21 Settembre 2018
Venerdì XXIV Settimana T. O.
San Matteo, Apostolo e Evangelista
Oggi Gesù ci dice: “Andate, predicate il Vangelo a tutte le genti, battezzatele e insegnate loro a osservare tutte le cose che vi ho comandato” (Mt 28,19-20- Antifona).
Dal Vangelo secondo Mt 9,9-13: Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori: lo scandalo, oltre al contatto fisico, nasceva dal fatto che i pubblicani e i peccatori erano sospettati di non osservare le numerose leggi concernenti l’alimentazione (Mc 7,3-4.14-23; At 10,15; 15,20; cfr. Gal 2,12; 1Cor 8-9, Rm 14). Ai farisei Gesù risponde ricordando loro quello che è veramente accetto a Dio: Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori. Alla pratica rigorista ed esteriore della legge, Dio preferisce i sentimenti interni di un cuore sincero e compassionevole, ardente di carità.
La vocazione di Matteo è raccontata anche da Marco (2,13-14) e da Luca (5,27-28), ma con una differenza degna di nota: nei vangeli di Marco e di Luca il nome del vocato è Levi. Le soluzioni di tale diversità sono varie: o il gabelliere aveva due nomi o Gesù gli diede il sopranome di Matteo, che significa dono di Dio, oppure, come alcuni credono, sono stati «Marco e Luca a sostituire il nome di Matteo con Levi per non offuscare la dignità di uno dei Dodici, trattandosi di un pubblicano» (Angelico Poppi). Ma, alla fine, come sostengono altri, può darsi che «si tratti effettivamente di due persone diverse, e che Levi sia stato sostituito per il ruolo che questi svolse nell’evangelizzazione delle comunità matteane, dove ebbe origine il nostro vangelo, anche se Matteo non ne fu necessariamente il redattore» (Angelico Poppi).
Il mestiere di Matteo è quello di esattore delle tasse e per questo motivo è esecrato dal popolo perché creduto ladro (Cf. Lc 3,11) e disprezzato dai Farisei i quali, considerandolo peccatore pubblico perché impuro, lo ritenevano hic et nunc un condannato alla Geenna. Forse al soldo di Erode Antipa o degli odiati Romani, Matteo, a differenza dei suoi detrattori si mostra pronto ad accogliere con gioia la parola della salvezza: è il mercante accorto che ha trovato «una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Cf. Mt 13,45-46). Per san Beda Venerabile non «c’è da meravigliarsi che un pubblicano alla prima parola del Signore, che lo invitava, abbia abbandonato i guadagni della terra che gli stavano a cuore e, lasciate le ricchezze, abbia accettato di seguire colui che vedeva non avere ricchezza alcuna. Infatti lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all’interno con una invisibile spinta a seguirlo».
La vocazione - Paolo VI (Omelia, 20 Aprile 1975): La vocazione naturale, la prima, indispensabile, estremamente ricca, denuncia tuttavia i suoi limiti, i quali, quasi per paradosso, tanto più si fanno sensibili e opprimenti quanto più vasti ed estesi ne sono i confini verso l'oceano dell'esperienza sensibile e dello scibile razionale. L'umanità per lo più vi si adatta, ma alla fine ne soffre, e piega tristemente rassegnata verso una valutazione piuttosto pessimistica sulla vita e sul Inondo. Ricordate il vanitas vanitatum dell'Ecclesiaste, che avverte, dopo averne goduto, la caducità delle cose divorate dal tempo e deprezzate dalla incapacità di saziare l'anima umana più ampia e più avida di quanto sia la loro possibilità di riempirla e di saziarla? Ed è qui spesso, nella trama della vita, anche giovanissima, Figli e Fratelli ed Amici, noi crediamo, che può avvenire la seconda vocazione dell'uomo pellegrino, la vocazione, chiamiamola così, evangelica, cioè l'ascoltazione, la folgorazione, d'una parola del Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo (Io. 15, 16).
Egli ne ha l'iniziativa; sì, ma questa è rispettosa d'una libertà che la fa decisiva. Leggete le vite dei santi, analizzate le biografie dei convertiti, ma forse anche preferite le semplici cronache di giovani, nostri coetanei, uomini o donne che siano, i quali, a un dato momento, hanno udito e capito una parola evangelica entrare, furtiva dapprima, dominatrice poi, nella loro coscienza. Non è univoco, a noi pare, il modo con cui questa presenza interiore della Parola divina agisce sopra le anime: risposta ad un premente problema spirituale? Candido sogno di santità! Balsamo confortatore ad un'afflizione inconsolabile, coraggioso rimedio ad un rimorso inquietante? Scoperta di doveri prima dimenticati? Consonanza d'un verbo evangelico con una voce umana, attuale, piangente? Non so. Il fatto è che il contatto interiore della voce del Signore con un elementare, quasi istintivo ed intimo, ma dominante pensiero del cuore ha prodotto un interrogativo, forse un tormento, un vero caso di coscienza, che la parola amorosa e discreta d'un papà, o ancor più facilmente d'una mamma pia e sagace, sa interpretare e sa fare poi esaminare dal consiglio, immancabile, d'un padre spirituale, d'un esperto amico capace di accogliere e custodire il segreto d'una decisiva conversazione: ecco, è la «vocazione»!
Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici” - Misericordiae Vultus n. 20: Nella Bibbia, molte volte si fa riferimento alla giustizia divina e a Dio come giudice. La si intende di solito come l’osservanza integrale della Legge e il comportamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da Dio. Questa visione, tuttavia, ha portato non poche volte a cadere nel legalismo, mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe ricordare che nella Sacra Scrittura la giustizia è concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio.
Da parte sua, Gesù parla più volte dell’importanza della fede, piuttosto che dell’osservanza della legge. È in questo senso che dobbiamo comprendere le sue parole quando, trovandosi a tavola con Matteo e altri pubblicani e peccatori, dice ai farisei che lo contestavano: «Andate e imparate che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. Si comprende perché, a causa di questa sua visione così liberatrice e fonte di rinnovamento, Gesù sia stato rifiutato dai farisei e dai dottori della legge. Questi per essere fedeli alla legge ponevano solo pesi sulle spalle delle persone, vanificando però la misericordia del Padre. Il richiamo all’osservanza della legge non può ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano la dignità delle persone.
Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – «voglio l’amore e non il sacrificio» (Os 6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il primato della misericordia, come Lui stesso testimonia, condividendo il pasto con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia.
Misericordia io voglio e non sacrifici - Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 2099-2100: È giusto offrire sacrifici a Dio in segno di adorazione e di riconoscenza, di implorazione e di comunione: “Ogni azione compiuta per aderire a Dio rimanendo con lui in comunione, e poter così essere nella gioia, è un vero sacrificio”.
Per essere autentico, il sacrificio esteriore deve essere espressione del sacrifico spirituale: “Uno spirito contrito è sacrificio...” (Sal 51,19). I profeti dell'Antica Alleanza spesso hanno denunciato i sacrifici compiuti senza partecipazione interiore o disgiunti dall'amore del prossimo. Gesù richiama le parole del profeta Osea: “Misericordia voglio, non sacrificio” (Mt 9,13; 12,7). L'unico sacrificio perfetto è quello che Cristo ha offerto sulla croce in totale oblazione all'amore del Padre e per la nostra salvezza. Unendoci al suo sacrificio, possiamo fare della nostra vita un sacrificio a Dio.
Il Dio misericordioso della Bibbia - Costante Brovetto: Nella Bibbia misericordia traduce il termino ebraico rahamim, che esprime tenerezza viscerale materna, affetto profondo del cuore. La fede di Israele nel Dio di misericordia si manifesta fin dagli inizi della sua storia, quando dal roveto ardente Dio dice a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido ... Sono sceso per liberarlo” (Es 3,7s.). Dio stesso si autodefinisce: “Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà” (Es 34,6s). Per il Dio dell'Alleanza la misericordia è anzitutto assoluta fedeltà a se stesso. Quando il popolo pecca, il Dio ricco di misericordia usa pazienza e, se castiga in vista della conversione, ne “soffre” egli stesso: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 1,8s.). Il pathos divino non è semplice antropomorfismo, ma rivela le libere e sovrane determinazioni con cui Dio, mosso unicamente dall'amore, si inserisce nella nostra storia. Lo cantano entusiasti i fedeli: così nel salmo 136: “Lodate il Signore perché è buone: perché eterna è la sua misericordia!”. Incessante è anche la supplica: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia!” (Sal 51,3). Dio ascolta coloro che sono in pericolo e senza difesa e li salva; è il difensore dell'orfano e della vedova; i poveri sono i suoi privilegiati. La misericordia-fedeltà divina va oltre il popolo ebraico: il libro di Giona testimonia la sollecitudine divina verso la città pagana di Ninive, poiché “la misericordia dell'uomo riguarda il prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente” (Sir 18,12).
Siate misericordiosi - J. Cambier e X. Leon.Dufour: La «perfezione» che, secondo Mt 5,48, Gesù esige dai suoi discepoli, secondo Lc 6,36 consiste nel dovere di essere misericordiosi «com'è misericordioso il Padre vostra». Una condizione essenziale per entrare nel regno dei cieli (Mt 5,7), che Gesù riprende sull'esempio del profeta Osea (Mt 9,13; 12,7). Questa tenerezza deve rendermi prossimo al misero che incontro sulla mia strada, come il buon Samaritano (Lc 10,30-37), pieno di pietà nei confronti di colui che mi ha offeso (Mc 18,23-35), perché Dio ha avuto pietà di me (18,32s). Saremo quindi giudicati in base alla misericordia che avremo esercitata, forse inconsciamente, nei confronti di Gesù in persona (Mc 25,31-46).
Mentre la mancanza di misericordia nei pagani scatena l'ira divina (Rom 1,31), il cristiano deve amare e «simpatizzare» (Fil 2,1), avere in cuore una buona compassione (Ef 4,32; 1Piet 3,8); non può «chiudere le sue viscere» dinanzi ad un fratello che si trova nella necessità: l'amore di Dio non rimane che in coloro che esercitano la misericordia (1Gv 3,17).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Tutto è grazia e come corrispondenza al dono gratuito della salvezza Dio desidera unicamente il nostro amore (Cf. Dt 6,5), come Matteo il pubblicano immantinènte gli ha dato.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nel disegno della tua misericordia, hai scelto Matteo il pubblicano e lo hai costituito apostolo del Vangelo, concedi anche a noi, per il suo esempio e la sua intercessione, di corrispondere alla vocazione cristiana e di seguirti fedelmente in tutti i giorni della nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...