15 Ottobre 2018

Lunedì XXVIII Settimana T. O


Oggi Gesù ci dice: “Non sarà dato alcun segno a questa generazione, se non il segno di Giona.” (Vangelo). 

Dal Vangelo secondo Luca 11,29-32: Malgrado tutti i miracoli che Gesù aveva già operato, i giudei chiedono ulteriori segni. Gesù, che non ha intenzione di accontentarli, promette loro il segno di Giona. Nel Vangelo di Luca nel segno va ravvisato tutta la vicenda del profeta Giona, sopra tutto la sua predicazione, che portò i niniviti a convertirsi, procurando loro la salvezza. Ma non va trascurato un altro riferimento, certamente più importante, e cioè la permanenza del profeta nel ventre di un grosso pesce per tre giorni: Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra (Mt 12,40), e il terzo giorno con grande potenza risorgerà: ed è nella risurrezione che culminano tutti i miracoli del Vangelo. Non ci sono per noi cristiani altri segni che quello di Gesù, poiché Egli, vero Dio e vero Uomo, ha scelto di non costringere l’uomo, ma di guadagnarne l’amore morendo per lui.

Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno: Paul Ternant: Fedele alla promessa divina di un rinnovamento delle antiche meraviglie (Mt 11,4s = Is 35,5s; 26,19), Gesù moltiplica i miracoli che, pur accreditandone la parola, rientrano nello stesso tempo nei segni-avvenimenti salvifici e nella mimica profetica (cfr. Mc 8,23ss): sono soprattutto questi miracoli, uniti alla sua autorità personale e a tutta la sua attività, a costituire «i segni dei tempi» (Mt 16,3), cioè gli indizi dell’inizio dell’era messianica. Ma all’opposto di Israele nel deserto (Es 17,2.7; Num 14,22), egli si rifiuta di tentare Dio, esigendo da lui dei segni a proprio vantaggio (Mt 4,7 = Deut 6,16), e di soddisfare quelli che, avidi di prodigi spettacolari, gli domandano un segno per tentarlo (Mt 16,1ss). Così i Sinottici, eco della sua riservatezza, evitano a proposito dei miracoli di usare la parola «segni», a cui ricorrono i suoi avversari (Mt 12,38 par.; Lc 23,8). Certo Dio, fornisce dei segni dell’avvento della salvezza ai poveri, come Maria (Lc 1,36ss), o i pastori (2,12). Però non può offrire ai Giudei i segni che essi si aspettano, ciò significherebbe pervertire la sua missione. Questi ciechi dovrebbero cominciare a prestare attenzione al «segno di Giona» secondo Lc 11,29-32, cioè alla predicazione di penitenza di Gesù. Sarebbero allora in grado di decifrare i «segni dei tempi», senza pretenderne altri per convenienza, e sarebbero preparati a ricevere la testimonianza del più decisivo di essi, il «segno di Giona» secondo Mt 12,40, cioè la risurrezione di Cristo.
Ogni riserbo concernente l’uso della parola semèion scompare nella narrazione giovannea (salvo Gv 4,48), sia negli Atti che nelle lettere. Per Giovanni, la visione dei segni avrebbe dovuto indurre i contemporanei di Gesù a credere in lui (Gv 12,37-38): questi segni rendevano manifesta la sua gloria (2,11) a uomini provati (6,6), come Jahve aveva manifestato la propria (Num 14,22), imponendo al popolo la prova del deserto (Deut 8,2). Essi li preparavano così a vedere (Gv 19,37 = Zac 12,10), grazie alla fede, il segno del Trafitto elevato sulla croce fonte di vita (12,33), che realizza la figura del serpente guaritore eretta da Mosè su uno «stendardo» (Num 21,8: ebr. nes; gr. semèion; Gv 3,14), per la salvezza del popolo dell’esodo. Ai cristiani convertiti da questo sguardo di fede (cfr. Gv 20,29) e raffigurati dai Greci che chiesero di vedere Gesù (12,21.32 s), il sangue e l’acqua che sgorgano dal Trafitto (19,34) appaiono allora i simboli della vita dello Spirito e della realtà del sacrificio che ce ne apre l’accesso grazie ai sacramenti del battesimo, della penitenza, dell’eucaristia. E di questi gesti salvifici del Risorto, vero tempio da cui scaturisce l’acqua viva (2,19; 7,37ss; 19,34; cfr. Zac 14,8; Ez 47,1s), i segni anteriori di Gesù (5,14; 6; 9; 13,1-10) appariranno a loro volta le prefigurazioni.

Il segno incomparabilmente superiore a tutti gli altri segni - Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 13 Gennaio 1988): Si può dire che l’incarnazione è il “miracolo dei miracoli”, il “miracolo” radicale e permanente del nuovo ordine della creazione. L’ingresso di Dio nella dimensione della creazione si attua nella realtà dell’incarnazione in modo unico e agli occhi della fede diventa un “segno” incomparabilmente superiore a tutti gli altri “segni” miracolosi della presenza e dell’operare divino nel mondo. Anzi, tutti questi altri “segni” hanno radice nella realtà dell’incarnazione, ne irradiano la forza attrattiva, vi rendono testimonianza. Essi fanno ripetere ai credenti ciò che scrive l’evangelista Giovanni alla fine del Prologo sull’incarnazione: “Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). Se l’incarnazione è il segno fondamentale a cui si ricollegano tutti i “segni” che hanno reso testimonianza ai discepoli e all’umanità che è “giunto... il Regno di Dio” (cfr. Lc 11,20), vi è poi un segno ultimo e definitivo, al quale allude Gesù riferendosi al profeta Giona: “Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra” (Mt 12,40): è il “segno” della risurrezione.

Il segno di Giona - Arcivescovo Leonardo Sandri (Omelia, 15 ottobre 2007): Gli abitanti di Ninive, con cuore pentito, ascoltarono la predicazione di Giona. La regina di Saba dall’estremità della terra si affrettò ad ascoltare la sapienza di Salomone. Ma soprattutto siamo interpellati noi che abbiamo la grazia di poter ascoltare le parole di Qualcuno che è più grande di Giona e più sapiente di Salomone. Nella liturgia ci è dato di ascoltare le parole, vedere e rivivere i segni di quel “Figlio, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione, mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm 1,4).
Il segno unico e insuperabile, nel quale soltanto c’è salvezza, è il “segno di Giona”, reso esplicito e universale nella passione, morte e risurrezione di Gesù.
Conversione e fede annuncia Gesù all’inizio della sua predicazione: “Il tempo è compiuto, e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). La conversione è qui percepita come un atto di intelligenza, di umiltà e di penitenza. Intelligenza che porta al desiderio e alla conoscenza della verità; umiltà come quella di Salomone che ammette: “Io sono un ragazzo, non so come regolarmi” (1Re 3,7); penitenza, quale espressione del dolore del cuore per il tempo passato lontano dalla Verità.
È il Signore stesso che ancora oggi invita tutti alla conversione e alla penitenza. Nel nostro mondo mediatico, che chiede segni, che vive attraverso gli eventi e ci bombarda con un flusso ininterrotto e onnipresente di immagini, capaci ad arte di colpire la sfera emotiva, la Parola di Dio ci rivolge lo stesso invito alla conversione, al penthos, offrendoci come segno unico quello di Giona, che rimanda al Cristo morto e risorto tertia die.

La Risurrezione: CCC 992-994: La risurrezione dei morti è stata rivelata da Dio al suo popolo progressivamente. La speranza nella risurrezione corporea dei morti si è imposta come una conseguenza intrinseca della fede in un Dio Creatore di tutto intero l’uomo, anima e corpo. Il Creatore del cielo e della terra è anche colui che mantiene fedelmente la sua Alleanza con Abramo e con la sua discendenza. E in questa duplice prospettiva che comincerà ad esprimersi la fede nella risurrezione. Nelle loro prove i martiri Maccabei confessano: «Il Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (Mac 7, 9). «È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati» (2 Mac 7,14).
I farisei e molti contemporanei del Signore speravano nella risurrezione. Gesù la insegna con fermezza. Ai sadducei che la negano risponde: «Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?» (Mc 12,24). La fede nella risurrezione riposa sulla fede in Dio che «non è un Dio dei morti, ma dei viventi!» (Mc 12,27).
Ma c’è di più. Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa persona: «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). Sarà lo stesso Gesù a risuscitare nell’ultimo giorno coloro che avranno creduto in lui e che avranno mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue. Egli fin d’ora ne dà un segno e una caparra facendo tornare in vita alcuni morti, annunziando con ciò la sua stessa risurrezione, la quale però sarà di un altro ordine. Di tale avvenimento senza eguale parla come del segno di Giona, del segno del Tempio: annunzia la sua risurrezione al terzo giorno dopo essere stato messo a morte.

La risurrezione dei morti - Franco Giulio Brambilla: Il riferimento all’Antico Testamento e più in genere al contesto giudaico consente di mostrare come l’annuncio della risurrezione di Gesù si collochi sullo sfondo della fede nella risurrezione dei morti. Questa nasce in epoca piuttosto tarda, con la crisi del tempo dei Maccabei (II sec. a.C), anche se ha alcune anticipazioni importanti nel libro di Daniele (12,2-3). Il racconto dei Maccabei (2 Mac 7) fonda la fede nella risurrezione sulla potenza-fedeltà creatrice di Dio che fa risorgere i giusti che gli sono rimasti fedeli nella persecuzione (martiri). I precedenti biblici della fede nella risurrezione dei morti si trovano nel libro di Osea (6,1-3) ed Ezechiele (37,1-14): si tratta di visioni che usano un linguaggio di risurrezione per indicare la fedeltà di Dio, che fa risorgere continuamente il popolo dalle sue sconfitte.
La fede nella risurrezione dei morti poi si sviluppa e si accelera nel giudaismo ed entra in contatto con l’ellenismo e la credenza dell’immortalità dell’anima (libro della Sapienza). Su questo sfondo, la risurrezione di Gesù diventa la sorgente della risurrezione dei cristiani: è il senso del grande sviluppo del capitolo 15 sulla risurrezione della Prima lettera ai Corinzi. Paolo attraverso questa riflessione tenta di rispondere alle obiezioni dei corinzi, di mentalità greca: essi avevano difficoltà a pensare alla risurrezione del corpo e si chiedevano come fosse il corpo dei risorti. Paolo argomenta a partire dalla verità della risurrezione di Gesù, che fonda quella dei credenti, fornendo motivi presi dalla storia della salvezza e dall’esperienza degli uomini. Il discorso sulla risurrezione viene in tal modo collegato con l’attesa della sopravvivenza al di là della morte, presente in quasi tutte le culture antiche e moderne. La speranza cristiana risulta una specifica determinazione dell’universale attesa di una promessa di vita contenuta nell’umano sperare. Le attuali teologie, ispirate al tema della speranza, tentano di mediare tra la fede nella risurrezione dei morti e la speranza di salvezza finale contenuta nell’agire umano, volta a raggiungere un futuro buono e felice per l’umanità.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore. (Cfr. Sal 94,8ab)  
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che per mezzo del tuo Spirito hai suscitato nella Chiesa santa Teresa di Gesù per indicare una via nuova nella ricerca della perfezione, concedi a noi, tuoi fedeli, di nutrirci spiritualmente della sua dottrina e di essere infiammati da un vivo desiderio di santità. Per il nostro Signore Gesù Cristo...