24 Settembre 2018
Lunedì XXV Settimana T. O.
Oggi Gesù ci dice: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro” (Mt 5,16 - Acclamazione al Vangelo).
Dal Vangelo secondo Luca 8,16-18: Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso...: il mistero del regno di Dio, comunicato da Gesù ai discepoli, non deve restare nascosto, ma, dalla comunità cristiana, deve essere posto sul lampadario perché risplenda per tutti gli uomini. Tutto deve essere posto sul lampadario perché tutto quanto Gesù ha detto, ha insegnato e ha rivelato è luce, e la luce deve illuminare cuori, menti e coscienze. L’immagine della misura, a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere, pone l’accento sull’importanza delle disposizioni degli ascoltatori. Proporzionalmente all’attenzione e allo zelo con cui si ascolta la parola, Dio ricambierà con nuove rivelazioni e grazie. Bisogna accogliere con docilità la Parola che è stata piantata in noi, occorre essere di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo noi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla (Gc 1,20-25). Il cristiano è chiamato anzitutto ad ascoltare la Parola di Dio; solo dopo averla accolta con gioia nel cuore può donarla agli altri. È tutta qui la vita e la missione di ogni discepolo, di ogni comunità cristiana.
Essere luce - Il tema della luce è molto caro alla sacra Scrittura. L’essere di Dio è luce, in contrasto con l’essere umano che è tenebra. La Parola, l’insegnamento sono luce (Cf. Sal 119,5; Pr 6,23). Possiamo ricordare ancora l’invito rivolto a Israele: «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). In Is 42,6 e 49,6 Israele è chiamato «luce delle nazioni». Nel giudaismo l’immagine della luce «veniva riferita volentieri alla Legge o al Tempio, come anche ad eminenti personalità religiose. Qui si vuole insinuare che questa prerogativa passa al nuovo popolo di Dio» (Angelo Lancillotti).
Per i cristiani convertirsi dalle tenebre alla luce (Atti 26,18) per credere alla luce (Gv 12,36) è un imperativo improrogabile, così è un impegno fruttuoso quello di far risplendere la propria luce davanti agli uomini, perché vedano le loro opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli.
Essere luce della terra, ovvero camminare come figli della luce (Ef 5,9), è un servizio di alto valore costruttivo, rivolto a tutto il consorzio umano unicamente per la gloria Dio e non per amore di trionfalismo o per accaparrarsi i primi posti nella Chiesa e in mezzo agli uomini.
Luce naturale, creatura di Dio - Emanuela Ghini - Giuseppe Barbaglio (Luce in Schede Bibliche Pastorali - Vol. V): Nel racconto del Genesi, la luce è posta all’inizio della creazione come l’opera del primo giorno (Gn 1,3-5). Posta prima del sole e degli astri, che pure illuminano la terra giorno e notte (Gn 1,14-19), la luce sembra essere considerata un elemento a sé, indipendente anche dal sole (il nesso causale col sole sarà espresso più tardi: Is 60,19), in conformità anche a certe concezioni popolari.
Anche le tenebre sembrano essere considerate una «realtà», non semplice assenza di luce; esse erano la condizione originaria del creato, facenti parte della massa caotica iniziale (Gn 1,2). La luce è detta buona (Gn 1,4), ma non è detto che le tenebre siano cattive. Con la creazione della luce e la successione del giorno e della notte, esse diventano parte integrante dell’universo.
L’una e le altre sono creature di Dio, come appare per es. in Is 45,7: «Io formo la luce e creo le tenebre». Dio manda le tenebre (Sal 105,28), le svela, e nessuna tenebra può nascondere da lui (Is 29,15). Dio chiama la luce e l’invia, ed essa obbedisce tremando (Bar 3,33); essa è «la luce di Dio» (Tb 3,17). «Tuo è il giorno e tua è anche la notte» si canterà (Sal 74,16); la luce stessa e le tenebre, come gli astri (Gb 38,7), è invitata a lodare Dio (Sal 148,3; Dn 3,72). Molti corpi danno luce (sole, luna, stelle: Gn 1,14-18; Is 13,10; ecc.; il fuoco: Sap 17,5; 2Mac 1,32); ma Dio ha riservato a sé il segreto della produzione e della distribuzione della luce (Gb 38,19.24); ed egli la fa spuntare su tutti (Gb 25,3; Mt 5,45). Egli fa essere la luce e la tenebra; egli può oscurare gli occhi e rendere chiaro il buio dinanzi agli occhi dei ciechi (Is 42,16ss). Dio manda la luce, e le tenebre per lui non sono tenebre (Sal 139,11-12).
Nella Bibbia manca ogni divinizzazione della luce e le speculazioni cosmologiche su di essa. Però la posizione eminente che l’elemento naturale della luce ha nel pensiero, anche popolare, in oriente, e nell’esperienza di ognuno, appare spesso nella Bibbia. Si veda Eccle 11,7: «Dolce è la luce e agli occhi piace vedere il sole». Quando la luce appare, la terra, cioè tutti gli oggetti prima nell’ombra, acquistano il loro rilievo naturale, come l’argilla che riceve l’impronta (Gb 38,13 ebraico). Alla luce è strettamente associata la vita; «vedere la luce» è sinonimo di «essere vivo» (Gb 3,20; Sail 49,19-20); nascere è «vedere la luce» (Gb 3,16; Sal 56,14); la luce è sorgente di vita (Eccle 11,7). La vita non è vera vita se non può essere goduta e la luce designa spesso il piacere di vivere (Gb 10,22; 30,26; Sal 97,11-12; Is 45,7; 60,19-20; Am 5,18). Non vedere più la «luce di Dio» come il cieco, è pregustare la morte (Tb 5,10); il malato, che Dio ha strappato alla morte, si rallegra di vedere brillare «la luce dei viventi» (Gb 33,30; Sai 56,14).
Le tenebre invece, collegate al caos originario, indicano sventura e afflizione (Gb 17,12; 21,17; 29,3; Sal 18,28; 23,4; Is 5,30; 8,22-9,1; Sof 1,15); esse, che sono un pericolo per le creature (Gb 12,24-25; Is 59,10; Ger 13,16; 23,12; cf. Lc 22,53), sono associate alla morte: lo sheòl è triste, in esso dominano le tenebre (Gb 10,21-22), è il «paese dell’ombra» (Gb 38,17; cf. Sal 88,13; Eccle 6,4; 45,19).
La luce sul lampadario - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Oggi leggiamo la parabola-proverbio della lampada nella redazione di Luca (che è un duplicato di Mc 4,21ss).
Gesù dice alla folla: «Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce ». Cristo è la luce destinata a illuminare ogni uomo. Anche se al momento il suo messaggio attraversa una tappa in penombra, propria della notte umana dell’incredulità, un giorno si manifesterà completamente. Perché «non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce... A chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere».
La piena rivelazione della luce causerà gioia e la conoscenza esauriente dei segreti del regno per quelli che si sono aperti a Dio e alla sua parola, possedendo già ora il regno. Sono quelli che, come abbiamo visto ieri nella parabola del seminatore, producono frutto in abbondanza. Invece chi rifiuta di credere si chiude da solo l’accesso ai segreti di Dio e perderà non soltanto la gioia della luce e il frutto del raccolto, ma anche lo stesso seme del regno, come i terreni inospitali e sterili della parabola.
Confessione della fede - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Non basta aver la fede solo nell’intimo del cuore. Bisogna professarla anche apertamente. Non si accende una luce per metterla sotto il moggio o sotto il letto, ma sullo stipite, perché possa risplendere. La fede non deve tenersi nascosta e segreta. La si deve praticare alla luce del giorno. Chi nasconde la sua fede corre il rischio di perderla. Chi invece la professa crescerà in essa. La fede non è qualche cosa che si esaurisce, come l’acqua di un recipiente, ma è una fonte che zampilla sempre fresca. Essa non dice timidezza e cauto riserbo, ma esuberanza, ricchezza e quindi impegno e lavoro. La fede non appartiene solo al tempio inaccessibile del cuore, ma anche alle strade e alle piazze della vita. Essa non è solo un gioiello chiuso nello scrigno, un brillante nella sua custodia, ma è pure un ornamento che l’uomo porta visibilmente a gloria di Dio, una bandiera che sventola in vetta, qualche cosa che si pone in piena evidenza e di cui si parla senza impaccio, con naturalezza.
Luce - Wolfgang Klein: Nell’Antico Testamento è designazione dell’opera della creazione e simbolo di felicità e di salvezza. Dio dona entrambe. Luce significa anche la sua gloria e quella del mondo celeste. Il mondo dei morti è il paese delle tenebre.
L’“uomo tra due mondi” viene poi caratterizzato a Qumran mediante l’antitesi etico-cosmologica luce-tenebre (1Q 111,13). I membri della setta, in quanto “figli della luce”, nel combattimento escatologico lottano contro gli altri esseri umani, i “figli delle tenebre”. Il dualismo poggia sulla predestinazione di ogni essere umano agli ambiti luce o tenebre già prevista nel progetto creazionale di Dio; è dunque legato al concetto veterotestamentario di Dio: “Dio ha creato i due spiriti della luce e delle tenebre”, il cui campo di battaglia sono il mondo e l’uomo.
Per la comprensione del simbolismo neotestamentario della luce questi antecedenti giudaici sono importanti; Paolo estende la loro applicazione in senso etico-escatologico all’evento Cristo nella parenesi battesimale, Rm 13,11-14: luce e tenebre sono come a Qumran i due ambiti di potere nei quali si compie il cammino dell’uomo, la sua condotta di vita non per predestinazione, ma attraverso la decisione per la fede o per l’incredulità.
L’immagine della vicinanza del “giorno” è usata come motivazione per deporre le “opere delle tenebre” e rivestire le “armi della luce”. La vicinanza del ritorno significa dunque combattimento: “Questo combattimento è identico a quello tra fede e incredulità”.
In Giovanni, Cristo, la “luce del mondo” (Gv 8,12), entra nel cosmo tenebroso. Con la venuta della “vera luce”, il tempo escatologico della salvezza è diventato presente: la luce come salvezza non è più soltanto immagine, ma designa l’essenza storica del rivelatore. I concetti luce e tenebre servono a designare la discriminazione degli uomini provocata da Cristo (Gv 1,11s). Il giudizio s’identifica con la decisione per l’incredulità, la salvezza con la decisione per la fede. A partire da questo dualismo decisionale, luce e tenebre designano due modi d’esistere: “La doppia possibilità dell’esistere umano, quella a partire da Dio, o quella a partire dall’uomo”.
Il significato del “cammino” come compimento di vita è limitato, nel Nuovo Testamento, quasi esclusivamente a Paolo e Giovanni.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro” (Mt 5,16).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa’ che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…