5 Agosto 2018
XVIII Domenica T. O.
Oggi Gesù ci dice: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4 - Acclamazione al Vangelo).
Dal Vangelo secondo Giovanni 6,24-35: Alla folla, affamata di pane e di «segni» analoghi a quello della manna (6,30-31), Gesù ha manifestato il suo potere divino con la moltiplicazione dei pani (6,1-15), ai discepoli camminando sul mare (6,16-21), ora, con il discorso del pane della vita, rivela la sua identità (6,22-59). Gesù, invitando i giudei a darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, li esorta a darsi da fare a credere in Lui, pane vero disceso del cielo. Come la Sapienza invita gli uomini a mangiare il suo pane e a bere il suo vino (Cf. Pr 9,1-6; Sir 24,19-22), così Gesù invita a mangiare la sua carne, il pane vero che dà la vita al mondo e a bere il suo sangue, «versato per tutti gli uomini, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). Gesù, Sapienza increata, invita la folla a porsi alla sua sequela: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Solo Gesù può dare un cibo e una bevanda veramente capaci di donare la vita eterna, in quanto superano la fragilità temporale e creaturale.
In verità, in verità io vi dico… - Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Il Signore comincia con un rimprovero ai Giudei, che l’hanno seguito senza rettitudine d’intenzione; li prepara così a intendere la dottrina racchiusa nel discorso eucaristico. «Voi mi cercate - osserva sant’Agostino - per la carne, non per lo spirito. Quanti cercano Gesù solo per i vantaggi temporali! [...]. È difficile che si cerchi Gesù per Gesù» (In Ioannis Evang. tractatus 25.10). Ha inizio con questo versetto il Discorso sul pane di vita, che prosegue fino al versetto 59. Si apre con una introduzione a forma di dialogo tra Gesù e i Giudei (vv. 26-34), nella quale il Signore rivela di essere colui che viene a portare i doni messianici. Segue la prima parte del discorso (vv. 35-47), dove Gesù si presenta come il pane di vita, poiché la fede nella sua Persona è il cibo per conseguire la vita eterna. Nella seconda parte (vv. 48-59) Cristo svela il mistero dell’Eucaristia: egli è il pane di vita che si dona sacramentalmente quale vero nutrimento.
Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà - Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): «Datevi da fare (letteralmente: «operate, lavorate») non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, quello che il Figlio dell’uomo vi darà» (6,27). Gesù ha messo a confronto due cibi: uno che perisce, uno che è sorgente di vita eterna. E la gente, sentendo che bisogna «darsi da fare» per ottenerlo, subito pensa alle molte opere che la Legge prescriveva per avere la vita (Dt 30,15-16). La domanda che fanno a Gesù sembra ovvia: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere che Dio esige da noi?» (6,28). Com’è difficile buttare giù una mentalità legalista, una concezione della vita che impedisce all’uomo di aprirsi al «dono»! Ebbene, Gesù tenta di farlo e indica la condizione per entrare nel definitivo disegno salvifico di Dio. L’opera che Dio, oggi, esige è una sola: credere in colui che egli ha mandato (6,29). La gente capisce che Gesù sta parlando di sé e che non è possibile compiere l’opera di Dio e avere il nutrimento di vita eterna senza una totale adesione a lui per qualcosa che non può dare ora, ma che darà più tardi, quale Figlio dell’uomo (6,27). Per ora debbono credere che la darà e i segni miracolosi da lui compiuti sono più che sufficienti per dire che Dio Padre ha messo su di lui il suo sigillo (6,27). A questo punto la gente non ci sta. La posta in gioco è troppo alta. Ci vuole ben altro per credere, e glielo dicono: «Quale segno prodigioso fai tu? Puoi forse ripetere il miracolo della manna, secondo quanto c’è scritto: Diede loro da mangiare pane dal cielo?». Nel testo biblico (Es 16,15) il verbo «diede» ha come soggetto Dio. Gesù, invece, suppone «Mosè» come soggetto. Se Gesù corregge, significa che la gente lo sta mettendo a confronto con Mosè, mentre egli vuole parlare loro dell’agire di Dio (Gesù lo chiama: il Padre mio) che «vi darà il vero pane dal cielo». Potrebbe aggiungere «ve lo dà, perché Dio ha tanto amato il mondo» (Gv 3,16).
Il pane dal cielo: Ecclesia de Eucharistia n. 1: La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Con gioia essa sperimenta in molteplici forme il continuo avverarsi della promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20); ma nella sacra Eucaristia, per la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore, essa gioisce di questa presenza con un’intensità unica. Da quando, con la Pentecoste, la Chiesa, Popolo della Nuova Alleanza, ha cominciato il suo cammino pellegrinante verso la patria celeste, il Divin Sacramento ha continuato a scandire le sue giornate, riempiendole di fiduciosa speranza.
Su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo - Catechismo della Chiesa Cattolica 698: Il sigillo è un simbolo vicino a quello dell’Unzione. Infatti su Cristo “Dio ha messo il suo sigillo” (Gv 6,27), e in lui il Padre segna anche noi con il suo sigillo. Poiché indica l’effetto indelebile dell’Unzione dello Spirito Santo nei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine, l’immagine del sigillo [“sphragis”] è stata utilizzata in certe tradizioni teologiche per esprimere il “carattere” indelebile impresso da questi tre sacramenti che non possono essere ripetuti.
Su Cristo “Dio ha messo il suo sigillo” - Catechismo della Chiesa Cattolica 129: Cristo stesso si dichiara segnato dal sigillo del Padre suo. Anche il cristiano è segnato con un sigillo: “È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2Cor 1,22). Questo sigillo dello Spirito Santo segna l’appartenenza totale a Cristo, l’essere al suo servizio per sempre, ma anche la promessa della divina protezione nella grande prova escatologica.
Datevi da fare non per il cibo che non dura: Don R. Rossi: Abbiamo letto oggi l’inizio del lungo discorso rivolto da Gesù alla folla che voleva farlo re, dopo l’episodio della moltiplicazione dei pani. La reazione della gente è comprensibile, di fronte a uno che distribuisce gratuitamente da mangiare a tutti! Ma Gesù si sottrae al loro equivoco entusiasmo e in seguito prende parola per mettere in chiaro le cose. “Voi mi cercate, ma non avete capito che cosa suggeriva a proposito della mia persona il segno del pane moltiplicato”, rimprovera loro prima di tutto. Quindi prosegue, facendo riferimento a una delle preoccupazioni fondamentali della religione giudaica: “L’opera che dovete fare, non consiste nel rincorrere un cibo che perisce, ma nel riconoscere nel segno che ho compiuto l’intervento del Padre che mi indica come suo inviato. Credere in me, ecco ciò che dovete fare!” Credere in Lui? La folla è stupefatta: ha saziato la loro fame, è vero, ma come può pretendere di saziare anche il loro cuore, di colmare la loro vita? Tanto più che il pane moltiplicato non era che comune pane d’orzo: non era la manna venuta dal cielo, che Mosè aveva ottenuto da Dio nel deserto dell’esodo... “Io sono il pane della vita”: ecco finalmente la grande affermazione, la rivendicazione suprema, la verità che Gesù voleva rivelare alla folla attraverso il segno della moltiplicazione dei pani. Mentre nell’Antico Testamento la Sapienza diceva: “Quanti si nutrono di me avranno ancora fame”, Gesù ora può affermare: “Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”. Se dunque avete fame di qualcosa di diverso dal pane, se avete dentro di voi una sete inesprimibile, non limitatevi ad aspettare da Gesù un cibo che perisce. La chiave del nostro futuro è Lui, lui solo! È Lui che dobbiamo cercare, non i pani del miracolo.
In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo - D. M. Turoldo - G. Ravasi (Opere e Giorni del Signore): Gesù apre il suo discorso nella sinagoga di Cafarnao con una vigorosa contrapposizione: al «cibo che perisce» (il pane) egli oppone «il cibo che dura per la vita eterna» (il «segno», cioè il valore teologico del gesto compiuto). La stessa antitesi era stata avanzata nel dialogo con la Samaritana: all’acqua che genera ancora sete si opponeva «l’acqua che zampilla per la vita eterna» (4,14) Esiste, quindi, la lettura superficiale, anche se valida, del gesto della moltiplicazione dei pani: è quella del «presente», cioè del dono concreto, materiale e immediato che sfama un’esigenza fisica. Ma esiste pure una lettura profonda e teologica: Cristo nel battesimo ha ricevuto su di sé il « sigillo» del Padre (1,33; 10,36) ed è divenuto il Rivelatore-Salvatore per eccellenza dell’uomo intero. Questa è la lettura del «futuro» (« vi darà », v. 27) messianico che in Cristo è già iniziato. All’antitesi dei cibi segue quella delle opere (vv, 30-34). Mosè si era legittimato davanti ad Israele come profeta attraverso l’«opera » della manna; Gesù quale «opera» può addurre come testimonianza della sua missione divina? Gesù accetta la sfida e con una dichiarazione ardita proclama la sua superiorità su Mosè proprio perché la sua «opera» è testimoniata da un «pane vero, disceso dal cielo» e fonte di vita divina per il mondo intero. È il Cristo stesso questo pane che esauriste la funzione di ogni altro cibo spirituale, è lui che estingue la fame e la sete di vita che ogni uomo porta dentro di sé.
Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! - I Giorni del signore (Commento delle Letture Domenicali): Questa dichiarazione solenne costituisce un primo vertice nel discorso di Gesù che, tra i meandri della discussione, si sviluppa in maniera molto coerente e progressiva. La «manna che Dio ha dato per mezzo di Mosè rimanda a un altro cibo venuto direttamente da Dio: la su parola vivificante per la vita eterna. Gesù, il verbo fatto carne, è personalmente questo pane promesso. Per esserne nutriti, una sola condizione, che però è indispensabile: credere in lui. Come Dio al momento della rivelazione a Mosè presso il monte Oreb, egli dice «Io sono» (Es 3,14). E lo fa per invitare la folla che lo attornia a venire a lui, perché egli è in grado di soddisfare tutti i bisogni di coloro che crederanno in lui. Le parole di Gesù e i segni da lui compiuti, in particolare quello dei pani d’orzo moltiplicati, come i prodigi di Dio che accompagnarono il popolo durante l’esodo, sono inviti alla fede, al libero impegno di lui. Per comprenderne il significato, occorre lasciarsi guidare da uno «spirito rinnovato» e non dalla «della nostra mente» che non si eleva al di sopra delle realtà terrene, dell’esperienza immediata.
Il Signore non propone un insieme di dottrine o un codice di leggi, ma offre se stesso in cibo a coloro che l’accolgono nella fede. Li invita alla mensa dove egli, personalmente, è parola e pane.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6,35).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre, e assisti il tuo popolo, che ti riconosce suo pastore e guida; rinnova l’opera della tua creazione e custodisci ciò che hai rinnovato. Per il nostro Signore Gesù Cristo…