6 Giugno 2018

Mercoledì Feria IX Settimana «per annum»


Oggi Gesù ci dice: “Io sono la resurrezione e la vita, dice il Signore; chiunque crede in me non morirà in eterno” (Cfr. Gv 11,25a.26).

Dal Vangelo secondo Marco 12,18-27: I sadducèi, che negavano la risurrezione, interrogando Gesù su questo tema intendevano sopra tutto ridicolizzare la fede dei farisei. Gesù poggia la sua risposta su un dato fondante per la fede del popolo d’Israele: il Dio di Abramo è il Dio dei vivi ed è tale perché dona la vita. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi: in «lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (Atti 17,28). Abramo, Isacco e Giacobbe non sono vivi perché vivono nel ricordo dei figli da loro generati, ma perché Dio li ha creati per l’immortalità facendoli a immagine della propria natura (Cf. Sap 2,23).

Il racconto odierno è comune a Matteo (22,23-33) e a Luca (20,27-38). I sadducèi per dottrina erano in contrapposizione con i farisei. Si ritroveranno amici quando sarà necessario far fronte comune per neutralizzare Gesù. Inoltre, a differenza dei farisei, i sadducéi consideravano valido soltanto quanto era scritto nella Torah e non trovando in essa alcun testo che affermasse una nuova vita nell’aldilà non credevano nella risurrezione. Non credevano nemmeno nell’esistenza degli angeli (Cf. At 23,8).
Nell’interrogare Gesù, per dare maggior autorità alle loro parole e screditare la dottrina dei farisei, citano la legge del levirato (Dt 25,5ss). Secondo questa legge se un uomo moriva senza lasciare figli, il fratello era obbligato a sposare la vedova per dare una discendenza al defunto.
I sadducèi, «setta più rozza di quella farisaica» (san Giovanni Crisostomo), con la storia dei sette fratelli non soltanto vogliono mettere in difficoltà Gesù, ma puntano a ridicolizzare la fede nella risurrezione dei morti professata dai farisei, loro acerrimi nemici. Infatti, con accenti tra il grottesco e l’ironico, alla fine del loro racconto, chiedono a Gesù: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Ma al di là dei toni e degli intenti si può pensare ragionevolmente che al ragionamento dei sadducèi «sottende una concezione materialistica della risurrezione, come se la vita dei risorti potesse essere valutata alla stregua di quei valori d’oggi: matrimonio, appartenenza di una persona all’altra, morte» (Carlo Ghidelli).
Gesù risponde affermando inequivocabilmente la realtà della risurrezione e illustrando i requisiti dei corpi risorti confuta sapientemente l’argomento dei sadducèi: se in questo mondo gli uomini contraggono nozze per assicurare la continuità della specie,  «nella risurrezione» cesserà questa necessità: gli uomini «giudicati degni della vita futura e della risurrezione», partecipando a una nuova vita, saranno «uguali agli angeli» e non potranno più morire. L’evangelista Luca dicendo saranno uguali agli angeli non vuole fare un paragone, ma spiegare in cosa consiste la risurrezione: non in una «rianimazione di un cadavere, bensì nella spiritualizzazione di tutto l’essere umano, reso simile agli angeli in cielo, per partecipare alla vita di Dio, come dono sublime della sua liberalità» (Angelico Poppi).
Gesù per affermare il mistero della risurrezione cita la Parola di Dio, così come avevano fatto i suoi interlocutori per negarla. È infatti la Sacra Scrittura a dimostrare il grave errore dei sadducèi: il Signore, nella teofania del roveto ardente, dichiarandosi «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6) rivela una comunione vera con degli esseri che anche dopo la morte continuano a vivere.
«Vivono per sempre» (Sap 5,15) perché da Dio sono stati creati per l’immortalità: «Dio non ha creato la morte; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale [...]. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo ha fatto a immagine della propria natura» (Sap 1,13.15-2,23).
 La morte non può spezzare la comunione di coloro che si addormentano nel Signore con il Dio vivo e fedele (Cf. Rom 6,10): Dio, non intendendo lasciare i suoi amici nella corruzione del sepolcro (Cf. Sal 16,10s), saprà trarli col suo Spirito dalla polvere (Cf. Ez 37,3; Gv 11,24s).
Una comunione che coinvolgerà interamente l’uomo: nel giorno della risurrezione dei morti i corpi si ricongiungeranno alle anime per godere eternamente.
La risposta di Gesù zittisce i sadducèi e appaga i farisei i quali plaudono con vero entusiasmo: una volta tanto si sono trovati d’accordo con il giovane rabbi di Nazaret.

La risurrezione dei morti - Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): vv. 18-27. Gesù, prima di rispondere all’obiezione sollevata dai sadducei, si preoccupa di segnalare le fonti da cui promana: la tendenza dell’uomo a ridurre la grandezza divina entro i limiti umani, nonché una eccessiva fiducia nella ragione che porta a disprezzare la dottrina rivelata e la potenza divina.
Qualcuno può certo trovare delle difficoltà innanzi alle verità della fede e ciò non stupisce, poiché queste verità trascendono la ragione. Ma è ridicolo sforzarsi di rinvenire contraddizioni nella parola rivelata: è questa la via per non risolvere le difficoltà, anzi per smarrirsi definitivamente. Alla Sacra Scrittura, e in generale alle realtà divine, l’uomo deve avvicinarsi con l’umiltà che la fede richiede. Proprio nel passo del roveto ardente, che Gesù cita di fronte ai sadducei, Dio disse a Mosè: «Tògliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!» (Es 3,5).

Benedetto Prete (Il Vangelo secondo Marco): v. 25. Quando si risorgerà da morte ...; il Maestro afferma con termini categorici la risurrezione, la quale introduce in una vita simile a quella che hanno gli angeli, spiriti senza corpo. Nel nuovo genere di vita gli uomini e le donne non condurranno più un’esistenza nella quale sia necessario prender moglie o prender marito, ma saranno equiparati agli angeli, cioè saranno posti nella condizione di questi esseri spirituali che non soggiacciono alle necessità dell’esistenza terrena. Un testo della Mishna, che si fa eco di una tradizione sana dell’ebraismo, parla della vita futura nel modo seguente: “Nel mondo futuro non vi è né il mangiare, né il bere, né la generazione, né la riproduzione; i pii saranno assisi con la testa incoronata e si bagneranno nelle splendore della divinità”.

Dio non è dei morti, ma dei viventi - Il ricordo del tempo transitorio e la memoria di un tempo che si fa breve aiutano il cuore a riscoprire la bellezza della vita come comunione con Dio.
I Novissimi, pietosi amici, che ricordano alla nostra vanagloria di farsi umiltà, sono specchio terso in cui si riflettono i nostri vizi e le nostre virtù.
Le ultime realtà sono vigorose spinte a cambiare vita, ad uniformarsi alla Legge di Dio qualora ci si accorgesse di essersi allontanati dalla casa del Padre. Per Maurice Bellet quando Cristo «parla del cielo e dell’inferno, egli in fondo fa un annuncio di libertà, di quella libertà primordiale per cui ogni uomo è responsabile delle scelte fondamentali nella vita» (Christus, 1969, pg. 29). Sarà la morte a restituire, a riconsegnare all’uomo quella libertà che il peccato gli aveva rubato.
La morte, incontro eterno con la Luce, abbraccio misericordioso con il giusto Giudice, metterà a nudo il nostro cuore e svelerà i nostri pensieri.
Dolce epifania dell’eterno destino dell’uomo, la morte è via che conduce alla gioia senza fine oppure strada che conduce all’eterna disperazione.
Se manca la meditazione sulla morte e sul nostro ultimo destino si piomba in una aberrante autodeterminazione, che è stoltezza e insipienza di giudizio e di orientamento.
La morte per molti, anche per tanti credenti, oggi è un tabù, cioè qualcosa di cui non si deve nemmeno parlare. Oggi siamo meno preparati psicologicamente a morire. Innanzi tutto, perché è scemata l’esperienza di morte e poi per il complesso fenomeno della secolarizzazione.
La morte quando diventa meta agognata, desiderata, fa vivere in pienezza la vita anche quando questa volge al declino. La morte non è altro che un «tempo eterno» lungamente, oculatamente, preparato nel «tempo transeunte».
Si vede, così, con lucidità e con realismo, la parabola umana; il suo nascere, il suo mettere radici, il suo sfiorire. La nascita, la vita e la morte non devono essere separate perché l’una è compagna dell’altra, l’una spiega l’altra.
In una ottica cristiana la nascita è il tempo del dono, la vita il tempo per trafficarlo, la vecchiaia, l’autunno, la vendemmia, il tempo del raccolto.
Morte e vecchiaia diventano sinonimi. Chi accoglie la morte accoglie la vecchiaia. Chi vive in una gioiosa attesa della morte vive intensamente il mistero della vecchiaia.
La vecchiaia non è la decrepitezza di un corpo sfiorito, ma il seminare un seme in una terra nuova, seme che porterà abbondanti frutti.
L’uomo mondano è abbarbicato a questa vita, rifiuta di guardare in avanti e guarda stravolto il tempo che è passato. Il cristiano, il credente, invece, depone il suo passato nel cuore di Dio e si volge al futuro, pregustando la gioiosa festa che accompagna ogni abbondante raccolto.
La vecchiaia è il tempo della gioia, della danza, della festa. È il tempo del ritorno a casa. La vecchiaia mette le ali ai passi stanchi dei giovani, è vigore al corpo stanco, è meditazione, contemplazione, luce nuova che rischiara un cammino misterioso: la vecchiaia è già possesso di realtà esaltanti. In questa luce il «passa la figura di questo mondo» (1Cor 7,31), non è più fatalismo, ma un dolce apparecchiarsi ai cieli nuovi e a una terra nuova (2Pt 3,13). La vecchiaia è il tempo felice che prepara alla vita eterna. È tempo di attesa nella pace e nella quiete dello spirito. È già possesso, in un corpo che si prepara a risorgere, della beatitudine. È un anticipare la liturgia celeste. È la cattura di nuovi pensieri; è il superare i confini di un mondo terrestre, angusto, fatuo, effimero. La morte porta a termine questo progetto, ma la sua realizzazione non può prescindere dalla accoglienza della parola di Dio come progetto di vita: «Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!» (1Cor 7,29-31).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “La Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro, questa certezza? Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli altri, condividerla con gli altri. È proprio la nostra testimonianza” (Papa Francesco). 
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nella tua provvidenza tutto disponi secondo il tuo disegno di salvezza, allontana da noi ogni male e dona ciò che giova al nostro vero bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo...