8 Luglio 2018

XIV Domenica T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria” (Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Marco 6,1-6: È inspiegabile l’incredulità degli abitanti di Nazaret e non si riesce a capire come la folla facilmente passi dallo stupore e dalla ammirazione all’animosità e all’insulto. Ma questo è il destino di tutti i profeti e Gesù ne farà esperienza il giorno in cui Pilato, nel tentativo di liberarlo, lo presenterà alla folla (Mt 27,11-26).

Il racconto della visita di Gesù a Nazaret lo si trova anche in Matteo e in Luca. Quest’ultimo, a differenza dei primi due, ha elaborato un racconto eccessivamente sovraccarico. Per i nazaretani Gesù è un tekton: un mestiere che comportava l’abilità professionale di svolgere simultaneamente la professione di falegname, di fabbro e di muratore. Sempre per i nazaretani, Gesù è il figlio di Maria: questa espressione contraria l’uso ebraico, che identifica un uomo in rapporto a suo padre. L’uso improprio, forse, vuole mettere in risalto la fede dell’evangelista Marco e della sua comunità, secondo cui il Padre di Gesù è Dio (Cf. Mc 1,1.11; 8,38; 13,32; 14,36). Nonostante queste “buone conoscenze” Gesù è rifiutato nella sua patria. Il rifiuto di Gesù come profeta, ha un logorante crescendo: ad iniziare sono i parenti, poi i compaesani e infine i Giudei. La meraviglia di Gesù «denota il suo stupore per l’incredulità dei paesani; una cosa sorprendente e inaspettata per lui. Marco non ha preoccupazioni teologiche circa la prescienza divina di Gesù, ma ce lo presenta nella sua realtà storica. Questi non poté compiere miracoli, perché i nazaretani non si aprirono con fede alla missione affidatagli dal Padre: l’onnipotenza di Dio risulta condizionata dall’incredulità dell’uomo: “Come la sua potenza è la nostra salvezza, così la nostra incredulità è la sua impotenza” [Gnilka]» (Angelico Poppi).
Nonostante questo insuccesso, Gesù continua a percorre «i villaggi d’intorno insegnando»: monito ed esempio per quei i credenti pronti a scoraggiarsi anche per il più piccolo disagio.

Giunto il sabato: Era giorno di riposo per gli uomini e per le bestie. Forse il termine sabato è in relazione con l’ebraico sheba’ (= sette). Fino ad ora non si conosce nell’ambiente extraisraelitico un ciclo settenario. Il sabato veniva giustificato con la necessità del riposo per l’uomo e per gli animali (Es 23,12), in seguito con il ricordo ed il ringraziamento per 1’esodo dall’Egitto (Dt 5,12-15) e con il riposo di Jahvé dopo la creazione. La sua osservanza era un segno del patto (Es 31,16s). Esso era un giorno di gioia (Os 2,11) e di culto (Nm 28,9s).
Si badava rigorosamente a che il sabato fosse celebrato come giorno di riposo. Erano proibiti p. es.: gli affari (Is 58,13), l’accensione del fuoco (Es 35,3), la raccolta della legna (Num 15,32-36), infornare e cucinare (cfr. Es 16,23), uscire (Es 16,29), arare e raccogliere (Es 34, 21). Dopo 1’esilio alcuni ritenevano come illecita perfino la difesa nel combattimento (1Mc 2,32-38). Nel tardo giudaismo si formò una casistica (p. es.: è lecito di sabato salvare un animale domestico infortunato?) che era diventata un peso molto fastidioso (cfr. Lc 11,46) per chi non conosceva le speciali facilitazioni consentite. Gesù si volse con la parola e con il suo comportamento contro la schiavitù imposta dalla lettera della legge: anche di sabato l’uomo deve fare il bene (cfr. Mc 3,2-6; Lc 13,10-17). Il sabato è per l’uomo e non viceversa (Mc 2,17). Nella comunità primitiva il sabato era ancora os­servato insieme ad altre prescrizioni dell’Antico Testamento (cfr. Mt 24,20); ci si liberò lentamente dalla legge giudaica (cfr. Col 2,16s). È stata una cosa sbagliata trasferire in seguito in modo acritico parte delle norme veterotestamentarie del sabato alla domenica: queste sono superate nel cristianesimo. La domenica (Giorno del Signore) non è un sabato, ma ha un altro contenuto.  (Fonte: Piccolo Dizionario Biblico)

Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?» - Se è vero che Paolo e tutti e quattro gli evangelisti parlano dei fratelli e delle sorelle del Signore, è anche vero che gli autori sacri parlano solo e sempre di fratelli di Gesù, mai di figli di Maria. Solo Gesù è detto figlio di Maria (Mc 6,3) e Maria è detta solo e sempre madre di Gesù, e non di altri (Gv 2,1; 19,25; At 1,14).  I Vangeli ci hanno tramandato i nomi dei cosiddetti fratelli di Gesù che sono: Giacomo, Giuseppe (o Joses), Giuda (non Giuda Iscariota, il traditore) e Simone (Mt 13,56; Mc 6,3). Gli stessi Vangeli però ci informano anche di chi erano figli (Mt 27,55-56; Mc 15,40-41; ecc.) per cui senza ombra di dubbio possiamo affermare che essi non sono figli di Maria, la madre di Gesù, ma suoi nipoti, figli d’una sorella ben menzionata da Giovanni (Gv 19,25).
L’imbroglio nasce dalla scarsità di termini ebraici indicanti i vari gradi di parentela, fratello e sorella potevano indicare anche parenti di secondo grado. Questa ‘confusione’ fu conservata anche nella traduzione greca della Bibbia, detta dei Settanta. Infatti, i traduttori della Bibbia, che conoscevano bene sia l’ebraico che il greco, usano nella loro traduzione il termine greco adelfos per tradurre il termine ebraico ah, anche quando evidentemente si tratta di cugini o anche di parenti.
Per esempio, in Genesi 13,8, Abramo chiama Lot suo fratello (adelfòi), ma in realtà sappiamo che Lot era nipote di Abramo in quanto figlio di suo fratello Haran così come ci informa Genesi 11,27.
Mentre in Genesi 14,16 Lot viene detto parente di Abramo. Quindi non erano fratelli, ma zio e nipote.
Un altro passo è ancora più chiaro. In 1Cronache si dice che Eleàzaro e Kis erano figli di Macli (1Cr 23,21). Però subito dopo viene detto: «Eleàzaro morì senza figli, avendo soltanto figlie; le sposarono i figli di Kis, loro fratelli» (1Cr 23,22). Tranne ad ammettere l’incesto si deve concludere che in verità non erano fratelli e sorelle, ma soltanto cugini e cugine. Questo uso del termine greco adelfos per tradurre il termine ebraico ah è presente anche nel Nuovo Testamento.
Ma vi è un’altra prova che ci viene dal Vangelo di Giovanni: è l’affidamento da parte di Gesù morente  di Maria, sua Madre, al «discepolo che egli amava» (Gv 19,27). Per Nicola Tornese, il «gesto di Gesù morente è comprensibile solo se si ammette che Gesù era figlio unico. Se Maria avesse avuto altri figli - quattro maschi e un imprecisato numero di figlie - quel gesto di Gesù sarebbe stato offensivo o almeno poco riguardoso ed anche illegale. I supposti figli di Maria, le figlie, i generi, le nuore, oltre a sentirsi offesi, avrebbero contestato a Giovanni il diritto di avere con sé la loro madre. Avrebbero giudicato irresponsabile il gesto di un morente. Nulla di tutto questo nei Vangeli. Giovanni prese Maria con sé in casa sua, pacificamente, senza contestazione alcuna. Gesù, perché figlio unico, poteva e doveva provvedere a sua madre un rifugio conveniente dopo la sua morte. Scelse quello di un discepolo» (La Madonna contestata).
Un’ulteriore prova ci viene da san Girolamo, il famoso traduttore latino della Bibbia, che nei “fratelli” e nelle “sorelle” di Gesù vide in pratica i cugini, cioè gli appartenenti al clan familiare di Maria. Egli sostenne questa tesi nell’opera De perpetua virginitate polemizzando contro Elvidio, vescovo ariano di Milano dal 335 al 374, il quale affermava trattarsi invece di figli avuti da Maria e Giuseppe successivamente rispetto a Gesù.
Uno degli argomenti addotti era la frase del Vangelo di Luca in cui si dice che Maria «diede alla luce il suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo» (2,7). È, però, da notare, come ci suggerisce anche la Bibbia di Gerusalemme (vedi nota a Lc 2,7), che il termine “primogenito” ha di per sé valore giuridico e sottolinea i diritti biblici connessi alla primogenitura. In aiuto a questa interpretazione viene l’archeologia. In un documento aramaico del I secolo si parla di una madre (di nome Maria essa pure) che morì dando alla luce “il suo figlio primogenito”, quindi è da escludere, essendo morta al momento del parto, che avesse avuto altri figli

Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria - È una verità di sempre: chiunque è in anticipo sui suoi tempi, su coloro che lo circondano, conosce il disprezzo da parte loro. E la cattiva accoglienza di Gesù provoca una conseguenza a prima vista singolare: là, egli non è in grado di esercitare la sua potestà taumaturgica (v. 5a). Il suo potere dipende dall’atteggiamento degli uomini? Tuttavia Marco stesso ha notato la relatività di questo collegamento: ammette che Gesù ha compiuto qualche guarigione a Nazaret (v. 5b); però ha rilevato i sentimenti del maestro riguardo all’incredulità dei suoi compaesani: egli se ne meraviglia grandemente (v. 6a).
In nessuna parte del vangelo di Marco è meglio sottolineato che qui il legame posto da Gesù tra la fede e i mi­racoli. Tornano in mente i rimproveri del maestro davanti alla mancanza di fede dei suoi discepoli durante la tempesta sedata (4,40). È la non f de dei pagani di Gerasa che ha abbreviato il soggiorno del Salvatore presso di loro (,5,17). È l’incredulità testimoniata dai lamenti inopportuni che ha indotto Gesù a far uscire la folla dalla casa di Giàiro (5,39-40).

Gesù percorreva i villaggi d’intorno insegnando: Catechesi tradendae 7-8: Gesù ha insegnato: è, questa, la testimonianza che dà di se stesso: «Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare». È l’osservazione ammirata degli evangelisti, sorpresi di vederlo sempre e in ogni luogo nell’atto di insegnare, in un modo e con un’autorità fino ad allora sconosciuti. «Di nuovo le folle si radunavano intorno a lui, ed egli, come era solito, di nuovo le ammaestrava»; «ed essi erano colpiti dal suo insegnamento, perché insegnava, come avendo autorità». È quanto rilevano anche i suoi nemici, per ricavarne un motivo di accusa, di condanna: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui».
Colui che insegna a questo modo merita, ad un titolo del tutto speciale, il nome di «maestro». Quante volte, in tutto il nuovo testamento e specialmente nei vangeli, gli è dato questo titolo di maestro! Sono evidentemente i dodici, gli altri discepoli, le moltitudini degli ascoltatori che, con un accento di ammirazione, di confidenza e di tenerezza, lo chiamano maestro. Perfino i farisei ed i sadducei, i dottori della legge, i giudici in generale non gli rifiutano questo appellativo: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia vedere un segno»; «Maestro, che debbo fare per ottenere la vita eterna?». Ma è soprattutto Gesù stesso, in momenti particolarmente solenni e molto significativi, a chiamarsi maestro: «Voi mi chiamate maestro e signore, e dite bene, perché lo so no»; egli proclama la singolarità, il carattere unico della sua condizione di maestro: «Voi non avete che un maestro: il Cristo». Si comprende come, nel corso di duemila anni, in tutte le lingue della terra, uomini di ogni condizione, razza e nazione, gli abbiano dato con venerazione questo titolo, ripetendo ciascuno nel modo suo proprio il grido di Nicodemo: «Sappiamo che sei un maestro venuto da Dio».
Questa immagine del Cristo docente, maestosa insieme e familiare, impressionante e rassicurante, immagine disegnata dalla penna degli evangelisti e spesso evocata in seguito dall’iconografia sin dall’età paleo-cristiana - tanto è seducente - amo evocarla, a mia volta, all’inizio di queste considerazioni intorno alla catechesi nel mondo contemporaneo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, togli il velo dai nostri occhi e donaci la luce dello Spirito, perché sappiamo riconoscere la tua gloria nell’umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...