18 Settembre 2018
Martedì XXIV Settimana T. O.
Oggi Gesù ci dice: “Ragazzo, dico a te, àlzati! ” (Vangelo).
Dal Vangelo secondo Luca 7,11-17: Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!»: Colui che è la Vita (Gv 14,6) e la gioia del mondo (Lc 2,10) ha compassione di una mamma che piange il suo unico figlio, e il pianto della donna nel cuore di Gesù si fa memoria di una tragedia avvenuta molti anni prima in un Giardino: Il Signore Dio disse all’uomo: con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai! (Gen 3,19). Gesù risuscitando il morto apre il cuore dell’uomo alla speranza della Vita eterna e della gioia senza fine, compiendo in questo modo la volontà del Padre: Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (Gv 6,40). Dio ha veramente visitato il mondo: il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14), e in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini (Gv 1,4).
Il Signore fu preso da grande compassione - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Il Signore... ne ebbe compassione; «il Signore» è una denominazione cara a Luca (cf. 7,19; 10,1,39,41; 11,39; 12,42; 13,15; 17,5-6; 18,6; 19,8; 22,61; 24,34). Lo storico non omette di segnalare la viva commozione provata dal Salvatore nell’apprendere i particolari di quella grave sciagura. Non piangere! L’espressione non è soltanto una formula consolatoria, ma anche un’esortazione alla speranza; queste parole preparano l’animo desolato dell’infelice donna all’intervento miracoloso di Cristo (cf. Lc., 8,52). Impressiona profondamente questo tratto evangelico che mostra Gesù così vicino al dolore umano e tanto aperto verso di esso. L’evangelista non ci informa sulla reazione psicologica che quella madre, tutta presa e chiusa nel suo indicibile dolore, ha avuto nel sentire le parole del Maestro; allo storico interessava presentare l’iniziativa compassionevole di Gesù, il quale, senza esser sollecitato, né pregato da nessuno, entra in scena con il suo potere divino per ridonare la vita ad un morto che ormai per tutti era irreparabilmente perduto.
Ragazzo, dico a te, àlzati! - Misericordiae Vultus n.8: Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr Mt 9,36). In forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle (cfr Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò la vedova di Naim che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15). Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo.
… lo restituì a sua madre - Amoris laetitia n.258: Se accettiamo la morte possiamo prepararci ad essa. La via è crescere nell’amore verso coloro che camminano con noi, fino al giorno in cui «non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4). In questo modo ci prepareremo anche a ritrovare i nostri cari che sono morti. Come Gesù restituì a sua madre il figlio che era morto (cfr Lc 7,15), similmente farà con noi. Non sprechiamo energie fermandoci anni e anni nel passato. Quanto meglio viviamo su questa terra, tanto maggiore felicità potremo condividere con i nostri cari nel cielo. Quanto più riusciremo a maturare e a crescere, tanto più potremo portare cose belle al banchetto celeste.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Fu un segno della potenza divina quando Gesù con un semplice atto della sua volontà guarì il servo del centurione romano. Ma ora Egli si trova di fronte a una situazione veramente disperata. Un giovane è morto. È figlio unico di madre vedova. Ogni filo di speranza è spezzato. Non si pensa quindi a nessun soccorso. La madre, che cammina dietro il feretro, è così presa nel suo cordoglio che non può pensare ad alcuna speranza. Il popolo si dispone per la sepoltura.
Che altro si può fare? Neanche i discepoli pensano di rivolgersi a Gesù per questo. Un cadavere non è solo un albero sfrondato, ma un albero sradicato. Non c’è nessun soccorso. Perciò questa volta l’iniziativa parte esclusivamente da Gesù. Egli ha compassione, soffre, cioè, con chi soffre. E quindi vuole aiutare. Il centurione romano ha sottolineato la potenza del comando di Gesù. Cristo fa uso qui di questa potenza. Egli comanda al morto: «Io ti dico, alzati!». C’è qualche cosa di maestoso, di imperioso in questa espressione: «Io ti dico». Cristo non si rivolge ad un altro, non domanda al Padre dei cieli, ma parla da se stesso, con la sua propria volontà, agisce con la sua propria potenza. La sua semplice parola, il suo comando « alzati » richiama il morto alla vita.
Il miracolo della risurrezione di questo morto è un prodigio talmente inaudito che gli astanti sono presi dallo sgomento. «Tutti ebbero timore». Essi hanno fede, perché lodano Dio, sono convinti che Dio ha visitato il suo popolo, che opera cioè nel suo popolo continui segni e miracoli della sua potenza. Ma questa fede è ancora insufficiente. Non arriva ad essere veramente risoluta. Il risultato sta solo nel fatto che «un grande Profeta è sorto in mezzo a noi». Essi non includono nella fede la vera essenza divina di Gesù. Questi giudei, quindi, sono indietro rispetto al pagano romano. Se Gesù è solo un grande Profeta, allora nulla di sostanzialmente nuovo si è avuto con Lui. Tutto resta conforme alla situazione avutasi finora in Israele, in cui di tempo in tempo sono sorti dei profeti. Diventa facile così prolungare la serie dei profeti. È una ripetizione, ma non è qualche cosa di nuovo. Dio quindi non ha visitato il suo popolo personalmente e immediatamente, ma come già prima, così anche ora, ha mandato solo un messaggero per mezzo del quale viene in aiuto del suo popolo. Eppure con Gesù si compie ciò che c’è di definitivamente nuovo: la conclusione di tutto quanto si è avuto finora e l’inizio di qualche cosa di completamente nuovo. I Giudei perciò hanno la fede, ma non quella che veramente si richiede. Essi lodano Dio, ma troppo poco riconoscono la sua grandezza. La risurrezione del morto dovrebbe dimostrare loro che ora si schiude una nuova vita, perché il Padrone della vita e della morte sta in mezzo a loro. Ora non si tratta più semplicemente di un nuovo anello della catena, di una nuova pagina nella storia di questo popolo, ma di qualche cosa di definitivamente diverso, di assolutamente nuovo; la risurrezione dei morti e l’inizio di una nuova esistenza.
Paul Ternant: Se molti rigettano la «testimonianza» (Gv 5,36) dei miracoli, lo fanno perché accecati (9,39; 12,40) dall’ottusità spirituale (6,15.26), o dall’orgoglio legalista (5,16; 7,49.52; 9,16), dalla gelosia (12,11), dalla falsa prudenza (11,47s). Non hanno quelle disposizioni di abbandono e di apertura a Dio che costituiscono nei sinottici la fede antecedente il miracolo (Mc 5,36; 9,23; 10,52; ecc.), e senza le quali Gesù è come impotente (Mt 13,58). Come sarebbero capaci di interpretare i «segni dei tempi» (Mt 16, 3) quegli uomini che, come Israele nel deserto e poco dianzi Satana (4,3-7), non reclamano segni che «per mettere Gesù alla prova» (16,1), e preferiscono attribuire i suoi esorcismi al demonio piuttosto che riconoscergli una potenza soprannaturale (Mc 3,22.29s par.)? Per i cuori induriti e chiusi alla parola i segni che l’appoggiano sono indecifrabili.
Questa generazione non avrà altro segno che quello di Giona (Mt 12,39s): Gesù prende appuntamento con i suoi avversari per il giorno della sua risurrezione, cioè del segno più splendido, ma anche il più facilmente contestabile da parte degli amatori di evidenza, poiché i segni per appurarlo sono soltanto indiretti (sepolcro vuoto, apparizione a qualche persona: cfr. Mt 28,13ss; Lc 24,11). Ciò che sarà per la fede l’appoggio supremo dev’essere prima la prova suprema.
La morte del cristiano - Catechismo degli Adulti: 1189: Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini. Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.
Come risusciteremo - Catechismo degli Adulti 1213-1214: Sempre il cuore dei credenti rimane proteso verso l’ultima perfezione. Non arriva però a raffigurarla nei suoi lineamenti. Il Nuovo Testamento, pur mettendo la risurrezione al centro della fede, non la descrive mai nelle sue modalità concrete. Alla richiesta esplicita: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo?» (1Cor 15,35), l’apostolo Paolo risponde che risuscitano con un corpo identico a quello attuale e nello stesso tempo diverso. Muore il chicco di grano e rinasce come pianticella. Il corpo umano, che ora è debole, corruttibile e gravato di limiti, risorgerà incorruttibile, trasfigurato dalla forza dello Spirito Santo a immagine del Cristo glorioso. La trasformazione sarà profonda, perché «ciò che è corruttibile non può ereditare l’incorruttibilità» (1Cor 15,50); tuttavia sarà proprio questo nostro corpo a rivestire l’immortalità. A motivo dell’identico soggetto personale, esso rimarrà quello di prima, nonostante il profondo cambiamento, come durante la vita terrena rimaneva se stesso nel variare della statura e nella continua sostituzione delle singole cellule.
Sebbene non si possa immaginare la condizione del corpo glorificato, tuttavia dobbiamo ritenere che essa comporti ancora un legame con il mondo materiale, anzi la perfezione definitiva del rapporto con il mondo. L’uomo e il mondo si appartengono reciprocamente; perciò la creazione sarà «liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Se accettiamo la morte possiamo prepararci ad essa.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai creato e governi l’universo, fa’ che sperimentiamo la potenza della tua misericordia, per dedicarci con tutte le forze al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…