10 Luglio 2018

Martedì XIV Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conocono me” (Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Matteo 9,32-38: Gesù esorcizza un “muto indemoniato” e la sua liberazione suscita stupore, ma soltanto nelle anime “semplici”, nei cuori perversi invece monta la bile, l’odio, la gelosia, e l’accusa è scoccata come una freccia avvelenata: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni». Il vangelo di Matteo non registra alcuna reazione da parte di Gesù, il quale riprende il suo cammino percorrendo “tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità”. È straordinaria questa nota, Gesù pur minacciato non ha paura di annunciare il vangelo del Regno e di compiere prodigi proprio nelle sinagoghe, la tana del lupo. Ma non è coraggio, è la sua missione, una missione che non è scevra di pericoli, di delusioni, ma impastata anche di compassione sopra tutto quando il suo sguardo si posa sulle folle mirandole “stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. Una verità lucida il cui riverbero raggiunge i nostra anni, un Europa che ha rigettato le radici cristiane, da qui l’imperativo dettato ai discepoli di tutti i tempi: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

Presentarono a Gesù un muto indemoniato - Guarigione di un muto indemoniato - Angelico Poppi (I Vangeli, Sinossi e Commento): Alla guarigione dalla cecità, una piaga endemica in Palestina, fa seguito l’esorcismo di un muto indemoniato.

Secondo la mentalità del tempo, la malattia veniva attribuita all’azione del demonio. Il miracolo provocò una duplice reazione: mentre le folle restarono ammirate e riconobbero il potere soprannaturale di Gesù, i farisei attribuirono la guarigione alla sua connivenza con il capo dei demoni (Beelzebul). Si profilava così da parte delle guide spirituali d’Israele un’opposizione sempre più forte. Infatti, dalla contestazione (9,11) i farisei passarono alla calunnia (v. 34), giungendo poi alla determinazione di far perire Gesù (12,14). La cecità e la mutolezza degli infermi a suonano pertanto una valenza simbolica: indicano l’accecamento e l’indurimento dei capi religiosi dei giudei, che si rifiutavano di riconoscere in Gesù il Messia, predetto dai profeti nelle Scritture.
Il racconto del miracolo, estremamente conciso, è incentrato sul diverso atteggiamento assunto dai giudei ci confronti di Gesù. L’evangelista lo attinge dalla fonte dei logia (Q; cf. Le 11,14-15). Sembra che lo collochi in questo contesto per lo stesso motivo dell’episodio precedente, ci è per giustificare la risposta che Gesù avrebbe dato agli inviati del Battista (cf. 11,4-5). Più avanti Matteo duplica il miracolo in una forma ancora più stringata (Mt 12,22-24).

Le folle prese dallo stupore... - Eleonore Beck: Nella Bibbia il concetto è molto più complesso di quanto lo sia nell’uso linguistico odierno; traspare l’elemento dell’estasi, ma anche del raccapriccio. a) ell’ T lo s. è l’atteggiamento dell’uomo davanti a tutto ciò che supera la sua comprensione, causato da Dio: si prova stupore davanti alle opere della creazione, davanti all’alleanza, davanti all’intervento di Dio che rende giustizia nella vita dell’uomo o nella storia. Tuttavia può anche trasparire lo spavento davanti a ciò che è incomprensibile, terribile, completamente diverso. Nel Nuovo Testamento lo stupore connota la reazione degli uomini alla parola e all’azione potente di Gesù. Nel Vangelo dell’infanzia lucano, la parola compare quattro volte (Lc 1,21.63; 2,18.33) per sottolineare il carattere prodigioso del racconto che segue. I testimoni dei miracoli di Gesù reagiscono sempre con stupore (Mt 12,23; 15,31 ecc.); anche le sue parole provocano stupore (Lc 4,22 ecc.). Giovanni ricorda come tutti coloro che incontravano Gesù erano presi da stupore (Gv 5,20; 7,21 ecc.). 

Nelle sinagoghe annunciava il Vangelo del Regno - I segni del Regno di Dio - Catechismo della Chiesa cattolica nn. 547-550: Gesù accompagna le sue parole con numerosi “miracoli, prodigi e segni” (At 2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato.
I segni compiuti da Gesù testimoniano che il Padre lo ha mandato. Essi sollecitano a credere in lui. A coloro che gli si rivolgono con fede, egli concede ciò che domandano. Allora i miracoli rendono più salda la fede in colui che compie le opere del Padre suo: testimoniano che egli è il Figlio di Dio. Ma possono anche essere motivo di scandalo. Non mirano a soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico. Nonostante i suoi miracoli tanto evidenti, Gesù è rifiutato da alcuni; lo si accusa perfino di agire per mezzo dei demoni.
Liberando alcuni uomini dai mali terreni della fame, dell’ingiustizia, della malattia e della morte, Gesù ha posto dei segni messianici; egli non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali di quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che li ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti umani. La venuta del Regno di Dio è la sconfitta del regno di Satana: “Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il Regno di Dio” (Mt 12,28). Gli esorcismi di Gesù liberano alcuni uomini dal tormento dei demoni. Anticipano la grande vittoria di Gesù sul “principe di questo mondo” Gv 12,31). Il Regno di Dio sarà definitiva mente stabilito per mezzo della croce di Cristo: “Regnavit a ligno Deus Dio regnò dalla croce.

Regno di Dio - Anselm Urban: L’espressione greca basileia theou (“regalità di Dio” ebraico malkut JHWH) designa in primo luogo il potere esercitato, l’effettivo governare di Dio. In genere sarebbe consigliabile la traduzione “signoria di Dio”. Tuttavia s’intende talvolta un particolare ambito o stato nel quale la sovranità di Dio si esplica pienamente, in tal caso si parla di regno. “Regno dei cieli” (in Matteo; meglio: “signoria dei cieli”) perifrasa soltanto il nome di Dio e sarebbe totalmente frainteso se fosse concepito come un “regno al di sopra delle nubi”: si tratta della pretesa di governo che Dio avanza su questo mondo. Nell’Antico Testamento si parla molto della sovranità regale di JHWH, ma raramente nel senso di “regno”. In 1Cr 17,14 viene chiamato così il regno davidico (idealizzato teocraticamente); nelle visioni di Dio i regni di questo mondo vengono sostituiti dal regno del figlio dell’uomo (7,14 - e rispettivamente del popolo dei santi, come accenna il v. 27). Mentre nel giudaismo rabbinico la “signoria dei cieli” è piuttosto un’entità spirituale, nell’apocalittica vive e si sviluppa ulteriormente (naturalmente accanto a speculazioni escatologiche) la grande visione dei profeti (per es. Is 11): un regno universale di pace e di salvezza che trasforma anche la creazione, una vita purificata degli uomini al di là della colpa e del peccato, sotto l’ordine onnicomprensivo della legge divina. Gesù non annuncia né un regno politico, né puramente spirituale­morale, ma si ricollega alle visioni profetiche. La novità è che tutto ciò è “vicino” (Mc 1,15), “è alle porte” (13,19). Il regno non viene attraverso i nostri sforzi, per quanto noi siamo assegnati al lavoro nella vigna (Mt 20,1ss), ma cresce soltanto ad opera di Dio (cf. Mc 4,26-29). Si può essere certamente “collaboratori per il regno” (Col 4,11), ma “edificare il regno” lo può soltanto Dio stesso. A noi rimane l’umile invocazione: “Venga il tuo regno!” (Mt 6,10).

La messe è abbondante - Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): Gesù parla della messe: è un’immagine antica riferita al compimento dei tempi. I profeti l’hanno coniata, Gesù la raccoglie.
Egli vede, per così dire, i campi ondeggianti di messi mature, pronte per la mietitura; di fatto egli è colui che «ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio; ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile» (3,12). Con la venuta del regno di Dio incomincia il tempo del giudizio, della separazione che avviene nel momento della decisione del singolo. Ma gli operai sono pochi; i mietitori sono rari, scarseggiano coloro che invitano a decidere. Gesù si trova davanti a un compito immenso, che richiede uomini pronti a dare il loro aiuto.
Di qui l’esortazione a pregare il Signore della messe che chiami operai per i campi pronti alla mietitura. Perché Gesù esorta a pregare Dio per questo urgenza? Non è lui stesso che chiama al suo servizio gli apostoli affinché collaborino alla grande opera messianica? Gesù riconosce che, in definitiva, è Dio a chiamare gli apostoli al servizio del suo messaggio e a mandarli, come egli stesso è stato mandato dal Padre (10,40); ma suggerisce di più: questa preghiera dovrà continuare sempre fino al tempo escatologico della mietitura, al tempo finale. Così hanno fatto le comunità della Chiesa apostolica - particolarmente la comunità a cui Matteo appartiene -, così dobbiamo fare anche noi, oggi.

Pregate dunque... - Italo Castellani: Il ritrovato impegno e tanta preghiera per le vocazioni, che si eleva oggi dalle nostre comunità - anche perché è sotto gli occhi di tutti la constatazione di una sproporzione tra il raccolto che ci sarebbe da fare e le braccia necessarie per questo raccolto - dovrà forse entrare sempre più nello spirito del comando di Gesù: “Pregate il Padrone della messe...”.
Gesù infatti ha chiesto più volte di pregare, ma pochissime volte, quattro in tutto, con un’intenzione precisa: la preghiera per i nemici (Mt 5,44); la preghiera per non entrare in tentazione nei tempi escatologici (Mt 26,41); la preghiera per Pietro affinché la sua fede non venga meno (Lc 22,32), la preghiera al Signore della messe perché mandi operai nella sua messe (Mt 9,38).
È significativo che tra questi “comandi”, non generali ma “all’imperativo” consegnati ai discepoli, ci sia la richiesta di pregare per l’invio degli operai nella messe.
Qual è dunque il significato profondo, da recuperare ai nostri giorni nella preghiera per le vocazioni della comunità cristiana, di questo “comando autoritativo” che esprime una precisa volontà del Signore?
“Gesù, dopo aver detto queste parole, non conclude dicendo: dunque andate. C’è bisogno, dunque, rimboccate le maniche, muoviamoci... Dice: c’è bisogno, dunque, pregate”.
“Si noti che Gesù non comanda ai discepoli di essere operai di Dio bensì di pregare...”.
“Gesù sembra spostare il problema: non è tanto un problema vostro, è il problema del Padrone della messe, quindi è un problema di Dio. È cosa di Dio. Pregate perché mandi”.
A pensarci bene, alla luce di queste riflessioni, la preghiera per le vocazioni che si eleva dal cuore della comunità cristiana ha forse bisogno di diventare più autentica. Troppo spesso, forse, la nostra preghiera per le vocazioni, mentre da una parte è accoglienza del comando di Gesù, dall’altra è forse più sollecitata da congiunture contingenti e dall’ansia di sopravvivere ad ogni costo.
Rischia cioè di non essere una preghiera essenzialmente mossa dalla fede e dalla motivazione primaria, che Gesù c’insegna nel Padre Nostro, che “venga” il Regno di Dio.
“Ma perché domandare a Dio, supplicarlo per ciò che riguarda innanzitutto lui? Perché chiedere una cosa per lui? Sta qui il grande mistero della preghiera. È certo che Dio, come Gesù, vede le pecore senza pastore, è certo che Dio vede i bisogni della Chiesa, ma Dio vuole che noi domandiamo, supplichiamo, preghiamo, perché ‘noi’ ne abbiamo bisogno. Di questo abbiamo veramente bisogno... Pregare per le vocazioni significa ricordare e confessare che la vocazione è dall’alto, da Dio, per Cristo, nella potenza dello Spirito Santo: Dio è il soggetto che plasma le chiamate e solo lui le può sostenere. Non è il soggetto individuale che sceglie, non è neppure la chiesa che chiama (cioè la risposta ai bisogni della Chiesa) e non sono neppure i bisogni del mondo che suscitano vocazioni. Insomma, Dio è il ‘principio’ della chiamata e ne è il ‘fine’ ma questi due poli si pos­sono tenere insieme solo pregando”.
   
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!  
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…