7 Luglio 2018

Sabato XIII Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco e esse mi seguono” (Gv 10,27 - Acclamazione al Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Matteo 9,14-17: Le parole di Gesù contengono una profezia: nella espressione verranno giorni in cui sarà tolto lo sposo, il verbo togliere o strappare, nel Nuovo Testamento preannuncia la fine violenta di Gesù. Solo allora in quei giorni, il tempo della Chiesa, ci sarà posto anche per il digiuno.

Lo sposo è con loro - Il digiuno è una pratica penitenziale onnipresente in tutte le religioni. Un rito celebrato sopra tutto per attenuare l’arroganza e l’orgoglio, ma che si imponeva in alcune circostanze particolari: per esempio, per scongiurare un castigo divino o per sfuggire a eventi nefandi. Per molti Farisei era una delle tante pratiche escogitate dalla loro affettata religiosità per accampare diritti dinanzi al Signore e carpirne in questo modo la benevolenza (Lc 18,9-14).
Gesù condanna l’esibizionismo, l’ostentazione farisaica (Mt 6,16-18) non il digiuno che, come tutte le altre pratiche penitenziali, deve essere celato da un atteggiamento gaio, sereno, spontaneo: «Tu, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto» (Mt 6,17). No, quindi, a facce lugubri, tristi.
No, sopra tutto, a comportamenti ostentati unicamente per accaparrarsi le lodi e gli applausi degli uomini (Mt 6,1; 23,5). La religiosità cristiana è fatta di una spiritualità lieta, festante, briosa: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5).
Il Vangelo è la buona notizia che va annunciata con una faccia ilare, sorridente.
Il peccato delle guide spirituali del popolo d’Israele è quello di non essere state capaci di cogliere in Gesù lo sposo dell’umanità. Con Gesù «l’attesa di Dio è colmata: “sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua sposa è pronta!” [Ap 19,7]. Gesù è lo sposo che porta a compimento l’alleanza tra Dio e il suo popolo annunciata dal profeta Osea. I tempi sono dunque compiuti. Non è più il tempo per il legalismo, non è più il tempo per leggere il presente con gli occhi del passato, ma con quelli del futuro inaugurato da Gesù. Non è più il momento di digiunare, come all’epoca in cui si preparava ancora l’incontro con Dio, ma è il momento della festa. Egli è ormai qui!» (Anselmo Morandi).
Presente lo Sposo gli invitati non possono digiunare, solo nei giorni successivi alla sua morte potranno farlo: «Il primo periodo è un continuato convito, non ci può essere posto per le astensioni e le privazioni; il secondo è un tempo di lutto, quindi anche di macerazioni. Il digiuno appare quindi un rito di condoglianze che la comunità cristiana celebra per sentirsi vicina al Cristo morto e sepolto» (Ortensio Da Spinetoli).
Gesù, con la «parabola del vestito e dell’otre», rintuzza il cieco attaccamento dei Farisei alle loro tradizioni: ancora una volta non hanno capito la novità della Buona Novella che dichiara apertamente tramontate le vecchie pratiche religiose ormai incapaci di contenere il nuovo spirito che deve animare il discepolo. È l’immagine del vino nuovo, più di quella del panno non follato, a rendere più evidente il contrasto tra il vecchio e il nuovo. Con l’immagine del vestito vecchio e del vino nuovo, Gesù dichiara sorpassate e inutili tutte le numerosissime, ossessionanti e minute prescrizioni giudaiche: erano diventate ormai vecchi e logori contenitori incapaci di contenere le nuove forze fermentatrici, proprie della predicazione cristiana.
Non vi può essere accordo o compromesso tra le leggi e le leggine mosaiche e il Vangelo, rivelazione ultima e definitiva dell’amore liberante di Dio: il vecchio è vecchio e va messo da parte; il vestito vecchio è frusto, liso ed è quindi inservibile. Gesù è venuto a tagliare i rami secchi non ad abolire la Legge in se stessa (Mt 5,17-19). Sono gli orpelli a dare fastidio, ad appesantire i cuori, ad intralciare il cammino; sono le tradizioni umane che deturpano il messaggio evangelico spogliandolo della sua bellezza e della sua novità.
Fuori immagine, non basta più essere buoni giudei, occorre diventare cristiani: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).

Senso del digiuno - Raymond Girard: Poiché l’uomo è anima e corpo, non servirebbe a nulla immaginare una religione puramente spirituale: per impegnarsi, l’anima ha bisogno degli atti e degli atteggiamenti del corpo. Il digiuno, sempre accompagnato da una preghiera supplice, serve ad esprimere l’umiltà dinanzi a Dio: digiunare (Lev 16,31) equivale ad «umiliare la propria anima» (16,29). Il digiuno non è quindi una prodezza ascetica; non mira a procurare qualche stato di esaltazione psicologica a religiosa. Simili utilizzazioni sono attestate nella storia delle religioni. Ma nel contesto biblico, quando l’uomo si astiene dal mangiare per tutto un giorno (Giud 20,26; 2Sam 12,16s; Giona 3,7) mentre considera il cibo come un dono di Dio (Deut 8,3), questa privazione è un atto religioso di cui bisogna comprendere esattamente i motivi; lo stesso per l’astensione dai rapporti coniugali.
Ci si rivolge al Signore (Dan 9,3; Esd 8,21) in un atteggiamento di dipendenza e abbandono totale: prima di affrontare un compito difficile (Giud 20, 26; Est 4,16), od ancora per implorare il perdono di una colpa (1Re 21,27), sollecitare una guarigione (2Sam 12,16.22), lamentarsi in occasione di una sepoltura (1Sam 31,13; 2Sam 1,2), dopo una vedovanza (Giudit 8,5; Lc 2,27) a in seguito a una sventura nazionale (1Sam 7,6; 2Sam 1,12; Bar 1,5; Zac 8,19), per ottenere la cessazione di una calamità (Gioe 2,12-17; Giudit 4,9-13), per aprirsi alla luce divina (Dan 10,12), per attendere la grazia necessaria al compimento di una missione (Atti 13,2s), per prepararsi all’incontro con Dio (Es 34,28; Dan 9,3).
Le occasioni ed i motivi sono vari. Ma in tutti i casi si tratta di porsi con fede in un atteggiamento di umiltà per accogliere la azione di Dio e mettersi alla sua presenza.
Questa intenzione profonda svela il senso dei quaranta giorni trascorsi senza cibo da Mosè (Es 34,28) e da Elia (1 Re 19,8). Quanto ai quaranta giorni di Gesù nel deserto, che si modellano su questo duplice esempio, essi non hanno per scopo di aprirlo allo Spirito di Dio, perché ne è ripieno (Lc 4,1); se lo Spirito lo spinge a questo digiuno, lo fa perché inauguri la sua missione messianica con un atto di abbandono fiducioso nel Padre suo (Mt 4,1-4).

Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? - Felipe F. Ramos (Matteo in Commento della Bibbia Liturgica): Nel linguaggio simbolico orientale le nozze simboleggiano il tempo della salvezza; e i giorni del Messia erano descritti, nella letteratura rabbinica, col ricorso ai festeggiamenti propri delle nozze. Cristo si presenta come il fidanzato. il portatore dei beni salvifici.
L’immagine del matrimonio non era nuova nella Bibbia: la cosa veramente nuova e sorprendente era che Gesù si presentasse nell’atto di realizzare nella sua persona il contenuto d’un simbolo utilizzato da Dio per descrivere la sua relazione d’amore col popolo eletto (Os 2,18-20; Is 54,5-6). Non era stato annunziato che sarebbe giunto un giorno nel quale egli si sarebbe presentato a Israele come lo sposo fedele, come il vero marito? Ebbene la speranza si è realizzata, la promessa è stata adempiuta. Quello che importa è entrare a far parte degli amici dello sposo per rallegrarsi nelle sue nozze. È tempo di gioia, e non di pianto, di lutto e di digiuno. Quando giunge la pienezza dei tempi tutti sono invitati alla gioia.

Verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): La risposta di Gesù è stupefacente. Egli non accenna ai motivi suaccennati, bensì mira subito al sostanziale e dichiara che il tempo della sua permanenza sulla terra è la festa di nozze dell’umanità. Durante le nozze si festeggia, non si digiuna. Cristo è lo sposo divino, il quale è venuto a cercarsi e a scegliersi una sposa, che porta perciò il nome di Ecclesia, l’eletta. Egli l’ha presa e incomincia ora con lei la festa nuziale. I discepoli sono gli ospiti alle nozze, invitati a questa festa solenne; perciò devono sentirsi allegri e giulivi, uno stato d’animo a cui il digiuno non si adatterebbe.
Nello stesso tempo però soggiunge: «Verranno poi dei giorni, quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno». Dopo la celebrazione delle nozze, Cristo andrà al Padre, per preparare la casa della sposa. Ora la Chiesa, sposa di Cristo, attende il ritorno dello sposo che la porterà a casa. Durante questo tempo, in cui si svolge la sua storia, nel tempo quindi fra la prima e la seconda venuta del Signore, fra l’incarnazione e la parusìa, c’è la strana, duplice disposizione d’animo di gioia giubilante e di attesa dolorosa. Per questa ragione i giorni di festa si alternano a quelli del digiuno. La Chiesa sa di essere la sposa eletta, ma non è ancora nella casa dello Sposo. Da qui la sua straziante nostalgia, il suo sguardo fisso nella lontananza del tempo, rivolto al cielo, che dà a tutti i suoi membri il contegno interiore della gioia e del lutto, del possesso e della speranza, dell’avere e del non avere ancora; perciò l’alternarsi di feste solenni e di digiuni. Il digiuno è in tal modo un allenamento naturale contro il materialismo ed è espressione del più profondo spirito religioso, simbolo della dolorosa attesa del Signore. È la vigilia della storia della Chiesa, precedente la festa delle nozze eterne. Tutte le vigilie di digiuno prima delle solennità ecclesiastiche e tutto il periodo di digiuno prima della Pasqua sono un richiamo a questo contegno cristiano dell’attesa e della preparazione alla grande venuta del Signore e al suo invito al banchetto delle nozze celesti. Il digiuno non è quindi un motivo igienico, bensì un’opera d’amore. La risposta di Gesù ricorda il mistero dell’amore, che dà alla festa e al digiuno il loro significate pili profondo.

Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): I due detti parabolici della pezza di panno grezzo e del vino nuovo illustrano l’incompatibilità del cristianesimo con il giudaismo. Si trattava di due realtà inconciliabili fra loro. Il vangelo non poteva essere coartato entro vecchi schemi religiosi: ne sarebbe stato soffocato. La pia usanza giudaica del digiuno settimanale, rigorosamente praticato dai farisei e dai giovanniti, più tardi venne accolta nella chiesa, ma con un significato totalmente nuovo, rapportato alla sofferenza e alla parusia gloriosa del Messia quale giudice escatologico, che avrebbe segnato l’inizio delle nozze eterne tra lo Sposo e il popolo redento nella gioia del regno definitivo di Dio.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Quando giunge la pienezza dei tempi tutti sono invitati alla gioia.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo...