1 Agosto 2018

Mercoledì XVII Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Vi ho chiamato amici, dice il Signore, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15b).

Dal Vangelo secondo Matteo 13,44-46: Il tesoro e la perla preziosa stanno a raffigurare il regno di Dio. I cristiani dovrebbero comportarsi come l’uomo della parabola che vende tutto per venire in possesso del tesoro, e dovrebbero essere abili come il mercante del racconto evangelico che aliena tutti i suoi averi per comprare la perla preziosa. Ma spesso in cima ai pensieri dei credenti non v’è il regno di Dio, ma altri tesori e altre perle preziose, purtroppo fin troppo terreni. Solo chi comprende e accoglie con gioia la Parola dispiegherà tutta la sua attenzione, e tutte le sue fatiche, per conquistare il regno di Dio, l’unico vero tesoro dal valore incommensurabile.

Senza voler forzare i testi, possiamo trovare un filo comune che lega le due parabole ed è l’impossibilità per l’uomo di riuscire nella vita senza la grazia di Dio e senza una decisione per Dio: una decisione radicale, ma anche gioiosa come sottolinea la parabola del tesoro nascosto in un campo. In questo modo vengono smentiti gli «spensierati di Sion»: i giullari del Vangelo facile e i buontemponi dell’ottimismo a tutti i costi (Am 6,1-7). Scriveva il teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer, morto impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg il 9 aprile 1945: «La grazia a buon mercato è nemica mortale della Chiesa; oggi, nella nostra lotta, si impone la grazia che costa... La grazia facile è quella di cui disponiamo in proprio. È la predicazione del perdono senza il pentimento, è il battesimo senza disciplina ecclesiastica, la Cena santa senza la confessione dei peccati, l’assoluzione senza confessione personale. La grazia a buon mercato è la grazia non avallata dall’obbedienza, la grazia senza la croce, la grazia che astrae da Gesù Cristo vivente e incarnato».
Il Vangelo, inoltre, vuole sottolineare la scaltrezza, l’avvedutezza dell’uomo del tesoro nascosto in un campo e del mercante: due uomini capaci di capire e ben valutare la fortuna loro capitata inaspettatamente tra le mani, in questo modo diventano l’immagine del vero discepolo che sa comprendere l’inestimabile valore del regno di Dio. Il discepolo, proprio perché cerca le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio e non pensa alle cose della terra (Col 3,1-2), è in grado di ben valutare i tesori celesti per il cui possesso è pronto a cavarsi gli occhi della testa, a ridursi in povertà e far gettito anche della propria vita.
A leggere bene il Vangelo si comprende allora con chiarezza che l’insegnamento delle parabole sta nell’incalcolabile valore del tesoro scoperto e nel sacrificio che il suo acquisto richiede.
Praticamente vuol dirci che l’accoglienza «del regno richiede tutto noi stessi. La scoperta della perla preziosa spinge il mercante a vendere tutti i suoi beni per impossessarsene, rinunciando perfino a essere mercante... Ebbene, la missione di Gesù di proclamare la decisione di Dio di attuare definitivamente ciò che aveva promesso da tempo, esige una risposta senza compromessi, un impegno totale, una decisione esistenziale che rischia il tutto per tutto, che vende tutto ciò che ha per comprare la perla di grande valore» (Giuseppe Carata). La Parola di Dio sta cercando di dire ai nostri cuori, forse un po’ sconcertati, che il baricentro della vita umana è fuori di noi: per riuscire o per ritrovare noi stessi, dobbiamo perderci; per portare frutto dobbiamo morire (Gv 12,24); per trovare o salvare la vita dobbiamo perderla (Mt 16,25; Gv 12,25).

Il Regno di Dio - Giovanni Paolo II (Udienza Generale 18 Marzo 1987): Il regno di Dio costituisce il tema centrale della sua predicazione [di Gesù] come dimostrano in modo particolare le parabole.
La parabola del seminatore (Mt 13,3-8) proclama che il regno di Dio è già operante nella predicazione di Gesù, e al tempo stesso orienta a guardare all’abbondanza dei frutti che costituiranno la ricchezza sovrabbondante del Regno alla fine del tempo. La parabola del seme che cresce da solo (Mc 4, 26-29) sottolinea che il Regno non è opera umana, ma unicamente dono dell’amore di Dio che agisce nel cuore dei credenti e guida la storia umana al suo definitivo compimento nella comunione eterna con il Signore. La parabola della zizzania in mezzo al grano (Mt 13,24-30) e quella della rete da pesca (Mt 13,47-52) prospettano anzitutto la presenza, già operante, della salvezza di Dio. Insieme ai “figli del Regno”, però, sono anche presenti i “figli del Maligno”, gli operatori di iniquità: solo al termine della storia le potenze del male saranno distrutte e chi ha accolto il Regno sarà sempre con il Signore. Le parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa (Mt 13,44-46), infine, esprimono il valore supremo e assoluto del regno di Dio: chi lo comprende è disposto ad affrontare ogni sacrificio e rinuncia per entrarvi.
Dall’insegnamento di Gesù appare una ricchezza molto illuminante. Il regno di Dio, nella sua piena e totale realizzazione, è certamente futuro, “deve venire” (cf. Mc 9,1; Lc 22,18); la preghiera del Padre Nostro insegna a invocarne la venuta: “venga il tuo Regno” (Mt 6,10).
Al tempo stesso però, Gesù afferma che il regno di Dio “è già venuto” (Mt 12,28), “è in mezzo a voi” (Lc 17,21) attraverso la predicazione e le opere di Gesù. Inoltre da tutto il Nuovo Testamento risulta che la Chiesa, fondata da Gesù, è il luogo dove la regalità di Dio si rende presente, in Cristo, come dono di salvezza nella fede, di vita nuova nello Spirito, di comunione nella carità.
Appare così l’intimo rapporto tra il Regno e Gesù, un rapporto così forte che il regno di Dio può essere anche chiamato “regno di Gesù” (Ef 5,5; 2 Pt 1,11), come del resto Gesù stesso afferma davanti a Pilato, asserendo che il “suo” regno non è di questo mondo (Gv 18,36).
In questa luce possiamo comprendere le condizioni che Gesù indica per entrare nel Regno. Esse si possono riassumere nella parola “conversione”. Mediante la conversione l’uomo si apre al dono di Dio (cf. Lc 12,32), che “chiama al suo regno e alla sua gloria” (1 Ts 2,12); accoglie il Regno come un fanciullo (Mc 10, 5) ed è disposto a qualunque rinuncia per potervi entrare (cf. Lc18,29; Mt 19,29; Mc 10,29).
Il regno di Dio esige una “giustizia” profonda o nuova (Mt 5,20); richiede impegno nel fare la “volontà di Dio” (Mt 7, 21); domanda semplicità interiore “come i bambini” (Mt 18,3; Mc 10,15); comporta il superamento dell’ostacolo costituito dalle ricchezze (cf. Mc10,23-24).

… pieno di gioia: Molti, nei tempi passati, per salvare i loro averi da ruberie, soprattutto in periodo di guerre o di calamità naturali, erano soliti nasconderli sottoterra. Un contadino, un salariato, nel vangare il terreno si imbatte proprio in uno di questi tesori nascosti e per venirne in possesso lecitamente, «va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo». La parabola, comunque, non vuole dare indicazioni morali di sorta.
Nel racconto evangelico, il tesoro è il regno dei cieli per il quale l’uomo deve essere sollecito nel «vendere tutti i suoi averi». Ma il «fulcro dottrinale della parabola... non consiste per sé nei sacrifici affrontati per il regno, ma nell’invito pressante di Gesù agli uditori di riconoscere nella sua opera l’azione di Dio nel mondo per l’attuazione del regno. Questo non esclude, soprattutto nella redazione matteana, un atto decisionale, che comporta per il discepolo una scelta coraggiosa per un orientamento di vita e una condotta esemplare nel presente» (Angelico Poppi).
Va sottolineata la gioia, che caratterizza i sentimenti di coloro che entrano in possesso del regno.
La parola gioia corrisponde all’ebraico simhah, che vuol dire soddisfazione dell’anima. L’Antico Testamento ama esaltare anche le gioie più umili della vita: quella del cibo, del riposo, del divertimento, del vino (Cf. Sal 104,5; Sir 31,27; Is 24,11).
La gioia di essere genitori di una numerosa prole (Cf. Sal 127,3; Sir 25,7; Gv 16,21). La gioia della fedeltà della sposa, del calore della casa e quella che scaturisce da una vera amicizia. Ma «la gioia vera il giusto la trova in Dio, nella sua parola, nella sua legge, nella sua alleanza indefettibile... La gioia del pio israelita, oltre che nell’intimità con Dio, sgorga dalla contemplazione delle meraviglie da lui operate nell’universo e nella storia del suo popolo. Una delle gioie più intense per Israele proviene dall’esercizio del culto reso al Dio vivo, presente in seno al popolo nel suo tempio» (G. Manzoni).
La vera gioia inonderà il mondo con la nascita del Cristo: Giovanni Battista esulta di gioia nel grembo della madre (Cf. Lc 1,41.44); Maria, la madre di Gesù, erompe in un canto di gioia, che celebra Dio padre dei piccoli e salvatore dei poveri e degli umili (Cf. Lc 1,46-55). La nascita di Giovanni Battista rallegra il cuore degli anziani genitori e dei loro conoscenti (Cf. Lc 1,56-57). La nascita di Gesù viene annunziata ai pastori come «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10).
I motivi di questa gioia sono evidenti: oramai in Gesù, il regno di Dio è in mezzo agli uomini, esso, come testé ci ha ricordato Matteo, è il tesoro per il quale si deve essere disposti a dare tutto gioiosamente, «perfino la vita» (Lc 14,26).

La parabola della perla preziosa - Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): Anche questa parabola fa coppia con la precedente ed esprime la stessa cosa. La parola perla risveglia in noi sia l’immagine della preziosità, sia della bellezza senza macchia: il regno di Dio non è soltanto il massimo valore, ma anche il bene più bello e perfetto che ci sia dato di conseguire.
Il dato nuovo, nei confronti della parabola del tesoro, è che qui si tratta di un uomo che va in cerca di perle preziose. Nel caso del tesoro nel campo si poteva pensare a uno che, casualmente, vi inciampa e poi ne trae le conseguenze; alcuni, infatti, possono avere incontrato Gesù, in circostanze fortuite, ed essere stati da lui soggiogati, senza avere inizialmente l’intenzione di trovare il «tesoro».
Qui, invece, si può pensare a uno che cerca la verità, come Nicodemo che si reca da Gesù di notte (cf. Gv 3,1 ss.). Si parla di un commerciante di gioielli che non si era ancora imbattuto in una perla così bella e preziosa. Senza pensarci due volte, vende tutto, l’inventario completo della sua mercanzia, per acquistare la perla.
Per esperienza sa che essa vale il sacrificio.
Il cuore dell’uomo è inquieto finché non trova «la perla di grande valore». Ma quando la trova è pronto a sacrificare tutto per quest’unico bene. Gesù non riduce di un ette il prezzo qui richiesto, ma mostra l’ aspetto allettante del bene della salvezza, capace di suscitare in noi la gioia per averla «trovata». Quando «troviamo la perla», dobbiamo cercare di rimanere nell’incontenibile gioia iniziale; nel tempo della ricerca non possiamo riposarci finché non la «troviamo».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Quando «troviamo la perla», dobbiamo cercare di rimanere nell’incontenibile gioia iniziale; nel tempo della ricerca non possiamo riposarci finché non la «troviamo».
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nel vescovo sant’Alfonso Maria de’ Liguori hai dato alla tua Chiesa un fedele ministro e apostolo dell’Eucaristia, concedi al tuo popolo di partecipare assiduamente a questo mistero, per cantare in eterno la tua lode. Per Cristo nostro Signore.