2 Agosto 2018

Giovedì XVII Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Vi ho chiamato amici, dice il Signore, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15b).

Dal Vangelo secondo Matteo 13,44-46: La parabola della rete, simile alla parabola della zizzania, rimanda il lettore al giudizio finale quando i buoni saranno separati dai cattivi: i primi entreranno nel regno di Dio, i reprobi andranno «nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25,31-46). Se è vero che nella fase terrena del regno i cattivi si mescoleranno ai buoni, la zizzania al grano, è anche vero che alla fine dei tempi tutti dovremo comparire «davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male» (2Cor 5,10).
Il detto, che conclude il racconto evangelico, è da applicare ai responsabili delle comunità. Lo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è colui che conosce sia l’insegnamento di Gesù, il nuovo, sia la Thorà, l’antico, interpretati e completati dal nuovo.
In questo modo, non si abolisce l’insegnamento degli scribi, un patrimonio pur sempre prezioso, ma è la fede in Cristo a dargli una ricchezza nuova.

La parabola della rete - La parabola della rete: Benedetto XVI (Discorso, 17 Febbraio 2007): Il Signore ci ha donato anche, per la nostra consolazione, queste parabole delle rete con pesci buoni e non buoni, del campo dove cresce il grano ma anche la zizzania. Egli ci fa sapere di essere venuto proprio per aiutarci nella nostra debolezza, di non essere venuto, come Egli dice, per chiamare i giusti, quelli che pretendono di essere già completamente giusti, di non aver bisogno della grazia, quelli che pregano lodando se stessi, ma di essere venuto a chiamare quelli che sanno di essere manchevoli, a provocare quelli che sanno di aver bisogno ogni giorno del perdono del Signore, della sua grazia per andare avanti. Questo mi sembra molto importante: riconoscere che abbiamo bisogno di una conversione permanente, non siamo mai semplicemente arrivati. Sant’Agostino, nel momento della conversione, pensava di essere arrivato sulle alture ormai della vita con Dio, della bellezza del sole che è la sua Parola. Poi ha dovuto capire che anche il cammino dopo la conversione rimane un cammino di conversione, che rimane un cammino dove non mancano le grandi prospettive, le gioie, le luci del Signore, ma dove anche non mancano valli oscure, dove dobbiamo andare avanti con fiducia appoggiandoci alla bontà del Signore. 

Il regno di Dio - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): Nel vangelo di oggi il regno di Dio è paragonato a una rete a strascico: è l’ultima delle sette parabole sulle quali abbiamo meditato in questi ultimi giorni. Il punto centrale della parabola non è tanto la rete che raccoglie ogni genere di pesci, buoni e cattivi, grandi e piccoli, quanto la loro selezione. La cernita è l’ultima fase del regno di Dio: il giudizio. Intanto, è il tempo della pazienza di Dio. La parabola della rete ha molto in comune con quella della zizzania in mezzo al grano. Nel regno di Dio, come nel mondo e nella Chiesa, è inevitabile la presenza simultanea di buoni e cattivi. Tutti quelli che ricevono il battesimo restano incorporati alla Chiesa, seppure nominalmente, e a tutti è offerto il regno di Dio attraverso il vangelo e la sequela di Cristo. Ma varia la risposta personale. Per questo, alla fine dei tempi, ci sarà una cernita, con sorte diversa per giusti e malvagi. Come nella parabola della zizzania, i cattivi saranno gettati nella fornace ardente, «dove sarà pianto e stridore di denti», cioè la frustrazione definitiva di chi ha rovinato per sempre la sua vita. Se, da una parte, la parabola della rete insegna la tolleranza paziente fino al giudizio di Dio, dall’altra orienta l’uomo verso una giusta decisione per il presente, spingendolo all’opportuna conversione.
Alla fine di questa serie di sette parabole del regno, tentiamo una visione d’insieme, che possiamo concretizzare in questi quattro punti: a) La formazione del regno di Dio non avverrà senza resistenza e difficoltà (seminatore); b) ma il regno finirà per trionfare (granello di senapa e lievito); c) è necessario aver pazienza e non voler precipitare il giudizio di Dio (zizzania e rete); d) intanto, vale la pena di rinunciare a tutto per ottenere il regno (tesoro e perla). Al termine delle parabole, Gesù chiede ai suoi: « Avete capito tutte queste cose?... Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche ». Secondo gli esegeti, questa massima è una riaffermazione, in metafora, del principio che governa i rapporti tra la legge mosaica e il vangelo, esposto da Gesù nel discorso della montagna (Mt 5,17ss). Le cose antiche sono la legge, le cose nuove il vangelo; questa è la chiave di lettura dell’Antico Testamento, che dà senso e valore alle cose antiche.

La fornace ardente - Richard Gutzwiller: Chi guarda la fine vede la soluzione, perché allora si avrà la divisione definitiva. Cristo parla due volte, in questo breve discorso in parabole, del giudizio finale, e tutt’e due le volte in immagini inquietanti. Accanto al raccolto sta l’immagine del fuoco, in cui verrà gettato il loglio. La scelta dei pesci è il simbolo della divisione degli uomini, e di nuovo si parla della fornace ardente, di pianto e di stridor di denti. Il Signore non parla d’annientamento dei reietti, d’una ricaduta, quindi nel nulla, bensì d’una punizione, annunziandola con espressioni fortissime. Non possiamo passare sotto silenzio questo fatto, il quale dimostra che l’uomo è posto davanti alla gravità d’una decisione, che si rivela irrevocabile alla fine della giornata terrena. I due stadi della Chiesa contengono quindi un elemento tranquillante e consolante e uno sinistro: la serietà della vita, che termina nella luce o nelle tenebre, nella beatitudine o nei tormenti. La conclusione non è un volgare happy-end. Non si risolve tutto in un vago benessere. La parabola termina coi lampeggiamenti del giudizio universale, con la promessa e con la minaccia. Allorché il Signore soggiunge: «Avete inteso tutte queste cose?» e i discepoli rispondono di sì, non si riferisce soltanto a una comprensione intellettuale, ma ad un’assunzione interiore, a una compenetrazione nella gravità della risoluzione, a una conoscenza vitale di ciò che importa il contegno cristiano. Lo sguardo rivolto alla fine rischiara la via.

Avete compreso tutte queste cose? - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): I discepoli hanno capito le parabole, nel pieno senso del verbo in questa sezione: essi hanno capito la natura del regno, la sua condizione in questo mondo, lo sviluppo che lo attende e le esigenze che esso impone; hanno compreso che si trovano alle soglie di un’epoca nuova, quella che i profeti hanno sperato, e hanno riconosciuto in Gesù colui che svela i segreti di Dio. Nel pensiero dell’evangelista, tutto questo è contenuto nel «sì» posto sulle labbra dei discepoli. II v. 52 ha doppiamente il valore di profezia: 1. Si tratta di un autoritratto discreto dell’autore del nostro vangelo detto «di Matteo». Non ci sono difficoltà a credere che quest’evangelista è uno scriba giudaico, esperto della Bibbia, divenuto cristiano («discepolo del regno dei cieli») e che applica le proprie competenze al vangelo: per convincersene basta pensare all’acume delle «citazioni riepilogative» già incontrate. 2. In senso più ampio, si tratta del lavoro dei «dottori» o dei «giusti» (= scribi) che sembrano occupare un posto importante nella Chiesa di Matteo e che devono dispensare la parola di Dio come il padre distribuisce i vestiti alla sua famiglia. Per loro, il modo in cui Matteo ha appena messo a punto il discorso in parabole deve servire di modello: tornare sempre all’antico, la tradizione delle parole stesse di Gesù, ma aver anche il coraggio di rielaborare questa tradizione, di svilupparla e di completarla in funzione delle necessità nuove delle comunità cristiane.

Lo scriba sapiente - Angelico Poppi (Sinossi e Commento): Alla conclusione del discorso in parabole sembra che l’autore del vangelo intenda presentare se stesso quale scriba, che era stato conquistato dalla luce promanante dal Cristo. Anche a lui fu concessa la “comprensione” dei misteri del regno, accordata agli altri discepoli di Gesù, per diventarne un depositario e maestro. L’evangelista ha strutturato armonicamente il capitolo delle parabole in forma catechetica, adattandole alle esigenze degli evangelizzatori, subentrati agli apostoli per l’istruzione del popolo di Dio.
v, 51 La domanda di Gesù va riferita a tutto il discorso non solo all’insegnamento rivolto ai discepoli in privato (v o 36-50). La “comprensione” del regno è un dono, concesso da Dio a chi è disponibile all’ascolto della parola di Gesù (v. 11).
v, 52 Da questo versetto risulta che i destinatari del discorso in parabole, più che i discepoli del Gesù storico, sono le guide spirituali (qui equiparate agli scribi), che al tempo dell’evangelista avevano il compito d’insegnare la catechesi nelle comunità cristiane. Questi maestri venivano istruiti con un serio tirocinio per consentire loro di assimilare profondamente l’insegnamento di Gesù circa i misteri del regno, in modo da abilitarli all’istruzione dei credenti. Quanto avevano accumulato con lo studio e la riflessione personale, lo comunicavano ai loro uditori, nella stessa maniera con cui un capofamiglia raccoglieva con diligenza le provviste nella dispensa, per poi distribuirle a tempo opportuno ai familiari.
L’evangelista presenta le sue credenziali. L’insegnamento di Gesù (“cose nuove”) non implicava la rinuncia delle tradizioni ebraiche (“cose antiche”). Aveva compreso che il Vangelo non si contrapponeva all’Antico Testamento, ma ne rappresentava il compimento. Lo scriba cristiano, divenuto discepolo del regno dei cieli, cioè istruito secondo la novità del Vangelo, non rinnegava le Scritture, considerate la Parola di Dio. Anzi, quanto più ne approfondiva il senso, tanto più si rendeva conto che le promesse veterotestamentarie si erano adempiute nella missione di Gesù. Il Vangelo non annulla la Torà. Anzi, la conoscenza delle “cose antiche” cioè della storia degli interventi di Dio in favore del suo popolo, per formarlo, per educarlo con bontà e misericordia alla fedeltà al suo patto d’amore, è indispensabile per comprendere la novità del Vangelo.

Lo scriba: Lumen Gentium 25: Tra i principali doveri dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo. I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, la illustrano alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie (cfr. Mt 13,52), la fanno fruttificare e vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (cfr. 2Tm 4,1-4). I vescovi che insegnano in comunione col romano Pontefice devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio dal loro vescovo dato a nome di Cristo in cose di fede e morale, e dargli l’assenso religioso del loro spirito

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Sant’Agostino, nel momento della conversione, pensava di essere arrivato sulle alture ormai della vita con Dio, della bellezza del sole che è la sua Parola. Poi ha dovuto capire che anche il cammino dopo la conversione rimane un cammino di conversione, che rimane un cammino dove non mancano le grandi prospettive, le gioie, le luci del Signore, ma dove anche non mancano valli oscure, dove dobbiamo andare avanti con fiducia appoggiandoci alla bontà del Signore. 
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni. Per il nostro Signore Gesù Cristo…