25 Luglio 2018

San Giacomo Apostolo

  
Oggi Gesù ci dice: “Io ho scelto voi, dice il Signore, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Cfr. Gv 15,16).

Dal Vangelo secondo Matteo 20,20-28: La domanda della madre dei figli di Zebedeo, e la reazione scomposta degli Apostoli, mostra con chiarezza come il discorso sulla croce non sia stato recepito. La replica di Gesù è chiara: i discepoli non devono preoccuparsi di sedere alla sua destra o alla sua sinistra, ma di bere il suo calice. Gli uomini a volte, per brama di onore e di potere, agognano occupare nella società i primi posti, nella Chiesa tutto questo deve essere bandito: i capi della Chiesa devono essere servi. Gesù si pone ancora una volta come modello da imitare: Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Chi nella Chiesa occupa i primi posti lo deve fare con spirito di servizio, la fecondità dell’autorità non è determinata dall’affermazione di sé, ma nel farsi schiavo, come il Figlio dell’uomo.

Wolfagang Trilling (Vangelo secondo Matteo): Tre volte Gesù annuncia la sua passione, e per tre volte non viene compreso. Al primo annunzio segue la violenta osservazione di Pietro, che Gesù respinge con durezza (16,22s.). Al secondo, in Marco, seguiva l’umiliante discussione tra i discepoli su chi di loro fosse il più grande, seguita dalle parole di Gesù (cf. Mc 9,33-35).
Matteo ha allentato un po’ questo legame inserendo il colloquio sulla tassa per il tempio (17,24-27). Al terzo annunzio segue la domanda dei figli di Zebedeo. È evidente l’incomprensione: Gesù pensa agli oltraggi; essi al loro onore. Lui va incontro al patibolo della croce; loro si aspettano un posto sul trono della gloria. Non hanno capito e non capiranno finché Gesù risorto non apparirà loro: i loro pensieri vengono dal basso, quelli di Gesù dall’alto. La meta della loro ambizione, l’assidersi alla sua destra o alla mia sinistra, per Gesù sarà una ricompensa gratuita dell’obbedienza.

Claude Tassin (Vangelo di Matteo): 1. I due fratelli (vv. 20-23). Luca sembra ignorare quest’episodio che, in Matteo, collega i dati di Marco con alcune varianti. Se, in Marco, Giacomo e Giovanni avanzano loro stessi la propria richiesta, Matteo tiene presente la reputazione degli illustri fratelli e fa intervenire la loro madre, una vera «mamma giudaica», pronta a tutto per i suoi rampolli. Essa esige quindi per i suoi due figli i due posti d’onore nel regno di Gesù - «nel tuo regno», le fa dire l’evangelista, poiché, secondo lui, il Padre affida ogni potere a suo Figlio e Gesù sta per fare il suo ingresso trionfale in Gerusalemme.
Non badando all’intromissione materna, il Maestro si rivolge direttamente ai due discepoli: essi non sanno che cosa chiedono (v. 22); il cammino verso il regno non è la strada agevole che essi immaginano. Essi devono «bere il calice», «il mio calice», dice Gesù, annunciando la scena del Getsèmani (cfr. 26,39). Infatti, nella Bib­bia, il calice rappresenta spesso la sofferenza, il castigo fatale e, nel I secolo, i giudei parlavano del «calice della morte» per riferirsi al destino mortale dell’uomo. I discepoli si limitino dunque all’onore di un martirio simile a quello di Gesù (At 12,2 ricorda effettivamente l’esecuzione di Giacomo) e lascino al Padre la cura della loro ricompensa.
I maestri spirituali hanno visto in questo dialogo un notevole esempio della pedagogia del Cristo: egli non sof­foca il nostro desiderio di riuscire; lo corregge «Non sapete quello che chiedete», ci rende più realisti «Pote­te ...») e finalmente infonde in noi il desiderio di corrispondere a ciò che egli vuole per noi: «Guardate in che modo egli li esorta e li spinge a chiedere ciò che è necessario. Non dice loro: “Potete affrontare la morte violenta? Potete versare il vostro sangue? ma Potete bere il calice e aggiunge per invogliarli: quello che io sto per bere? affinché essi desiderino essere in comunione con lui» (san Giovanni Crisostomo, IV secolo).
2. Gli altri dieci (vv. 24-28). L’indignazione degli altri discepoli è autentica gelosia che Gesù riprende con un breve discorso - conosciuto da Luca sotto un’altra forma - che procede così: a) Troppo spesso, i governanti si segnalano per il loro spirito di dominio e il loro potere assoluto (v. 25). b) «Fra voi nella Chiesa bisognerà capovolgere questa tendenza: quelli dotati di autorità si faranno servi dei loro fratelli, e anche schiavi, pronti a rispondere alle necessità di questi ultimi, senza aspettarsi riconoscenza (vv. 26-27). Matteo pensa evidentemente ai membri influenti della sua Chiesa, più propensi a far valere la loro dignità che a identificarsi nel Cristo «servo». È curioso che, accanto al motto papale «Servo dei servi di Dio» (tutto  un programma!), la storia dei cattolici abbia coniato un’espressione come «principe della chiesa».

Mentre cupe nubi, foriere di morte, si addensano sinistramente sul capo di Gesù, i discepoli fanciullescamente sembrano essere occupati unicamente a guadagnarsi i primi posti. I figli di Zebedeo, appàiono i più risoluti in questa ricerca, e per ottenere quanto ambiscono mandano in avanscoperta la madre. E la domanda della donna è bene impostata e senza fronzoli: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Gesù, non dando peso alla inopportuna richiesta della donna, corregge la mentalità carnale dei discepoli sfacciatamente ambiziosi, e lo fa invitandoli a bere il calice della sua amara passione e a immergersi nel suo battesimo di sangue, che in altre parole significa essere pronti al martirio. Con faccia tosta a dir poco, Giacomo e Giovanni, rispondono: «lo possiamo».
Gesù conferma il loro assenso: sì, morirete ammazzati per la fede, ma sedere alla destra del Cristo è «per coloro per i quali è stato preparato». 
«Gli altri dieci cominciarono a indignarsi». Una nota che mette in luce una realtà fin troppo scomoda: nel gruppo apostolico serpeggiavano divisioni, liti, manie di grandezza... La risposta di Gesù va in questo senso. La vera grandezza sta nel servire, nell’occupare gli ultimi posti come il Figlio dell’uomo. Una risonanza di questo insegnamento è nel racconto della lavanda dei piedi (Gv 13,1ss).
E per meglio esplicitare il suo insegnamento, Gesù dà questa norma: «Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo».
Sarà schiavo di tutti... Con questo detto «non si condanna di aspirare ai posti di responsabilità né si insegna paradossalmente che per raggiungere tali posti bisogna farsi servi e schiavi di tutti, ma più semplicemente si vuol dire che nell’ambito della comunità cristiana i chiamati al comando devono adempiere al loro mandato con spirito di servizio, facendosi tutto a tutti e guardando solo al bene degli altri [cf. 1Cor 9,19-23; 2Cor 4,5]» (A. Sisti).
Per Gesù servire vuol dire essere obbediente alla volontà del Padre fino alla morte, senza sconti e ripiegamenti, come il Servo di Iahvè, che si fa solidale con il peccato degli uomini. Affermando che è venuto per «dare la propria vita in riscatto per molti», il Cristo dichiara il carattere soteriologico della sua morte. Donandosi alla morte per la salvezza degli uomini e per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato, Gesù offre alla Chiesa un modello di amore supremo, che essa è chiamata a inverare e prolungare nella storia.

Potete bere il calice che io sto per bere? - Giovanni Paolo II (Omelia, 9 novembre 1982): San Giacomo era fratello di Giovanni Evangelista. Essi furono i due discepoli a cui - in uno dei dialoghi più impressionanti che riporta il Vangelo - Gesù fece quella famosa domanda: “«Potete bere il calice che io sto per bere?». Ed essi risposero: «Possiamo»” (Mt 20,23). Era la parola della disponibilità, del coraggio; un atteggiamento tipico dei giovani, però non loro esclusivo, ma di tutti i cristiani, ed in particolare di coloro che accettano di essere apostoli del Vangelo. La generosa risposta dei due discepoli fu accettata da Gesù. Egli disse loro: “Il mio calice lo berrete” (Mt 20,23). Queste parole si compirono in Giacomo, figlio di Zebedeo, che col suo sangue diede testimonianza della risurrezione di Cristo a Gerusalemme. Gesù aveva fatto la domanda sul calice che avrebbero dovuto bere i due fratelli, quando la loro madre, come abbiamo letto nel Vangelo, si avvicinò al Maestro, per chiedergli un posto di speciale rilievo per entrambi nel Regno. Però Cristo dopo aver costatato la loro disponibilità a bere il calice, disse loro: “Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio” (Mt 20, 23). La disputa per conseguire il primo posto nel futuro Regno di Cristo, che i suoi discepoli immaginavano in modo troppo umano, suscitò l’indignazione degli altri Apostoli. Gesù approfittò allora dell’occasione per spiegare a tutti che la vocazione al suo Regno non è una vocazione al potere ma al servizio, “appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). Nella Chiesa, l’evangelizzazione, l’apostolato, il ministero, il sacerdozio, l’episcopato, il papato, sono servizio.

San Giacomo - Benedetto XVI (Udienza Generale, 21 Giugno 2006): Giacomo appartiene, insieme con Pietro e Giovanni, al gruppo dei tre discepoli privilegiati che sono stati ammessi da Gesù a momenti importanti della sua vita. [...] Egli ha potuto partecipare, insieme con Pietro e Giovanni, al momento dell’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani e all’evento della Trasfigurazione di Gesù. [...].
Questa maturazione della fede fu portata a compimento dallo Spirito Santo nella Pentecoste, così che Giacomo, quando venne il momento della suprema testimonianza, non si tirò indietro. All’inizio degli anni 40 del I secolo il re Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande, come ci informa Luca, “cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa, e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni” (At 12,1-2). La stringatezza della notizia, priva di ogni dettaglio narrativo, rivela, da una parte, quanto fosse normale per i cristiani testimoniare il Signore con la propria vita e, dall’altra, quanto Giacomo avesse una posizione di spicco nella Chiesa di Gerusalemme, anche a motivo del ruolo svolto durante l’esistenza terrena di Gesù. [...].
Da san Giacomo, dunque, possiamo imparare molte cose: la prontezza ad accogliere la chiamata del Signore anche quando ci chiede di lasciare la “barca” delle nostre sicurezze umane, l’entusiasmo nel seguirlo sulle strade che Egli ci indica al di là di ogni nostra illusoria presunzione, la disponibilità a testimoniarlo con coraggio, se necessario, fino al sacrificio supremo della vita. Così Giacomo il Maggiore si pone davanti a noi come esempio eloquente di generosa adesione a Cristo. Egli, che inizialmente aveva chiesto, tramite sua madre, di sedere con il fratello accanto al Maestro nel suo Regno, fu proprio il primo a bere il calice della passione, a condividere con gli Apostoli il martirio.
E alla fine, riassumendo tutto, possiamo dire che il cammino non solo esteriore ma soprattutto interiore, dal monte della Trasfigurazione al monte dell’agonia, simbolizza tutto il pellegrinaggio della vita cristiana, fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, come dice il Concilio Vaticano II.  Seguendo Gesù come san Giacomo, sappiamo, anche nelle difficoltà, che andiamo sulla strada giusta.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Seguendo Gesù come san Giacomo, sappiamo, anche nelle difficoltà, che andiamo sulla strada giusta”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, tu hai voluto che san Giacomo, primo fra gli Apostoli, sacrificasse la vita per il Vangelo; per la sua gloriosa testimonianza conferma nella fede la tua Chiesa e sostienila sempre con la tua protezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...