina: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 marzo 1979): Nella Sacra Scrittura e secondo le categorie evangeliche, “elemosina” significa anzitutto dono interiore. Significa l’atteggiamento di apertura “verso l’altro”. Proprio tale atteggiamento è un fattore indispensabile della “metànoia”, cioè della conversione, così come sono anche indispensabili la preghiera e il digiuno. Infatti ben si esprime Sant’Agostino: “Quanto celermente sono accolte le preghiere di chi opera il bene! E questa è la giustizia dell’uomo nella vita presente: il digiuno, l’elemosina, l’orazione”: la preghiera, quale apertura verso Dio; il digiuno, quale espressione del dominio di sé anche nel privarsi di qualcosa, nel dire “no” a se stessi; e infine l’elemosina, quale apertura “verso gli altri”. Tale quadro delinea chiaramente il Vangelo quando ci parla della penitenza, della “metànoia”. Solo con un atteggiamento totale - nel rapporto con Dio, con se stesso e con il prossimo - l’uomo raggiunge la conversione e permane nello stato di conversione. L’“elemosina” così intesa ha un significato in un certo senso decisivo per una tale conversione. Per convincersene, basta ricordare l’immagine del giudizio finale che Cristo ci ha dato: “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,35-40). E i Padri della Chiesa diranno poi con San Pietro Crisologo (S. Pietro Crisologo, Sermo VIII, 4): “La mano del povero è il gazofilacio di Cristo, poiché tutto ciò che il povero riceve è Cristo che lo riceve”, e con San Gregorio di Nazianzo (S. Gregorio di Nazianzo, De pauperum amore, XI): “Il Signore di tutte le cose vuole la misericordia, non il sacrificio; e noi la diamo attraverso i poveri”. Pertanto, questa apertura agli altri, che si esprime con l’“aiuto”, con il “dividere” il cibo, il bicchiere d’acqua, la buona parola, il conforto, la visita, il tempo prezioso, ecc., questo dono interiore offerto all’altro uomo giunge direttamente a Cristo, direttamente a Dio. Decide dell’incontro con lui. È la conversione. Nel Vangelo, e anche in tutta la Sacra Scrittura, possiamo trovare molti testi che lo confermano. L’“elemosina” intesa secondo il Vangelo, secondo l’insegnamento di Cristo, ha nella nostra conversione a Dio un significato definitivo, decisivo. Se manca l’elemosina, la nostra vita non converge ancora pienamente verso Dio.

L’elemosina come contrassegno delle persone pie nel Nuovo Testamento - I. Roncaglio:  Gli Atti degli apostoli evidenziano il valore dell’elemosina quale segno di distinzione delle persone accette a Dio. Il ritratto di Tabità è persino commovente: «A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità, nome che significa “Gazzella” la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni si ammalò e morì» (9,36-37). Fu chiamato Pietro: «Appena arrivato (a Giaffa) lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto, che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro» (9,39).
Anche il centurione Cornelio si distingueva per la sua generosità: «C’era in Cesarea un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte italica, uomo pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio» (10,1-2). Tanta pietà non poteva che sfociare a un traguardo di salvezza per grazia di Dio: «Un giorno verso le tre del pomeriggio vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: Cornelio! Egli lo guardò e preso da timore gli disse: Che c’è, Signore? Gli rispose: Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio» (10,3-4).
Luca intende con questo sottolineare che la più pura pietà giudaica e pagana è conservata come valore nella chiesa delle origini.
Al di là dell’aiuto materiale, però, d’inestimabile preziosità è ciò che gli apostoli donano nel nome di Cristo. Al mendicante che sedeva alla porta del tempio e chiedeva l’elemosina, Pietro dice: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (3,6).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro Padre, che scruti i sentimenti e i pensieri dell’uomo, non c’è creatura che possa nascondersi davanti a te; penetra nei nostri cuori con la spada della tua parola, perché alla luce della tua sapienza possiamo valutare le cose terrene ed eterne, e diventare liberi e poveri per il tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...