9 Luglio 2018

Lunedì XIV Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia” (Sal 33,9 - Antifona alla Comunione).  

Dal Vangelo secondo Matteo 9,18-26: Gesù non si stanca di insegnare e di guarire gli ammalati, e Matteo ama metterlo bene in evidenza: “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità” (Mt 9,35). Questa instancabile attività di Gesù è dettata dalla sua compassione: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36). I due miracoli che oggi il Vangelo ricorda possiamo dire agguantano, umanamente parlando, due casi impossibili. La beneficiaria del primo miracolo è una donna che a causa della sua malattia era considerata impura dalla Legge (Lv 15,25-27). Il secondo miracolo è la risurrezione di una fanciulla figlia di “uno dei capi” della sinagoga che in Marco e Luca è chiamato Giairo. In questi due miracoli possiamo notare un denominatore comune: Gesù si fa toccare da una donna considerata impura, Gesù tocca un cadavere, un gesto considerato una grave trasgressione dalla Legge (Nm 19,11): da qui si può evincere che nella pienezza dei tempi (Gal 4,4) l’impuro viene assorbito dal puro, agli occhi di Dio tutto è puro (Mc 7,19; Ef 2,15), chi è impuro è purificato dal Puro e reso “santo e immacolato” (Col 1,22; Ef 1,24), il Risorto rialza chi giace nelle regioni della morte, rialza colui che giace nella morte del peccato e lo fa sedere alla destra del Padre (Ef 2,6).

Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Siamo in presenza di due miracoli avvenuti quasi simultaneamente.
Appare evidente l’eccezionale rilevanza dei due fatti prodigiosi. La risurrezione della figlia di questo notabile, insieme con la risurrezione del figlio della vedova di Nain e quella di Lazzaro, sono le tre risurrezioni operate da Gesù che i Vangeli ci hanno tramandato. Dai passi paralleli di Marco (5,21-43) e di Luca (8,40-56) sappiamo che questo importante personaggio era capo della sinagoga e si chiamava Giàiro. Così, dunque, in tutti e tre gli episodi vengono chiaramente individuate le persone che beneficiarono di tali prodigi.
Il racconto evangelico ci mostra, una volta ancora, la funzione che la fede svolge nelle azioni salvifiche di Gesù. Nel caso della emorroissa va notato come il Signore faccia attenzione soprattutto alla sincerità e alla fede che la donna dimostra nel superare gli ostacoli per poter giungere a lui. Simile è anche il caso di Giàiro: accan­tonando ogni forma di rispetto umano quest’uomo, eminente nella città, si umilia pubblicamente dinanzi a Gesù.

Giunse uno dei capi…: Giovanni Paolo II (Omelia, 27 giugno 1982): Non uno, ma due [...] sono i miracoli del Signore, che ci sono riferiti nel Vangelo odierno. Ecco Giairo, il capo della sinagoga, che si prostra dinanzi a Gesù per implorare la salvezza e la vita per la figlioletta dodicenne, ormai agli estremi. Ecco l’anonima donna che, sofferente da dodici anni, dice a se stessa: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. Sono miracoli che, pur diversi tra loro per i particolari e per le circostanze, hanno tuttavia in comune non soltanto il fatto di essere cronologicamente collegati e come “collocati l’uno dentro l’altro”, ma soprattutto una fondamentale e condizionante premessa: cioè la fede viva e lucida di quell’uomo e di quella donna nella potenza sovrana e misericordiosa del Signore Gesù. Non importa che l’uno preghi per la figlia e l’altra per se stessa; non importa che l’uno preghi con aperta, insistente parola e l’altra preghi senza proferire alcun suono esterno. Quel che importa è il fatto che entrambi sono mossi ed internamente illuminati da una fede forte e coraggiosa. E proprio come premio e risposta a questa loro fede segue la duplice guarigione miracolosa: è risuscitata la bambina; è risanata la donna (cfr. Mc 5,21-43).

L’emorroissa - Angelico Poppi (Vangelo secondo Matteo): La guarigione dell’emorroissa è narrata con estrema concisione: Matteo non parla di quanto essa aveva patito e delle cure costose ma inutili, della reazione di Gesù al compimento del miracolo, del timore della donna risanata alla domanda di chi gli aves e toccato le vesti. La “frangia” una specie di nappa (zizìt in ebraico), consisteva in quattro fiocchi appesi agli angoli del mantello, che recavano un cordone di porpora viola per ricordare i comandamenti del Signore (cf. Nm 15,37-41; Dt 22,12). Il gesto della donna, pertanto, assumeva un significato religioso.
Il testo di Matteo concorda stranamente con Luca contro Marco su un dettaglio interessante: la donna, “avvicinandosi di dietro, toccò la frangia del suo mantello”: un vero rebus per i fautori della teoria sinottica delle due fonti, che assegna la priorità alla composizione di Marco e la dipendenza in modo autonomo di Matteo e Luca da Marco e dalla fonte Q.
L’invito di Gesù alla fiducia con un’espressione caratteristica in Matteo, “Coraggio, figlia” corrisponde a “Coraggio, figliolo” rivolto sopra al paralitico (v. 3).
Si noti l’insistenza con cui ricorre il verbo “salvare” nei vv. 21-22 (tre volte). La salvezza fisica simboleggiava quella spirituale e definitiva nel possesso del regno, come appare dall’aggiunta della frase conclusiva, con la quale solo Matteo sottolinea l’effetto della parola di Gesù: “E da quell’ora la donna fu salvata" (v. 22c).

Andate via! La fanciulla non è morta, ma dorme - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): Nella risurrezione della figlia di Giairo Matteo pone l’anonimo dignitario (àρxωv) immediatamente davanti a Gesù. Il discorso che egli fa non solo è sintetico, ma anche costruito con particolare attenzione. Si apre con il gesto di prostrazione-adorazione davanti al Cristo, cui segue la richiesta: «La mia figlia è or ora morta» (v. 19). L’espressione «la mia figlia è morta» è il punto culminante della «narrazione» ma soprattutto del grado di fede del padre della defunta. È questa che l’evangelista vuol mettere in evidenza eliminando ogni suo precedente intervento presso Gesù. In fondo egli non viene a chiedere la guarigione ma la risurrezione della figlia, una domanda inaudita, per questo il racconto è innanzitutto un’epopea di fede. Questa volta Matteo non abbrevia; l’attesa dell’uomo sorpassa anche quella del centurione (8,10). Gesù padrone della vita è capace di ridarla anche a coloro che l’hanno perduta; basta un tocco della sua mano per ricomunicarla. «La bambina non è morta ma dorme». Con questa frase quasi convenzionale egli dà la definizione cristiana della morte (cfr. Gv. 11,26; 1Ts. 4,13).

La morte - Helen Schüngel: Vita e morte non sono viste nell’Antico Testamento come contrapposizioni che si escludono a vicenda: la tranquilla morte di vecchiaia nella cerchia dei figli e nipoti fa parte integrante della vita promessa da Dio (Gen 15,15). In contrapposizione alla vita stanno tuttavia la morte prematura e la morte violenta, o il morire senza lasciare una discendenza (2Sam 3,33s).
Mentre JHWH è l’unico signore della vita e l’uomo, perciò, non ha mai il diritto di spargere sangue, di JHWH non si può dire che egli sia il signore della morte. L’ambito della morte non appartiene a JHWH, i morti sono lontani da lui (cf. Sal 88), JHWH non li ascolta. Ma anche tutti coloro che non ubbidiscono alla Legge, rompendo così 1’alleanza, non appartengono alla vita, ma alla morte: la Legge è la vita e la benedizione, la disubbidienza è già morte e maledizione (cf. Dt 30,15ss).
Nel Nuovo Testamento la morte è la potenza che pone fine a questa vita e pone in uno stato di assoluta impotenza e nullità perché essa separa temporaneamente o per sempre da Dio creatore. Manca un’ulteriore riflessione teologica: la morte viene accettata come l’esperienza più universale e più indiscutibile e intesa come la fine totale - visibile nella decomposizione - dell’esistenza legata al corpo dell’uomo; al Nuovo Testamento è estranea un’immortalità naturale dell’anima. Gesù (Mt 9,24 par; Lc 7,12ss; Gv 11,44) e gli apostoli (At 9,40; 20,10; Mt 10,8) hanno allungato la vita di defunti ridestandoli dalla morte senza annullare la mortalità. Questi segni anticipatori culminano nella risurrezione di Gesù, che manifesta il potere della morte come non definitivo, ma limitato e dominato dalla potenza creatrice di Dio.

Tu non l’hai abbandonato in potere della morte - Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 402.410-412:  Tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo. San Paolo lo afferma: “Per la disobbedienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori” (Rm 5,19); “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato...” (Rm 5,12). All’universalità del peccato e della morte l’Apostolo contrappone l’universalità della salvezza in Cristo: “Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita” (Rm 5,18).
Dopo la caduta, l’uomo non è stato abbandonato da Dio. Al contrario, Dio lo chiama, e gli predice in modo misterioso che il male sarà vinto e che l’uomo sarà sollevato dalla caduta. Questo passo della Genesi è stato chiamato “Protovangelo”, poiché è il primo annunzio del Messia redentore, di una lotta tra il serpente e la Donna e della vittoria finale di un discendente di lei.
La Tradizione cristiana vede in questo passo un annunzio del “nuovo Adamo”, che, con la sua obbedienza “fino alla morte di croce” (Fil 2,8) ripara sovrabbondantemente la disobbedienza di Adamo. Inoltre, numerosi Padri e dottori della Chiesa vedono nella Donna annunziata nel “protovangelo” la Madre di Cristo, Maria, come “nuova Eva”. Ella è stata colei che, per prima e in una maniera unica, ha beneficiato della vittoria sul peccato riportata da Cristo: è stata preservata da ogni macchia del peccato originale e, durante tutta la sua vita terrena, per una speciale grazia di Dio, non ha commesso alcun peccato. Ma perché Dio non ha impedito al primo uomo di peccare? San Leone Magno risponde: «L’ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui l’invidia del demonio ci aveva privati». E san Tommaso d’Aquino: «Nulla si oppone al fatto che la natura umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato. Dio permette, infatti, che ci siano i mali per trarre da essi un bene più grande. Da qui il detto di san Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20). E il canto  dell’Exultet: “O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore!”».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** L’obbedienza alla Legge di Dio è la vita e la benedizione, la disubbidienza è già morte e maledizione.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…