31 Agosto 2018

Venerdì XXI Settimana T. O.

 
Gesù ci dice: “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo. ” (Lc 21,36 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 25,1-13: Il cuore della parabola delle dieci vergini è la vigilanza: Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora. Ma al di là di questa indicazione, le vergini rappresentano le anime cristiane nell’attesa dello sposo, il Cristo. Anche se egli ritarda, la lampada della vigilanza deve restare pronta. Il dolce dormire è preludio di una rovinosa tragedia: alla fine della vita, al nostro continuo bussare, lo Sposo risponderà: «In verità io vi dico: non vi conosco». Non possiamo farci illusioni: «Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo.» (Gal 6,7-9).

Felipe F. Ramos: La parabola si riferisce alla seconda venuta di Cristo e descrive la situazione di coloro che vivono, nella speranza, il tempo intermedio fra la risurrezione e la parasta del Signore (per la precisione del significato di «parusia», conviene ricordare quello, che abbiamo detto nel commento a 24,4-13). Il contesto nel quale Matteo ha inquadrato la parabola mette in chiara evidenza la sua intenzione; e, come se questa non fosse abbastanza chiara, aggiunge le parole finali: «Vigilale, perché non sapete il giorno né l’ora» (v. 13). Per comprendere questa parabola, dobbiamo partire dal presupposto che il regno dei cieli non è paragonato a dieci vergini, ma alla celebrazione solenne d’un banchetto nuziale, solennità che è messa in evidenza all’ultimo momento. È un banchetto nel quale la fine del mondo e il giudizio finale hanno un ruolo decisivo anche se, naturalmente, non esclusivo (ma ora si fa riferimento a quel momento). Per questo il regno può essere paragonato alla sala del banchetto nella quale entrano le vergini sagge. L’introduzione della parabola potrebbe dunque essere questa: «Avviene del regno dei cieli quello che avviene di dieci vergini... invitate a un banchetto nuziale».

Presso gli Ebrei le nozze venivano celebrate di notte. Il buio della notte era rischiarato da torce e da lampade ad olio portate dagli invitati. La sposa, nella casa del padre, in compagnia di giovani non maritate, attendeva la venuta dello sposo. Nel racconto di Gesù lo sposo arrivò in ritardo, per cui l’olio delle lampade incominciò a scarseggiare. Solo coloro che avevano portato olio in abbondanza furono in grado di rifornire le lampade e di accogliere lo sposo.
Le dieci vergini sono presentate con un aggettivo, cinque sono dette stolte, insensate, moraì; e cinque sagge, accorte, frónimoi.
L’aggettivo moròs, nella terminologia biblica, non indica soltanto lo sciocco, ma anche l’empio che è così insensato da opporsi alla legge di Dio e giunge fino a negare l’esistenza di Dio. Ecco perché nella sacra Scrittura, il «concetto di stolto acquista il significato di empio, bestemmiatore [passi tipici sono: Sal 14,1 e 53,2; però anche Sal 74,18.22; Gb 2,10; Is 32,5s; cf. Sir 50,26]. Lo stolto si ribella a Dio, distrugge in pari tempo la comunità umana: fa mancare il necessario agli affamati [Is 32,6], accumula ricchezze ingiuste [Ger 17,11] e calunnia il suo prossimo [Sal 39,9]. Anche nella letteratura sapienziale posteriore, dove il concetto è meno duro, rimane il senso della colpevolezza» (J. Goetzmann). Se accettiamo anche questa sfumatura, allora le cinque vergini stolte della parabola non sono soltanto delle sempliciotte, o ragazzotte sprovvedute, ma veri e propri oppositori della legge divina; sono coloro che non entrano nel Regno di Dio a motivo della loro empietà e così l’accusa contro i farisei si fa più pesante: essi sono religiosi nelle parole, ma empi perché di fatto ribelli alla volontà divina, «dicono e non fanno» (Mt 23,3), e tanto stolti da respingere la proposta di salvezza che Dio fa loro nella persona del suo Figlio unigenito.
La parabola nel mettere in evidenza l’incertezza del tempo della venuta gloriosa del Cristo, vuole instillare nei cuori degli uomini la necessità della vigilanza, senza fidarsi di calcoli in base ai segni dei tempi: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo e né il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36).
Questa venuta improvvisa deve indurre gli uomini ad assumere un serio atteggiamento di vigilanza e un comportamento saggio al quale nessuno può sottrarsi se non vuole essere escluso dal regno di Dio. Poi, alla vigilanza e al comportamento saggio va aggiunto il timore: «Comportatevi con timore nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 1,17-19). Se Cristo Gesù, «nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero» (Credo), per salvarci si è annichilito nel mistero dell’Incarnazione, se è morto su una croce come un volgare malfattore, «è segno che la nostra anima è assai preziosa e dobbiamo perciò affaticarci “con timore e tremore per la nostra salvezza”, per non distruggere in noi l’opera della grazia di Dio. Tutto infatti viene dalla “grazia”: la redenzione di Cristo è opera di grazia e anche l’accettazione della redenzione da parte nostra è opera di grazia, poiché è Dio stesso colui “che opera in noi il volere e l’agire” secondo i suoi disegni di benevolenza e di amore» (Settimio Cipriani).
Le vergini, le stolte e le sagge, non sopportando il tedio dell’attesa vengono colte dal sonno al quale cedono ben volentieri. Questo particolare suggerisce che il progetto di Dio, «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,10), andrà a buon fine, lo voglia o non lo voglia l’uomo e sarà svelato all’intelligenza degli uomini quando Dio vorrà, anche senza il loro apporto. Gesù aveva suggerito la stessa cosa nella parabola del seme che spunta da solo anche mentre il contadino dorme (Mc 4,26): c’è, quindi, nella crescita e nella diffusione del Regno di Dio una componente che non dipende dall’uomo. Il regno di Dio porta in sé un principio di sviluppo, una forza segreta che lo condurrà al pieno compimento.


Ecco lo Sposo - Lo Sposo è il Redentore del mondo - Giovanni Paolo II (Omelia, 11 novembre 1984): “Il regno è simile a dieci vergini, che ... uscirono incontro allo sposo” (Mt 25,1). Chi è questo sposo? La figura dello Sposo, che parla d’amore disinteressato, è profondamente inscritta nei Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. È l’amore col quale Dio “dona se stesso”. Non solo rivela se stesso nei numerosi e differenti doni del creato ma Egli stesso diventa il Dono per l’uomo che vive nella comunità del Popolo di Dio: il Dono per la vita eterna in Dio. Il popolo d’Israele ha conosciuto questa verità su Dio nell’Antica Alleanza, soprattutto mediante l’insegnamento dei Profeti. Questa verità su Dio alla fine è stata rivelata in Gesù Cristo: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito...” (Gv 3,15). E il Figlio ha realizzato questo amore del Padre mediante il suo Vangelo. E infine lo ha realizzato mediante la Croce e la Risurrezione. Nella Croce e nella Risurrezione l’amore misericordioso di Dio per tutta l’umanità ha assunto una potenza redentrice. Lo Sposo, di cui si parla nella parabola odierna, è il Redentore del mondo. Nella potenza del suo amore redentore Gesù Cristo è diventato lo Sposo della Chiesa, lo Sposo di ogni anima umana nella grande, interpersonale comunità del Popolo di Dio.

Giuseppe Barbaglio: Il racconto non si attarda a descrivere il cerimoniale delle nozze. Non menziona neppure la sposa. L’attenzione è concentrata sul comportamento delle dieci fanciulle che attendono il corteo dello sposo. Di esse cinque sono dette sagge, le altre stolte, in quanto le prime, a differenza delle compagne, si procurarono l’olio di riserva per alimentare le lampade. Soltanto questo elemento le distingue. Di fatto tutte dormirono nella lunga attesa. Non si tratta dunque di vegliare. La loro saggezza è consistita nell’essere pronte ed equipaggiate per seguire con le lampade accese lo sposo nella sala del banchetto nuziale.
Se ora ci domandiamo in che cosa consisteva per la chiesa di Matteo l’essere pronti ad andare incontro al Signore nel giorno della sua venuta finale, la risposta emerge dalla duplice analogia di questa parabola con la parte terminale del discorso della montagna. Le fanciulle sagge e stolte trovano l’esatta corrispondenza nei due costruttori di casa della parabola omonima, dove si dice che la saggezza dell’uno e la stoltezza dell’altro dipendono dall’agire o meno in conformità della parola di Cristo (7,24.26). Inoltre la risposta dello sposo alle stolte risuona negli stessi termini della condanna inflitta nel giudizio finale ai credenti che nella liturgia hanno acclamato Gesù come loro Signore e sono stati dotati di carismi straordinari, ma non hanno fatto la volontà del Padre (7,21-23). La comunità cristiana deve dunque prepararsi al futuro salvifico con il compimento fedele delle esigenze di Dio rivelate da Cristo. La vigilanza non consiste in una attesa inerte e contemplativa, ma si incarna nel fare, nell’attuare opere concrete che traducano in atto il volere di Dio, cioè la sua suprema esigenza di amore. Ma l’obbedienza ai comandamenti di Dio e alle parole di Gesù vuol dire amare il prossimo come amiamo noi stessi (7,12). Dunque la verifica dell’autentica speranza cristiana avviene ora sul piano prassistico, nel compiere gesti di amore. La carità esprime nell’oggi il dinamismo della speranza. Le evita così di degenerare in una fuga dal presente, nell’esilio da questo mondo, nella evasione dalle responsabilità attuali della storia, in un quietismo di comodo.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): La parabola termina con un monito solenne e grave che ricalca il pensiero espresso in Mt., 24,50. La parabola, che racchiude vari elementi allegorici (parabola allegorizzante), presenta, sotto l’immagine di dieci giovani fanciulle destinate ad una festa nuziale, le anime credenti in attesa dello sposo che deve venire a cercarle all’ora della morte. Lo sposo è Gesù. Le giovani, anche se lo sposo tarda, devono trovarsi vigilanti e provviste. Durante la notte della vita terrena la lampada della vigilanza deve rimanere accesa o, almeno, in condizione di essere subito ravvivata appena giunge il momento dell’arrivo dello sposo. Le anime che sono pronte saranno ammesse alla festa nuziale (immagine della beatitudine celeste), le altre invece saranno irrimediabilmente escluse. La bellezza dottrinale della parabola consiste nella scelta di un’immagine suggestiva e ricca di senso. La vita dell’uomo è una trepida attesa dello sposo; il principio che illumina l’esistenza umana è la certezza di essere destinati ad una festa nuziale. L’elevatezza di queste concezioni è sentita in modo arcano da alcune anime che fanno della propria vita una continua preparazione a questo incontro con lo sposo e danno alla parabola un’attualità perenne. Le stesse idee sono espresse da Luca con altre immagini (cf. Lc., 12,35-38; 13,25).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...