24 Luglio 2018
  
Martedì XVI Settimana T. O.

  
Oggi Gesù ci dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui” (Gv 14,23 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 12,46-50: L’evangelista Matteo non dice il motivo della venuta di Maria e dei fratelli di Gesù. Forse sono preoccupati per la sua salute a motivo della spossante attività, o impensieriti a motivo della sua incondizionata disponibilità. Forse pensavano che esagerasse, forse..., ma in ogni caso l’episodio ci suggerisce che spesso all’uomo manca qualsiasi comprensione del misterioso operare di Dio. Spesso tutto ciò che ci supera, ci sorprende e ci disturba, lo definiamo privo di senso, lo riteniamo esagerato. Ai latori della richiesta dei parenti Gesù risponde in modo chiaro, sono parole che non possono essere equivocate: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre.”. Gesù non rinnega la sua parentela naturale ma la subordina a un legame più alto, più nobile, più spirituale. Il regno di Dio richiede un impegno personale del discepolo il quale, a volte, deve trascendere tutti i legami naturali di famiglia o di gruppo etnico.

Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Di fronte a queste parole severe, che sono più un grido d’allarme che un verdetto senza appello, si profila un gruppo di persone che richiamerà in modo particolare l’attenzione di Gesù negli episodi che seguiranno. 1. Con questo gruppo, Gesù tesse una relazione privilegiata svincolandosi dai propri legami «naturali»: già la sua famiglia si trova simbolicamente «fuori» (vv. 46,47). Marco sottolinea maggiormente l’ostilità dei congiunti di Gesù nei confronti della sua missione. Questa scelta tra la famiglia e i discepoli riflette in anticipo alcune tensioni nella Chiesa, quando i «fratelli» di Gesù (cfr. Mt 13,55; 1Cor 15,7) faranno pesare la loro autorità. 2. Ma l’evangelista in questo caso cerca soprattutto di definire «i discepoli» della sua Chiesa e di tutti i tempi come quelli che fanno la volontà del Padre di Gesù secondo l’insegnamento del discorso della montagna (v. 50; cfr. Mc 3,35: «Chi fa la volontà di Dio»). Avendo ricordato solo «la madre e i fratelli» di Gesù, Matteo si accorda tuttavia con Marco per includere la parola «sorella» nella cerchia dei discepoli, segno dell’importanza delle donne nella vita delle prime Chiese. Figlio di Davide, più grande di Salomone, profeta più grande di Giona e operante grazie allo Spirito di Dio, chi è dunque quell’uomo e chi lo scoprirà? Così, la prima parte ha proposto la questione essenziale. La seconda parte della sezione presenta un complesso di elementi tra i più importanti: infatti, se Marco collocava il «discorso in parabole» verso l’inizio del ministero di Gesù, Matteo lo pone nel pieno della sua attività e la «citazione riepilogativa» che si era abituati a leggere sotto forma di conclusione si trova qui esattamente a metà del discorso.

La nuova famiglia di Gesù - Angelico Poppi (Sinossi e Commento Esegetico-Spirituale dei Quattro Vangeli): Matteo presenta intorno a Gesù vari gruppi di persone, che assunsero atteggiamenti diversi nei suoi confronti. 1) Gli esponenti religiosi dei giudei lo osteggiavano sempre più accanitamente. 2) I parenti erano distaccati da lui; secondo Giovanni, la maggior parte di loro non credeva in Gesù (7,5); secondo Marco, lo ritenevano “fuori di sé” (3,21). 3) I discepoli, che “facevano la volontà del Padre” (v. 50), perché aperti al suo insegnamento, formavano ormai la sua nuova famiglia. I legami familiari erano passati in secondo ordine. Tra Gesù e i discepoli si era instaurata una unità profonda, determinata dall’amore di Dio, da lui denominato “Padre mio che è nei cieli” (v. 50). In effetti, la comunione di vita che legava i discepoli al Maestro con un vincolo più forte di quello del sangue, scaturiva dal loro amore verso il Padre celeste. Si tenga presente che nella prospettiva dottrinale di Matteo i discepoli rappresentavano i prototipi dei veri cristiani, che facevano la volontà di Dio in piena adesione di fede all’insegnamento di Gesù.

Nell’Antico Testamento il nome fratello per estensione viene dato anche a quelli che, pur non partecipando alla stessa comunità di sangue, fanno parte della stessa tribù, nazione o regno. La parola fratello può designare anche un rapporto morale fondato sulla mutua simpatia, sulla partecipazione ala stessa professione, sulla conclusione di una alleanza. Così David e Gionata si chiamano fratelli a causa della mutua amicizia che esiste tra loro (2Sam 1,26; cfr. Pr 17,17). L’alleanza stretta tra Salomone e Hiram, re di Tiro, unisce i due monarchi con legami fraterni (1Re 9,12-13). Anche negli scritti neotestamentari troviamo abbondantemente questo uso della parola fratello. Così la Chiesa è una comunità di fratelli. In particolare, scrivendo alle sue chiese, Paolo usa spesso il vocativo «o fratelli»/«fratelli miei». Si tratta, certo, di fraternità motivata dalla comune fede; ma non manca una nota affettiva, come appare nella formula «fratelli miei carissimi (agapètoi) (1Cor 15,58; Fil 4,1). Ma altrettanto si può affermare delle lettere della tradizione paolina (2Ts 1,3; 2,1.13.15 ecc.; Col 1,2; 4,9) e delle lettere cattoliche (Gc 1,2; 2,1.14 ecc.; 2Pt 1,10; 1Gv 3,13). L’apostolo poi chiama, di regola, fratelli i suoi collaboratori: Apollo (1Cor 16,12), Epafrodito (Fil 2,25), Quarto (Rm 16,23), Sostene (1Cor 1,1), Timoteo (2Cor 1,1; 1Ts 3,2; Fm 1), Tito (2Cor 2,13). Da parte loro, gli Atti degli Apostoli indicano spesso i cristiani con l’appellativo fratelli (9,30; 10,23; 11,1; 12,17 ecc.). Nella conoscenza di questo uso è assai evidente quindi che nel testo di Matteo i fratelli di Gesù non sono figli di Maria, ma parenti prossimi. Inoltre si possono portare innumerevoli altre testimonianze oltre che quelle linguistiche, pensiamo allo storico cristiano Egesippo che scrive intorno alla metà del II secolo. Comunque, la questione dei fratelli di Gesù non è affatto marginale, in quanto tocca un punto fondamentale della dottrina della Chiesa, ovvero la perpetua verginità di Maria, affermata e dichiarata dogmaticamente dal Concilio di Costantinopoli II nel 553 con la formula «Maria sempre vergine» che ritroviamo spesso ancora nelle liturgie orientali e occidentali. La perpetua verginità di Maria, prima, cioè durante e dopo il parto, obbliga, per così dire, a intendere in senso indiretto l’espressione «fratelli» di Gesù (vuoi cugini o parenti o fratellastri secondo le diverse interpretazioni.).

Maria “sempre Vergine” - Catechismo della Chiesa Cattolica 499-501: L’approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a confessare la verginità reale e perpetua di Maria anche nel parto del Figlio di Dio fatto uomo. Infatti la nascita di Cristo “non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l’ha consacrata”. La Liturgia della Chiesa celebra Maria come la “Aeiparthenos”, “sempre Vergine”.
A ciò si obietta talvolta che la Scrittura parla di fratelli e di sorelle di Gesù. La Chiesa ha sempre ritenuto che tali passi non indichino altri figli della Vergine Maria: infatti Giacomo e Giuseppe, “fratelli di Gesù” (Mt 13,55) sono i figli di una Maria discepola di Cristo, la quale è designata in modo significativo come “l’altra Maria” (Mt 28,1). Si tratta di parenti prossimi di Gesù, secondo un’espressione non inusitata nell’Antico Testamento.
Gesù è l’unico Figlio di Maria. Ma la maternità spirituale di Maria si estende a tutti gli uomini che egli è venuto a salvare: “Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto “il primogenito di una moltitudine di fratelli” (Rm 8,29), cioè dei fedeli, e alla cui nascita e formazione ella coopera con amore di madre”.

Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre - Catechismo della Chiesa Cattolica 2232-2233: I vincoli familiari, sebbene importanti, non sono però assoluti. Quanto più il figlio cresce verso la propria maturità e autonomia umane e spirituali, tanto più la sua specifica vocazione, che viene da Dio, si fa chiara e forte. I genitori rispetteranno tale chiamata e favoriranno la risposta dei propri figli a seguirla. È necessario convincersi che la prima vocazione del cristiano è di seguire Gesù: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37). Diventare discepolo di Gesù significa accettare l’invito ad appartenere alla famiglia di Dio, a condurre una vita conforme al suo modo di vivere: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,49). I genitori accoglieranno e rispetteranno con gioia e rendimento di grazie la chiamata rivolta dal Signore a uno dei figli a seguirlo nella verginità per il Regno, nella vita consacrata o nel ministero sacerdotale.

Discernere la volontà di Dio. - E. Jacquemin e Léon-Dufour: 1. - Il discernimento e la pratica della volontà divina si condizionano a vicenda: bisogna compiere la volontà di Dio per apprezzare la dottrina di Gesù (Gv 7,17), ma d’altra parte bisogna riconoscere in Gesù e nei suoi Comandamenti i comandamenti stessi di Dio (14,23s). Ciò rientra nel mistero dell’incontro delle due volontà, quella dell’uomo peccatore e quella di Dio: per andare a Gesù, bisogna essere «attratti» dal Padre (6,44), attrazione che, secondo la parola greca, è ad un tempo costrizione e dilettazione (giustificando l’espressione di S. Agostino: «Dio che mi è più intimo di me stesso»). Per discernere la volontà di Dio non basta conoscere la lettera della legge (Rom 2,18), ma occorre aderire ad una persona, e ciò può avvenire solo per mezzo dello Spirito Santo che Gesù dona (Gv 14,26). Allora il giudizio rinnovato permette di «discernere qual è la volontà di Dio, Ciò che è bene, ciò che gli piace, ciò che è perfetto» (Rom 12,2). Questo discernimento non riguarda soltanto la vita quotidiana; perviene alla «piena conoscenza della sua volontà, sapienza ed intelligenza spirituale» (Col 1,9): questa è la Condizione di una vita che piaccia al Signore (1,10; cfr. Ef 5,17). Anche la preghiera non può più essere che una preghiera «secondo la sua volontà» (1Gv 5,14), e la formula classica «se Dio lo vuole» assume una risonanza totalmente diversa (Atti 18,21; 1Cor 4,19; Giac 4,15), perché suppone un riferimento costante al «mistero della volontà di Dio» (Ef 1,3-14). 2. Praticare la volontà di Dio. - A che pro conoscere ciò che il padrone vuole, se non lo si mette in pratica (Lc 12,47; Mt 7,21; 21,31)? Questa «pratica» costituisce propriamente la vita cristiana (Ebr 13,21), in opposizione alla vita secondo le passioni umane (1Piet 4,2; Ef 6,6). Più precisamente, la volontà di Dio a nostro riguardo è santità (1Tess 4,3), ringraziamento (5,18); pazienza (1Piet 3,l7) e buona condotta (2,15). Questa pratica è possibile, perché «è Dio che suscita in noi e il volere e l’operare per l’esecuzione del suo beneplacito» (Fil 2,13). Allora c’è comunione delle volontà, accordo della grazia e della libertà.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Sii propizio a noi tuoi fedeli, Signore, e donaci i tesori della tua grazia, perché, ardenti di speranza, fede e carità, restiamo sempre fedeli ai tuoi comandamenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo…