6 Agosto 2018

Trasfigurazione del Signore


Oggi Gesù ci dice: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (Mt 17,5c).

Dal Vangelo secondo Marco 9,2-10: La trasfigurazione anticipa la gloria pasquale del Cristo. Mosè ed Elia sono i due testimoni che attestano il compimento delle promesse e l’inizio dei nuovi tempi nei quali Dio, in Cristo, avrebbe elargito a tutti gli uomini il dono della salvezza. La voce celeste indica Gesù come il Figlio di Dio: il nuovo Legislatore, il Profeta, che i discepoli dovranno ascoltare e seguire associandosi al suo destino di morte e di risurrezione.

Trasfigurazione (greco = metamorphosis) - John L. McKenzie (Trasfigurazione in Dizionario Biblico, Cittadella Editrice): Nella mitologia greca il termine indica il cambiamento di forma e di aspetto di cui si credevano capaci gli dèi. L’uso del termine per indicare l’episodio narrato in Mt 17,1-8; Mc 9, 2-8; Lc 9, 28-36 non ha relazione con il suo uso mitologico.
La rivelazione fatta a Pietro, Giacomo e Giovanni in questi passi non ha riscontri nell’Antico Testamento o nel Nuovo Testamento, ed è impossibile ricostruirla completamente. Tuttavia i temi e i simboli usati per comunicare tale esperienza sono chiari e derivati da altri passi biblici, e il significato teologico della rivelazione non è oscuro. Non è irrilevante che Lc 9,32 parli di un sonno dei discepoli, che deve essere inteso di carattere estatico. Nel suo racconto dell’episodio Mt dipende da Mc; Lc ha derivato alcuni particolari da una fonte indipendente, che alcuni critici pensano giovannea.
La collocazione dell’episodio nei tre vangeli è dopo il primo annuncio della passione, e questo è significativo: la trasfigurazione dà agli annunci della passione la necessaria spiegazione. Si deve notare che è un tema costante dei vangeli sinottici che questa spiegazione non fu compresa dai discepoli prima della risurrezione.
La trasformazione dell’aspetto di Gesù che viene descritta fa pensare alla trasformazione di cui si parla nei racconti della risurrezione e che rende difficile agli apostoli il riconoscimento del Maestro. Anche Paolo parla della trasformazione del corpo in gloria nella risurrezione (1Cor 15,40-44): è un cambiamento nello splendore della gloria di Gesù prodotta dalla contemplazione della sua gloria (2Cor 3,18).
Luce e gloria nell’Antico Testamento sono elementi della teofania, la presenza sensibile di Dio. La bianchezza di cui si parla nei tre passi è la luminosità della gloria: essa appartiene al Cristo risorto in Ap 1,14. Anche la nube è un elemento della teofania dell’Antico Testamento. La nube e le parole pronunciate dal Padre sono derivate dal battesimo di Gesù. La montagna di cui non si fa il nome sulla quale ha luogo l’episodio fa pensare alla montagna della rivelazione di Mosè, il Sinai-Horeb. Mosè e Elia rappresentano la legge e i profeti, gli scritti e la tradizione sacra di Israele che preannun­ciano la passione e la glorificazione del Messia. Lc 9,31 rende esplicito il rapporto dei due personaggi con la passione di Gesù. Le tende che Pietro vuol fare richiamano la tenda dell’Antico Testamento, il luogo in cui Yahweh abita in mezzo al suo popolo.
L’ordine di Gesù di non parlare della visione se non dopo la risurrezione (Mt 17,9; Mc 9,9) fa pensare che i discepoli non capirono la relazione tra la passione e la glorificazione di Gesù se non dopo la sua risurrezione.
La trasfigurazione è molto di più di una ripetizione del battesimo di Gesù o di un’apparizione della risurrezione messa fuori posto: è un’affermazione che il Figlio dell’Uomo anche nella sua esistenza terrena è il Figlio dell’Uomo glorioso, conosciuto nella sua gloria dopo la sua passione e risurrezione.
Seguendo l’annuncio della passione, la trasfigurazione è una rivelazione della verità che la passione è seguita dalla gloria. La pienezza di significato dell’affermazione che Gesù è il Figlio di Dio mandato dal Padre si coglie nei progressivi episodi della sua vita. Il contenuto tremendo e misterioso di questa rivelazione è tanto stupefacente da poter essere descritto solo coi termini dell’estasi e della visione. La teologia della trasfigurazione è tutt’uno con la teologia di Fil 2,6-11, in cui Paolo scruta il significato dell’annullamento di se stesso operato da Gesù, il significato del fatto che Dio abbia assunto su di sé la condizione umana. La trasfigurazione è ricordata in 2Pt 1,16-18.

La Trasfigurazione di Gesù è un mistero: (Giovanni Paolo II, Omelia, 7 marzo 1993): La Trasfigurazione di Gesù è un mistero, ma certamente attraverso questo mistero il Padre celeste che dice a Gesù: “Ecco il mio Figlio prediletto” già mostra quasi attraverso la Croce che è vicina la Pasqua di Risurrezione. Ed il futuro che deve emergere da questa Pasqua, da questa Risurrezione, da questo mistero pasquale è un futuro di trasfigurazione. La missione della Chiesa è la trasfigurazione del mondo, dell’uomo soprattutto. Questa è la sua missione, la sua lotta continua. Questa lotta evangelica si fa soltanto con le sole armi spirituali [...]. Il mondo deve essere trasfigurato ad immagine di Gesù Cristo Figlio di Dio e tutti noi in questo compito abbiamo la nostra parte, la nostra vocazione e anche così possiamo realizzare noi stessi in Cristo Gesù.

Benedetto XVI (Angelus, 4 marzo 2012): L’episodio della trasfigurazione di Cristo è attestato in maniera concorde dagli Evangelisti Matteo, Marco e Luca. Gli elementi essenziali sono due: anzitutto, Gesù sale con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte e là «fu trasfigurato davanti a loro» [Mc 9,2], il suo volto e le sue vesti irradiarono una luce sfolgorante, mentre accanto a Lui apparvero Mosè ed Elia; in secondo luogo, una nube avvolse la cima del monte e da essa uscì una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!» [Mc 9,7]. Dunque, la luce e la voce: la luce divina che risplende sul volto di Gesù, e la voce del Padre celeste che testimonia per Lui e comanda di ascoltarlo. Il mistero della Trasfigurazione non va staccato dal contesto del cammino che Gesù sta percorrendo. Egli si è ormai decisamente diretto verso il compimento della sua missione, ben sapendo che, per giungere alla risurrezione, dovrà passare attraverso la passione e la morte di croce. Di questo ha parlato apertamente ai discepoli, i quali però non hanno capito, anzi, hanno rifiutato questa prospettiva, perché non ragionano secondo Dio, ma secondo gli uomini [cfr. Mt 16,23]. Per questo Gesù porta con sé tre di loro sulla montagna e rivela la sua gloria divina, splendore di Verità e d’Amore. Gesù vuole che questa luce possa illuminare i loro cuori quando attraverseranno il buio fitto della sua passione e morte, quando lo scandalo della croce sarà per loro insopportabile. Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore» [Sermo 78,2: PL 38,490]. Cari fratelli e sorelle, tutti noi abbiamo bisogno di luce interiore per superare le prove della vita. Questa luce viene da Dio, ed è Cristo a donarcela, Lui, in cui abita la pienezza della divinità [cfr. Col 2,9]. Saliamo con Gesù sul monte della preghiera e, contemplando il suo volto pieno d’amore e di verità, lasciamoci colmare interiormente della sua luce.

Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa - Alessandro Pronzato (Un cristiano comincia a leggere il Vangelo di Marco): Strano destino quello di Pietro «progettista ». Si direbbe che non ne azzecchi una.
Traccia per Cristo una strada «diversa», non riuscendo a capire che la strada è già stata tracciata con largo anticipo da Dio.
Propone l’installazione di tre tende, senza avvedersi che la nube è più adatta allo scopo.
Interpreta la visione come un segnale di riposo (e vorrebbe organizzarsi in tal senso), mentre essa costituisce un segnale di partenza, un invito a camminare (mentre lui non è pronto).
Non dobbiamo scandalizzarci se qui viene aggiunto un altro tratto caratteristico del discepolo: oltre a essere « uno che non capisce », è anche «uno che non sa quello che dice».
No. Non è questione di umiliare il discepolo. Semplicemente, si tratta di precisare, correggere continuamente la sua posizione rispetto al Maestro.
«Ascoltatelo!». Vero discepolo è colui che sa ciò che dice il Maestro.

Venne una nube che li coprì con la sua ombra - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): … questa «nuvola» proviene direttamente dal libro dell’Esodo (assai sfruttato in tutto questo episodio). Nella sua difficile marcia nel deserto, il popolo eletto era guidato da una nube luminosa (cfr. Es 13,21ss); questa nube celeste, collegata dagli antichi al fenomeno del temporale, apportatore di fertilità, rappresentava la vicinanza di Dio al suo popolo: si tratta di un’immagine ideale per esprimere la presenza divina agli uomini, allo stesso tempo celata e rivelata. È proprio questo il caso in cui Dio affida un messaggio importante: «Questi è il mio Figlio diletto» (v. 7b). E interessante notarlo: queste parole di Dio sono rivolte ai discepoli; esse ripetono, all’incirca, quelle che hanno segnato l’investitura di Gesù durante il battesimo (1,11). In quell’occasione, il Padre insediava Gesù nella sua missione di messia; adesso che il loro maestro è stato riconosciuto come tale da Pietro e dai discepoli (8,29), essi devono accettare il più profondo mistero della sua personalità. Egli è, certo, il messia, ma anche il «Figlio diletto» del Padre. La voce celeste impegna quindi i discepoli a proseguire sul loro cammino, nella fede, fino alla scoperta della totale identità di Gesù.

Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte (2Pt 1,17-18): Catechismo della Chiesa Cattolica 444: I Vangeli riferiscono in due momenti solenni, il battesimo e la trasfigurazione di Cristo, la voce del Padre che lo designa come il suo «Figlio prediletto». Gesù presenta se stesso come il Figlio unigenito di Dio e con tale titolo afferma la sua preesistenza eterna. Egli chiede la fede «nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,18). Questa confessione cristiana appare già nell’esclamazione del centurione davanti a Gesù in croce: «Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio» (Mc 15,39); infatti soltanto nel mistero pasquale il credente può dare al titolo «Figlio di Dio» il suo pieno significato.

Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti -Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): La verità della risurrezione dei morti era già rivelata nell’Antico Testamento (cfr Dn 12,2-3; 2Mac 7,9; 12,43), e i Giudei pii vi credevano (cfr Gv 11,23-25). Non erano tuttavia in grado d’intendere la verità profonda della Morte e Risurrezione del Signore, poiché si limitavano a considerare soltanto l’aspetto glorioso e trionfante del Messia, sebbene ne fossero profetizzate anche le sofferenze e la morte (cfr Is 53). Di qui le discussioni degli apostoli che non osano interrogare direttamente il Signore circa la sua Risurrezione.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del Cristo Signore, hai confermato i misteri della fede con la testimonianza della legge e dei profeti e hai mirabilmente preannunziato la nostra definitiva adozione a tuoi figli, fa’ che ascoltiamo la parola del tuo amatissimo Figlio per diventare coeredi della sua vita immortale. Egli è Dio, e vive e regna con te...