11 Luglio 2018

Mercoledì XIV Settimana T. O.

San Benedetto, Abate, Patrono d’Europa


Oggi Gesù ci dice: “Inclina il tuo cuore alla prudenza” (I Lettura).  

Dal Vangelo secondo Matteo  19,27-29: Alla domanda di Pietro, umanamente interessata, Gesù risponde con una promessa che si farà realtà nella rigenerazione del mondo: voi, miei amici (Gv 15,15), siederete su dodici troni a giudicare le tribù d’Israele. Giudicare può essere inteso anche nel senso di governare (cfr. Gdc 12,8.9.11; 15,20; 16,31; Sal 2,10), nel brano di Matteo va riferito al giudizio universale, al tempo in cui il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria come giudice dei vivi e dei morti. Quindi, i Dodici saranno associati a Gesù nel giudicare le tribù d’Israele. La lista delle cose lasciate per il regno di Dio certamente non è esaustiva. Marco riporta lo stesso elenco (10,28-31), Luca vi aggiunge la moglie (18,29). Ai piccoli sacrifici Dio risponde con doni incommensurabilmente incomparabili: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”.

Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo? - Felipe F. Ramos: Alla questione, impostata da Pietro in nome dei discepoli, Gesù risponde garantendo il premio alla rinunzia: dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele. Questo linguaggio figurato è preso dal profeta Daniele (7,9-14), nel quale si parla di troni e del Figlio dell’uomo.
Gesù afferma così di essere il Figlio dell’uomo - nel quale si rileva sempre l’aspetto giudiziale di questa figura misteriosa - e i discepoli, ai quali è stato concesso di conoscere il mistero del regno (13,11), sono associati intimamente a Gesù. Le dodici tribù d’Israele erano una designazione arcaica ai tempi di Gesù: da secoli le tribù come tali erano scomparse, e l’espressione si conservava a designare il popolo come tale; ma quell’espressione usata anche per designare il nuovo popolo di Dio
Che cosa si promette ai discepoli? Nell’espressione di Gesù, il premio pare condizionato al momento in cui sarà dato; e questo momento è quello della rigenerazione. In tutto il Nuovo Testamento, il termine rigenerazione, palingènesi, compare solo qui e in Tt 3,5. Nel testo della lettera a Tito, si riferisce al battesimo; nel nostro testo, si riferisce anche all’ultimo intervento di Dio nella storia, ma questo è già venuto quando Dio ha mandato il suo Figlio. La frase potrebbe anche orientarci a pensare al giudizio finale, ma non si tratta di questo. La «rigenerazione» indica la nuova vita sgorgata nell’uomo per l’azione di Dio; quindi indicherebbe il periodo della Chiesa e si applicherebbe a tutti i credenti, a quelli che si sottomettono alla sovranità divina e ne sono partecipi. La promessa fatta ai discepoli è quella di essere «giudici» nel senso di «dirigenti» (il termine «giudice» avrebbe quindi il senso che ha nel libro dei Giudici, figure delle quali Dio si servì per «governare» il suo popolo).
La promessa di Gesù si estende a tutti quelli che hanno abbandonato tutto per amor suo e, in definitiva, a tutti i credenti. Essi riceveranno certamente il premio, e un premio superiore a quello che possono immaginare.

Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?: Giovanni Paolo II (Omelia, 8 Ottobre 2000): “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28). Questa affermazione di Pietro esprime la radicalità della scelta che è richiesta all’apostolo. Una radicalità che si chiarisce alla luce del dialogo esigente, fatto da Gesù con il giovane ricco. Quale condizione per la vita eterna, il Maestro gli aveva additato l’osservanza dei comandamenti. Di fronte al suo desiderio di maggiore perfezione, aveva risposto con uno sguardo di amore e una proposta totalitaria: “Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc 10,21). Su questa parola di Cristo calò, come un oscurarsi improvviso del cielo, la tristezza del rifiuto. Fu allora che Gesù pronunciò una delle sue sentenze più severe: “Com’è difficile entrare nel regno di Dio!” (Mc 10,24). Sentenza che egli stesso, di fronte allo sbigottimento degli apostoli, mitigò, facendo leva sulla potenza di Dio: “Tutto è possibile presso Dio” (Mc 10,27). L’intervento di Pietro diventa espressione della grazia con cui Dio trasforma l’uomo e lo rende capace di un dono totale. “Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28). È così che si diventa apostoli. Ed è così che si sperimenta anche l’avverarsi della promessa di Cristo circa il «centuplo»: l’apostolo che ha lasciato tutto per seguire Cristo vive già su questa terra, nonostante le immancabili prove, un’esistenza realizzata e gioiosa.

La vita eterna: CCC 1023-1205: Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” (1Gv 3,2), faccia a faccia […]. Questa vita perfetta, questa  comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva. Vivere in cielo è “essere con Cristo”. Gli eletti vivono “in lui”, ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il loro proprio nome : “Vita est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi regnum - La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è la vita, là c’è il Regno”

San Benedetto Abate: Paolo VI (Pacis nuntius, Lettera Apostolica, 24 Ottobre 1964): Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli della esaltazione di san Benedetto Abate. Al crollare dell’Impero Romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una nuova èra. Principalmente lui e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con l’aratro il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia (cfr. AAS 39 (1947), p. 453). Con la croce, cioè con la legge di Cristo, diede consistenza e sviluppo agli ordinamenti della vita pubblica e privata. A tal fine va ricordato che egli insegnò all’umanità il primato del culto divino per mezzo dell’«opus Dei», ossia della preghiera liturgica e rituale. Fu così che egli cementò quell’unità spirituale in Europa in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l’unico popolo di Dio; unità che, grazie allo sforzo costante di quei monaci che si misero al seguito di sì insigne maestro, divenne la caratteristica distintiva del Medio Evo. Questa unità che, come afferma sant’Agostino, è «esemplare e tipo di bellezza assoluta» (cfr. Ep. 18,2: PL 33,85), purtroppo spezzata in un groviglio di eventi storici, tutti gli uomini di buona volontà dei tempi nostri tentano di ricomporre.

Giovanni Paolo II (Discorso 23 Marzo 1980): L’esempio di San Benedetto: «Ora et labora; prega e lavora». I tempi in cui si inserisce la vicenda spirituale di san Benedetto erano densi di intime contraddizioni, di ambigue ed utopistiche aspirazioni, di vani propositi di grandezza. Il santo di Norcia, tuttavia, nutrito delle certezze della fede, riaffermò la forza di un cristianesimo maestro di dignità morale, di libertà spirituale, ed insieme artefice di civiltà. La conquista di spazi interiori, che offrano a Dio il giusto posto nello spirito umano, tutto quell’impegno, insomma, che potremmo contraddistinguere col primato dell’"ora", del “prega”, non è assolutamente in contrasto, ma anzi concede respiro e dona intuizione creativa alla vera apertura verso la sfera sociale, verso il sofferto dovere quotidiano, verso le vive forze del lavoro e della cultura, animando così di fervido afflato, di spirito di servizio il grande e travagliato mondo del “labora”. Voi avete avvertito l’urgente bisogno di incontrarvi con l’assoluto e quindi avete scoperto l’importanza dell’interiorità, del silenzio, della meditazione, per poter cogliere il senso definitivo e rappacificante della propria esistenza. Avete assaporato la dolcezza della preghiera e di quella sempre rinnovata e perseverante riconciliazione di amicizia col Signore, stabilita nei cuori da un atteggiamento esistenziale di umile ed operosa ubbidienza al Padre celeste. Con san Benedetto, allora, vi rivolgerò il paterno invito: “Ausculta, fili, verba magistri”; ascoltate, o figli, gli insegnamenti dei veri maestri, e rendete attenti i vostri cuori nel silenzio orante! Mettetevi spesso di fronte al Maestro interiore!  La carità e l’amore si manifestano nella sollecitudine per il prossimo ed in un aperto dialogo con i fratelli, rispettandone la dignità ed essendo disponibili ad un’osmosi di reciproci contributi. Pieno di delicatezza nel trattare i monaci, nell’accogliere i pellegrini, nel curare i malati, il santo elenca tra gli strumenti per operare rettamente: « soccorrere i poveri,... visitare i malati,... aiutare chi è colpito da sventura, consolare gli afflitti,... nulla anteporre all’amore di Cristo» (Regola, IV).

San Benedetto, Abate: Benedetto XVI (Udienza Generale, 9 Aprile 2008): Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo. In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Facciamo come dice il profeta: “Ho detto: Custodirò le mie vie per non peccare con la lingua; ho posto un freno sulla mia bocca, non ho parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone”. Se con queste parole egli dimostra che per amore del silenzio bisogna rinunciare anche ai discorsi buoni, quanto più è necessario troncare quelli sconvenienti in vista della pena riserbata al peccato!» (San Benedetto, Regola, Cap. VI).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai scelto san Benedetto abate e lo hai costituito maestro di coloro che dedicano la vita al tuo servizio, concedi anche a noi di non anteporre nulla all’amore del Cristo e di correre con cuore libero e ardente nella via dei tuoi precetti. Per il nostro Signore Gesù Cristo...