26 Luglio 2018
  
 SANTI GIOACCHINO E ANNA

  
Oggi Gesù ci dice: “Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 13,10-17: Il Vangelo di oggi segue la “parabola del seminatore” (Mt 13,1-9). Da qui si comprende la domanda dei discepoli rivolta a Gesù, Perché a loro parli in parabole?. Gesù risponde citando la profezia di Isaia (6,9-10). La parola di Dio, contenuta nel testo di Isaia, è rivolta «ai capi e alla maggioranza del popolo, che non accolgono l’invito alla conversione, così che l’appello di Dio provoca in loro un progressivo “indurimento”» (Bibbia di Gerusalemme). Una parola-profezia che si perpetua e si riattualizza nel ministero apostolico di Gesù: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta!” (Mt 23,37-38). Matteo vuole sottolineare “la ricchezza conquistata dai discepoli per il fatto di aver accolto il mistero rivelato, e la perdita subita da tutti gli altri che non l’hanno accolto. Ai discepoli sarà sempre più aperta la mente per un’intelligenza profonda e viva della fede; agli altri sarà chiuso anche il più piccolo spiraglio di luce” (Il Nuovo Testamento - Paoline)

Papa Francesco (Angelus 26 Luglio 2013): Oggi la Chiesa celebra i genitori della Vergine Maria, i nonni di Gesù: i santi Gioacchino e Anna. Nella loro casa è venuta al mondo Maria, portando con sé quello straordinario mistero dell’Immacolata Concezione; nella loro casa è cresciuta accompagnata dal loro amore e dalla loro fede; nella loro casa ha imparato ad ascoltare il Signore e a seguire la sua volontà. I santi Gioacchino ed Anna fanno parte di una lunga catena che ha trasmesso la fede e l’amore per Dio, nel calore della famiglia, fino a Maria che ha accolto nel suo grembo il Figlio di Dio e lo ha donato al mondo, lo ha donato a noi. Il valore prezioso della famiglia come luogo privilegiato per trasmettere la fede! Guardando all’ambiente familiare vorrei sottolineare una cosa: oggi, in questa festa dei santi Gioacchino ed Anna in Brasile come in altri Paesi, si celebra la festa dei nonni. Quanto sono importanti nella vita della famiglia per comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società! E come è importante l’incontro e il dialogo tra le generazioni, soprattutto all’interno della famiglia. Il Documento di Aparecida ce lo ricorda: «I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l’esperienza e la saggezza della loro vita» (n. 447). Questo rapporto, questo dialogo tra le generazioni è un tesoro da conservare e alimentare!

1. Che cos’è una parabola? Claude Tassin (Vangelo di Matteo): È un racconto simbolico che permette di rappresentare una situazione senza descriverla esplicitamente; e, se così avviene, è proprio perché chi la ascolta ha la possibilità di ritrovarvi il proprio caso.
Supponiamo che un professore si sia assentato dalla sua classe femminile e che nell’aula si scateni la gazzarra. Il bidello vi entra e dice: «Quando il gatto è assente i topi ballano». Questa è una parabola.
«Allo stesso modo che, quando il gatto si allontana, i topi ne approfittano, cosi ... voi! ». Allora un’alunna ribatte: «Eh, signore! Noi non siamo topi». Senza saperlo, essa trasforma la parabola in allegoria, cioè nell’interpretazione dei vari particolari della situazione (il gatto = il professore; i topi = le allieve). Però essa cambia le carte: infatti una parabola non va interpretata nei particolari, ma offre semplicemente una situazione tipo, come avviene nelle nostre favole. Ne “Il corvo e la volpe” non ci si chiede chi è il corvo e chi è la volpe: è la storia stessa che racchiude il significato.
Così, nella parabola del seminatore, si cercherà il senso della favola, senza chiedersi: che cosa è il seme? Chi è questo seminatore? In una parabola, si cerca piuttosto il succo, cioè quello che ne determina il senso; ad esempio, nella parabola del gatto e dei topi: la cessazione del pericolo scatena l’istinto.

Perché parli loro in parabole? - Catechismo della Chiesa Cattolica 46: Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento. Con esse egli invita al banchetto del Regno, ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario «vendere» tutto; le parole non bastano, occorrono i fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti? Al centro delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per «conoscere i misteri del regno dei cieli» (Mt 13,11). Per coloro che rimangono «fuori» (Mc 4,11), tutto resta enigmatico.

Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno - Catechismo della Chiesa Cattolica 787: Fin dall’inizio Gesù ha associato i suoi discepoli alla sua vita; ha loro rivelato il mistero del Regno; li ha resi partecipi della sua missione, della sua gioia e delle sue sofferenze. Gesù parla di una comunione ancora più intima tra sé e coloro che lo seguiranno: «Rimanete in me e io in voi. [...] Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,4-5). Annunzia inoltre una comunione misteriosa e reale tra il suo proprio corpo e il nostro: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,56).

Simboli nella storia sacra - D. Sesboué: 1. Estensione del procedimento. - Fin dall’inizio della sua storia, Israele si trovava dinanzi al problema di parlare, con una mentalità molto concreta, del Dio trascendente che non ammetteva nessuna rappresentazione sensibile (Es 20,4). Bisogna quindi evocare continuamente la vita divina partendo dalle realtà terrene che avrebbero assunto valore di segni. Gli antropomorfismi, cosi numerosi nei testi antichi, sono paragoni impliciti che contengono in germe vere parabole (Gen 2,7s. 19.21...). Essi saranno più rari in seguito, ma la preoccupazione di evocare sarà tanto più forte (Ez 1,26ss). La vita stessa dell’uomo, nel suo aspetto morale e religioso, aveva bisogno di questi accostamenti. I profeti ne fanno uso abbondante sia nelle loro invettive (Am 4,1; Os 4,16; Is 5,18 ...), sia per enunciare le promesse divine (Os 2,20 s; Is 11,6-9; Ger 31,21...); nello stesso tempo amano le azioni simboliche, cioè le predicazioni mimate (Is 20,2; Ger 19, 10; Ez 4 - 5). Vere parabole s’incontrano anche nei libri storici per illustrare quel certo evento importante della storia sacra (Giud 9,8-15; 2 Sam 12,1-4; 14,5ss). Il procedimento si amplifica nel tardo giudaismo sino a diventare, nei rabbini, un vero metodo pedagogico. Fatto inventato o storia del passato vengono ad appoggiare un qualsiasi insegnamento, introdotti con la formula: «A che cosa questo è simile?».
Gesù si inserisce in questo movimento, avendo cura di esprimere frequentemente in forma di paragone gli elementi della sua dottrina: «A che cosa paragonerò? » (Mc 4,30; Lc 13,18), «Il regno dei cieli è simile ...» (Mt 13,24.31).
2. Portata religiosa delle parabole. - Illustrando con le realtà concrete della vita quotidiana il loro insegnamento sul senso della storia sacra, i profeti ne fanno dei veri temi: il pastore, il matrimonio, la vigna, che si ritrovano nelle parabole evangeliche. L’amore gratuito e benevolo di Dio, le reticenze del popolo nella sua risposta costituiscono la trama di questi sviluppi mediante immagini (ad es. Is 5,1-7; Os 2; Ez 16); quantunque vi si possano pure trovare allusioni più precise ad un determinato atteggiamento di vita morale (Prov 4,18 s; 6,6-11; 15,4), od anche ad una determinata situazione sociale (Giud 9,8-15). Nel vangelo la prospettiva è accentrata sulla realizzazione definitiva del regno di Dio nella persona di Gesù. Di qui il gruppo importante delle parabole del regno (soprattutto Mt 13,1-50 par.; 20,1-16; 21,33-22,14 par.; 24,45-25,30).
3. Parabola ed allegoria. - Capita che la storia simbolica non offra soltanto una lezione globale, ma tutti i particolari hanno un significato proprio, e richiedono un’interpretazione speciale. La parabola diventa allora allegoria. Ciò avviene già in taluni testi del VT (ad es. Ez 17), e questo procedimento si ritrova nelle paremie del quarto vangelo (Gv 10,1-16; 15,1-6). Di fatto spesso le parabole presentano almeno alcuni tratti allegorici; ad esempio Gesù che parla di Dio e di Israele sotto i tratti del padrone della vigna (Mt 21,33 par.). Gli evangelisti accentuano questo carattere suggerendo già un’interpretazione. Cosi Matteo allegorizza in «vostro Signore» il «Signore della casa» di cui parla Gesù (Mt 24,42; Mc 13,35), e Luca riferisce la parabola del buon Samaritano in termini che fanno pensare a Cristo (Lc 10,33.35).

Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): Nella prima parabola vien posta la domanda fondamentale, cioè per quale motivo Gesù parla in parabole. La risposta spiega che esse svelano e nascondono al tempo stesso. Esse rivelano, perché il visibile è segno dell’invisibile e conduce al suo riconoscimento. Nascondono, perché l’invisibile è dato soltanto in un simbolo, non nella sua realtà immediata.
Dietro tutto ciò c’è il fatto che già l’intera creazione è una parabola di Dio. Allorché nel racconto della creazione nel Genesi è detto: Creiamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, s’intende che l’uomo, per mezzo dello spirito e della grazia è, in modo particolare, immagine di Dio. Ma anche la creazione priva di ragione porta tracce di Dio, diventando in tal modo, per lo spirito umano che la riconosce, simile al Signore. Attraverso l’analogia dell’essere, l’uomo può riconoscere ciò che la creazione e il creatore hanno in comune, notando nello stesso tempo che sono tuttavia diversi nell’intima essenza. In tal modo riconosce Dio attraverso la creazione, precisamente attraverso l’affermazione, perché tutto ciò che vi è di grande, di bello, di vero e di buono nella creazione vale anche per il Signore. La riconosce pure attraverso la negazione, perché tutto ciò che è imperfetto, limitato, insufficiente nella creazione non deriva da Dio.
Chi non vede il mondo come un’immagine di Dio, chi non riconosce dunque il rapporto fra il mondo e Dio, non ne coglie la natura più profonda. Egli è, secondo le parole di sant’Agostino, simile a un uomo che ammira per la loro bellezza, o per la loro forma, i segni alfabetici ben disegnati o stampati d’una lingua straniera, ma non comprende le parole e le frasi ch’essi formano. L’ateo crede, nella sua dedizione al mondo, d’averlo compreso esattamente. In realtà il suo allontanamento da Dio gli rende impossibile la comprensione. Soltanto chi vede il mondo nella sua relazione con Dio, lo vede interamente e giustamente, per cui l’uomo religioso ha una conoscenza del mondo migliore di quella dell’irreligioso. C’è una rivelazione naturale, perché Iddio manifesta la propria natura nelle opere. Esiste anche una conoscenza naturale di Dio, perché l’uomo può riconoscere, dalle opere, colui che le ha prodotte. Il peccato ha oscurato, ha reso più difficile questa conoscenza, ma non l’ha fatta diventare impossibile. L’uomo attuale può riconoscere Dio dal mondo attuale.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  L’uomo attuale può riconoscere Dio dal mondo attuale.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio dei nostri padri, che ai santi Gioacchino e Anna hai dato il privilegio di avere come figlia Maria, madre del Signore, per loro intercessione concedi ai tuoi fedeli di godere i beni della salvezza eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...