14 Luglio 2018

Sabato XIV Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Beati voi se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito di Dio riposa su di voi” (Canto al Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Matteo 10,24-33: I discepoli sono in difficoltà, la Parola sembra che abbia perduto la sua efficacia, la Chiesa stessa è perseguitata; sembra che tutto stia per risolversi in un sonoro fallimento... eppure Gesù infonde coraggio e dà ai suoi una speranza: Lui sarà sempre con la sua Chiesa e nessuno potrà distruggere quanto Dio stesso ha edificato. Per questa presenza divina i cristiani potranno e dovranno proclamare tutto senza alcun timore, se è necessario affrontando anche il martirio. Questa presenza divina, inoltre, svela ai credenti il vero volto di Dio: il «Dio vicino, previdente e provvidente, che mai fa mancare la sua assistenza; il Dio amico, che infonde coraggio e sostiene nelle avversità: il Dio ch’è sempre accanto all’uomo per difenderlo» (Mons. Marcello Semeraro).

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): vv. 26-27 Gesù, data l’impreparazione del popolo, ha dovuto promulgare il suo messaggio in modo velato e ricorrere alle parabole; i suoi contemporanei infatti non avrebbero capito il suo messianismo spirituale. Gli apostoli tuttavia, quando annunzieranno il messaggio evangelico, non dovranno promulgarlo in modo velato, ma apertamente e chiaramente, poiché essi, dopo che l’opera di Cristo sarà compiuta, non dovranno avere nessuna preoccupazione, né usare delle cautele nella predicazione del messaggio evangelico. Le espressioni del verso 27 forse alludono ad usi ebraici vigenti nelle sinagoghe. Luca, nel passo parallelo (12,3), offre un’altra applicazione alle parole del versetto 27.
v. 28 Dio solo va temuto, non il Maligno, né i suoi complici, poiché il loro potere si arresta con la morte. Gesù parla di perdizione dell’anima e del corpo; espressione, questa, che allude ad una pena eterna comune all’anima ed al corpo nella geenna... II detto evangelico, che suona duramente al nostro orecchio, è formulate alla maniera semitica; gli ebrei non sottilizzavano troppo, essi attribuivano a Dio la rovina eterna dell’uomo, non distinguendo in Dio la volontà permissiva da quella assoluta o positiva. Perdere non significa annientare, ma rendere miserevole.
vv. 29-31 Gesù suggerisce un altro motivo di fiducia: Dio, il quale provvede al passero che ha un prezzo illusorio e conta perfino i capelli della testa, segue certamente con maggiore cura l’apostolo nelle difficoltà della vita missionaria. Gesù non indica all’apostolo la forma con la quale Dio gli viene in aiuto, ma lo rassicura che il Signore lo segue con interesse paterno. A Dio non sfugge nemmeno un capello del suo inviato.
Cristo argomenta a minori ad maius; una simile argomentazione era accessibile a tutti e d’effetto immediato. L’asse, moneta romana di bronzo, è la decima parte di un denaro d’argento.
vv. 32-33 Chiunque si dichiarerà per me; il verbo omologhein ha un senso non ben definito. Tenendo presente che Gesù prima ha accennato alla «testimonianza» ... da dare ai giudici ed ai pagani, e che nel versetto parallelo egli parla di negare nel senso di «non conoscere» (vers. 33), si può rendere il verbo omologhein con «dichiararsi». Considerando l’etimologia greca si può anche tradurre: chi converrà con me ..., cioè: chi mi sarà fedele.
Davanti al Padre mio che è nel cielo; cioè nell’ultimo giudizio, quando il Figlio consegnerà gli eletti al proprio Padre; cf. Mt. 25,34· La breve dichiarazione contiene un rilievo di notevole importanza; la base del giudizio è la testimonianza a Cristo o il rinnegamento di Cristo.

Non abbiate paura degli uomini - Questo invito, che si ripete per ben tre volte, è il tema ricorrente del brano evangelico di questa domenica. Serve da filo conduttore e ad amalgamare gli elementi, di origine diversa, presenti nel Vangelo. È insistente anche la menzione del Padre che «richiama il motivo della paternità divina, emersa nel Padre nostro come novità centrale del messaggio evangelico, che consiste appunto nella proclamazione dell’intervento salvifico di Dio in favore dell’umanità peccatrice» (Angelico Poppi).
Gesù nell’invitare i suoi discepoli a non temere gli uomini, li sollecita ad annunciare il messaggio evangelico alla luce del giorno. Salire sui tetti è una metafora che cela e rivela una profonda verità: la vittoria del Vangelo è sicura; nessuna opposizione umana potrà ridurlo al silenzio per sempre. Da qui la franchezza dell’annuncio.
Il secondo invito, non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima, è rivolto a non temere le angherie e le persecuzioni degli uomini e a porre la propria fiducia nel Padre celeste. Gli uomini arroganti, gli aguzzini possono uccidere il corpo, ma non hanno il potere di «uccidere l’anima». Solo Dio può decidere la sorte ultima del corpo e dell’anima.
L’esortazione è quindi indirizzata a temere il giudizio di Dio.
Nel Nuovo Testamento, con il nome di Geènna, dall’ebraico ghe-hinnom, la valle di Ben-Hinnòm posta a sud di Gerusalemme, viene indicato il luogo del fuoco dove saranno gettati gli empi nel giorno del giudizio (Cf. Mt 5,22). Il sito, nei tempi antichi, era utilizzato per officiare i riti cananei, quali per esempio il sacrificio di vittime umane, in particolare bambini (Cf. 2Re 16,3; 21,6; 23,10; Is 30,33; Ger 7,31; 19,5s; 32,35; Ez 16,21). I sacrifici umani furono successivamente soppressi dal re Giosia, il quale trasformò la valle in una discarica di immondizie e cadaveri a cui non veniva concessa la normale sepoltura, dove il tutto veniva bruciato da un fuoco continuo. La Geènna divenne così sinonimo di inferno.
Durante le prove della persecuzione e del martirio a sostenere i servi della Parola (Cf. Lc 1,1) sarà la memoria della vita, morte e risurrezione del loro Maestro: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Inoltre, nelle torture fisiche, i discepoli saranno assistiti dal Padre che li solleverà dalla prova e li renderà vittoriosi, e nulla permetterà se non per un solo disegno di salvezza.
La conclusione dell’esortazione (v. 31) è «introdotta con un dunque, costituita da un altro detto di Gesù, in cui si contrappongono due scene giudiziarie, l’una al cospetto degli uomini, e l’altra al cospetto di Dio; nell’una e nell’altra alternativa è fra riconoscere e rinnegare, con la differenza che nel tribunale umano è il cristiano ad essere interrogato a riguardo di Gesù, mentre nel tribunale divino le parti si rovesceranno: sarà Gesù ad essere interrogato a riguardo del cristiano, a riconoscerlo o a disconoscerlo» (Vittorio Fusco).
Anche se Matteo non prende in considerazione l’esistenza dell’anima separata dal corpo dopo la morte, possiamo ricordare il Magistero della Chiesa: l’uomo è «unità di anima e corpo» (GS 14) e nel giorno della sua morte «l’anima  viene separata dal corpo. Essa sarà riunita al suo corpo il giorno della risurrezione dei morti» (CCC 1005): «quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna» (Dan 12,2).
Matteo ha voluto sottolineare la certezza che la Provvidenza divina tutto guida e tutto conduce a un porto di bene, nonostante le apparenti vittorie della malvagità e della cattiveria umane. Ma è chiaro che non basta conservare nel cuore queste belle promesse divine, occorre crederci sul serio, e questo non è facile, soprattutto quando la paura attanaglia il cuore; paralizza la mente; brucia, come febbre, sicurezze o certezze sulle quali erano stati costruiti ideali o progetti umani. Solo l’incosciente può ignorare tutto questo. Occorre allora una risposta a questo agire divino, e questa risposta si chiama: filiale e fiducioso abbandono alla volontà di Dio.

Il cristiano e la paura - Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): La paura è un appannaggio dell’uomo. Da quando egli si è allontanato da Dio, ha perso il dono divino della sicurezza perenne e vive nella continua precarietà. La su avita e tutti i suoi valori terreni e spirituali sono minacciati da molti nemici e corrono continuamente il rischio di essere travolti. Solo l’incosciente può ignorare tutto questo. La paura è talmente una condizione umana che Cristo, avendo anche lui un’umanità, non fu esentato dalla paura. Nel Getsemani effettivamente sentì «paura ed angoscia» (Mc 14, 33).
Eppure Gesù nel vangelo di oggi per ben tre volte raccomanda ai discepoli di non aver paura.
È vero, egli parla della paura incussa dagli uomini. Ma anche in lui nel Getsemani la passione, che gli faceva aver paura, non derivava da una minaccia divina, ma dagli uomini, carnefici del suo corpo fisico c carnefici morali della sua anima. Con la loro infedeltà erano causa dei suoi tormenti, ma poi anche la sua missione salvatrice frustravano. Erano dunque anche gli uomini che lo spaventavano.
Da ciò si capisce che Gesù non vuole irridere e condannare il sentimento naturale del timore. Egli vuole solo che i cristiani temano prima di tutto il danno eterno, che viene dal giudizio di Dio. Solo questo male è irrimediabile, gli altri sono riparabili.
Comunque Gesù non intende disapprovare la naturale trepidazione che sorge dai pericoli dalle minacce di provenienza umana, perché anche questo sarebbe ignorare l’uomo. Fortifica però la volontà affinché i cristiani agiscano come se non avessero paura di coloro che combattono il Regno di Dio. [...].
Gesù vuole che i suoi seguaci abbiano il coraggio della professione della fede e siano sostenuti dalla certezza di chi sa che trionferà, vuole la fortezza nelle persecuzioni, fortezza alimentata dalla convinzione che esse non nuoceranno al destino eterno. Esorta ad essere valorosi, proprio in forza della sicurezza nella protezione divina. E qui apre uno spiraglio sull’azione universale della provvidenza di Dio, che di tutto si prende cura e tutto dispone a profitto dei suoi figli. Come potrebbe infatti trascurarli quando nella sua opera benefica non perde di vista neppure gli esseri più minuscoli (due passeri di un soldo) come potrebbe rimanere insensibile alle lor necessità quando ne ha una conoscenza più profonda e più completa di quanta ne hanno di sé loro stessi (conosce il numero dei capelli)?

... quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze: Giovanni Paolo II (Omelia, 25 maggio 1985): Il messaggio, che Gesù per il momento confida «all’orecchio» dei suoi Apostoli, sarà in seguito «proclamato sui tetti» (cfr. Mt 10,27), risuonerà cioè palesemente all’orecchio di tutti. La parola evangelica possiede in se stessa una forza inarrestabile, che la proietta verso il mondo e verso il futuro. Si potrà cercare di osteggiarla e di soffocarla, ma alla fine essa vincerà tutte le barriere, raggiungerà ogni regione, conquisterà il cuore di ogni persona di buona volontà. Duemila anni di storia confermano la verità di questa predizione di Cristo: il Vangelo ha valicato i mari e si è spinto oltre i confini delle più impervie regioni della terra. Non che siano cessati, nel frattempo, gli ostracismi e le persecuzioni: anche da questo punto di vista la parola di Cristo continua ad avere puntuale attuazione. Ma i credenti di oggi possono sapere già da ora quali saranno gli esiti finali delle angustie a cui sono sottoposti nel presente: gli annunciatori del Vangelo possono anche essere imprigionati, ma non lo sarà l’annuncio di cui essi sono portatori (cfr. 2Tim 2,9).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…