19 Luglio 2018

Giovedì XV Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Matteo 11,28-30: Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi: sono i malati, i sofferenti, i perseguitati, che devono andare da Gesù, ma dobbiamo pensare anche alla stanchezza e all’oppressione dovute a quei fardelli pesanti della legge e delle osservanze, difficili da portare e contro le quali lo stesso Gesù ha avuto parole severe, poiché coloro che pongono questi pesi sulle spalle della gente, non vogliono muoverli neppure con un dito (Mt 23,4). Certo anche Gesù ci impone di portare ogni giorno il giogo della Croce (Lc 9,23), ma Egli ci invita a portarla con Lui; Egli sa come si porta e la Croce non diventerà più disperante, ma leggera, sarà purificazione per noi, sarà merito, sarà partecipazione all’opera della redenzione: Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24-25).

Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero - Lo stile del brano evangelico di oggi è decisamente sapienziale (Sir 51,1-30; Sap 6,9). Gesù invita alla sua sequela i «piccoli», tutti coloro che sono «affaticati e oppressi», ai quali offre la sua legge, dolce e il cui carico è leggero. Per cui, il messaggio emergente è la «nuova giustizia» evangelica in netta contrapposizione con la giustizia farisaica fatta di precetti e di leggi; una giustizia ipocrita, strisciante da sempre in tutte le religioni, anche nel cuore dei cristiani. Chi si mette seriamente al seguito di Cristo deve accettare, senza tentennamenti, la «clausola» che la sequela esige: rinnegare se stessi e portare la croce dietro di lui, ogni giorno (Lc 9,23), senza infingimenti o accomodamenti.
È la croce che, per il Cristo come per il suo discepolo, diventa motivo discriminante della vera sapienza, quella sapienza che agli occhi del mondo è considerata sempre «stoltezza» o «scandalo» (1Cor 1,17-31). Un carico, la croce di Cristo, che non soverchia le forze umane, non annienta l’uomo nelle sue aspettative, non lo umilia nella sua dignità di creatura, anzi lo esalta, lo promuove, lo avvia, «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito Santo» (2Cor 3,18) ad un traguardo di felicità e di beatitudine eterna. La croce va quindi piantata al centro del cuore e della vita del credente.
Molti cristiani tendono invece a porre al centro di tutto la loro vita con le sue scelte morali o gusti o programmi e tentando di far ruotare attorno a questo centro anche l’intero messaggio evangelico, accettandolo in parte o corrompendolo o assoggettandolo ai propri capricci; da qui la necessità di imporre alla Bibbia, distingui, precetti o nuove leggi frutto della tradizione umana; paletti issati come muri di protezione per contenere la devastante e benefica azione esplosiva della Parola di Dio: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini [...]. Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione» (Mc 7,8-9).

Gesù nostro modello: CCC 520-521: Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello (Rm 15,5; Fil 2,5): è “l’uomo perfetto” che ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare (Gv 13,15), con la sua preghiera attira alla preghiera (Lc 11,1), con la sua  povertà, chiama ad accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni (Mt 5,11-12). Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo”. Siamo chiamati a formare una sola cosa con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello.

Gesù umile - Giuseppe Barbaglio (Umiltà, in Schede Bibliche Pastorali): Premettiamo un necessario riferimento al Magnificat, nel quale Maria interpreta poeticamente il senso dell’evento dell’anunciazione: ella loda Dio «perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). Non si tratta però di un caso sporadico; è legge dell’agire divino quella dell’esaltazione dell’umile e dell’abbassamento del superbo: «... ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52). Maria, come anche Anna, la madre di Samuele, nell’AT (cf. Gdc 1,11), ha valore paradigmatico. Il detto: «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato», che sottintende l’intervento di Dio a umiliare ed esaltare, come già nell’AT era stato ripetuto più volte, compare tre volte nei testi dei sinottici e tutte a conclusione di un brano, posto a suggello del senso di quanto precede. Così Lc conclude la pericope riguardante la scelta dei primi posti da parte degli invitati a un banchetto (14,11): un modo per chiarire l’insegnamento di Gesù sull’umiltà. Lo stesso evangelista mette questa conclusione anche alla fine della parabola del fariseo e del pubblicano (18,14): Dio che umilia il superbo ed esalta l’umile si è manifestato a proposito del fariseo e del pubblicano della parabola.
Matteo se ne serve invece per chiudere l’esortazione ai discepoli a non ambire titoli gloriosi all’interno della comunità e, positivamente, a «perseguire la grandezza consistente nel servizio reso ai fratelli» (23,12). Sempre il primo evangelista ha costruito un bel brano incentrato sull’umiltà necessaria per entrare nel regno finale di Dio (18,1-5). Introduce il brano la domanda dei discepoli: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Gesù risponde con un’azione simbolica, tipica dei profeti nell’AT: prende un bambino, lo mette in mezzo a loro e dice: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno di Dio». Dunque la condizione impreteribile per l’ingresso nel regno  futuro di Dio è far proprio un atteggiamento spirituale di umiltà che trova nei bambini una realizzazione naturale: ciò che i bambini sono per se stessi, esseri umili e deboli, deve diventare un tratto della condotta e del sentire interno delle persone. Che sia in questione il motivo dell’umiltà, della bassezza appare dal detto successivo: «Perciò chiunque si umilierà (tapeinósei: ns. trad.) come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli». Un modo per esprimere la classica antitesi di Dio che esalta gli umili e abbassa i superbi; con questa particolarità: il ribaltamento avverrà alla fine. Il detto dunque ha valore escatologico; il che peraltro è tutt’altro che sconosciuto nell’AT. Gesù però non ha solo parlato della necessità di essere umili, ma ha incarnato nella sua persona l’umiltà.
Ne è testimonianza Mt 11,29: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite (prays) e umile di cuore (tapeinos tèi kardiaì) e troverete ristoro per le vostre anime». L’immagine del giogo sta a indicare il peso della legge imposto alle persone. Nel contesto immediato del detto: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò» (v. 28); «Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (v. 30) si precisa l’antitesi tra il peso della legge giudaica che opprime le persone con l’infinito numero delle sue prescrizioni e dei suoi divieti e il giogo della sequela di Cristo, che è tutt’altro che oppressivo.
Gesù afferma di essere maestro mansueto e umile di cuore, da cui i discepoli suoi devono imparare. In concreto «Gesù è tapeinos dinanzi a Dio, sottomesso a lui. L’aggiunta a tapeinos di tèi kardiai rende chiaro che egli non è tale in forza di una necessità imposta, alla quale si sia sottomesso, bensì nella libertà e nell’assenso a questa via in cui Dio l’accompagna. Gesù è tapeinos anche rispetto agli uomini, di cui diventa il servitore e il soccorritore (Lc 22,27; Mt 20,28; Mc 10,45). Questo aspetto del suo essere tapeinos è espresso con prays. Egli si trattiene in compagnia dei peccatori e dei disprezzati, ponendosi in questo modo come modello per i suoi discepoli» (GLNT, XIII, 877).

Grazia e obbedienza alla legge di Dio: Veritatis splendor, 102: Anche nelle situazioni più difficili l’uomo deve osservare la norma morale per essere obbediente al santo comandamento di Dio e coerente con la propria dignità personale. Certamente l’armonia tra libertà e verità domanda, alcune volte, sacrifici non comuni e va conquistata ad alto prezzo: può comportare anche il martirio. Ma, come l’esperienza universale e quotidiana mostra, l’uomo è tentato di rompere tale armonia: “Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto... Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,15.19). Donde deriva, ultimamente, questa scissione interiore dell’uomo? Egli incomincia la sua storia di peccato quando non riconosce più il Signore come suo Creatore, e vuole essere lui stesso a decidere, in totale indipendenza, ciò che è bene e ciò che è male. “Voi diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gen 3,5): questa è la prima tentazione, a cui fanno eco tutte le altre tentazioni, alle quali l’uomo è più facilmente inclinato a cedere per le ferite della caduta originale. Ma le tentazioni si possono vincere, i peccati si possono evitare, perché con i comandamenti il Signore ci dona la possibilità di osservarli: “I suoi occhi su coloro che lo temono, egli conosce ogni azione degli uomini. Egli non ha comandato a nessuno di essere empio e non ha dato a nessuno il permesso di peccare” (Sir 15,19-20). L’osservanza della legge di Dio, in determinate situazioni, può essere difficile, difficilissima: non è mai però impossibile. È questo un insegnamento costante della tradizione della Chiesa, così espresso dal Concilio di Trento: “Nessuno poi, benché giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti; nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e condannata con la scomunica dei Padri, secondo la quale è impossibile all’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio infatti non comanda ciò che è impossibile, ma nel comandare ti esorta a fare tutto quello che puoi, a chiedere ciò che non puoi e ti aiuta perché tu possa; infatti “i comandamenti di Dio non sono gravosi” (cfr. 1Gv 5,3) e “il suo giogo è soave e il suo peso è leggero” (cfr. Mt 11,30).

Il missionario deve avere i sentimenti di Gesù: Ad Gentes 24: Alla chiamata di Dio l’uomo deve rispondere in maniera tale da vincolarsi del tutto all’opera evangelica, «senza prender consiglio dalla carne e dal sangue». Ed è impossibile dare una risposta a questa chiamata senza l’ispirazione e la forza dello Spirito Santo. Il missionario diventa infatti partecipe della vita e della missione di colui che «annientò se stesso, prendendo la natura di schiavo» (Fil 2,7); deve quindi esser pronto a mantenersi fedele per tutta la vita alla sua vocazione, a rinunciare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio, ed a «farsi tutto a tutti». Annunziando il Vangelo ai pagani, deve far conoscere con fiducia il mistero del Cristo, del quale è ambasciatore: è in suo nome che deve avere il coraggio di parlare come è necessario, senza arrossire dello scandalo della croce. Seguendo l’esempio del suo Maestro, mite e umile di cuore, deve dimostrare che il suo giogo è soave e il suo peso leggero. Vivendo autenticamente il Vangelo, con la pazienza, con la longanimità, con la benignità, con la carità sincera, egli deve rendere testimonianza al suo Signore fino a spargere, se necessario, il suo sangue per lui. Virtù e fortezza egli chiederà a Dio, per riconoscere che nella lunga prova della tribolazione e della povertà profonda risiede l’abbondanza della gioia. E sia ben persuaso che è l’obbedienza la virtù distintiva del ministro di Cristo, il quale appunto con la sua obbedienza riscattò il genere umano.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Anche nelle situazioni più difficili l’uomo deve osservare la norma morale per essere obbediente al santo comandamento di Dio e coerente con la propria dignità personale.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via,concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo…