5 Giugno 2018

 Martedì Feria IX Settimana «per annum»


Oggi Gesù ci dice: “Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Marco 12,13-17: I Farisei cercano di screditare Gesù dinanzi al popolo. La moneta presentata a Gesù era quella del tributo e se avesse detto che era lecito pagarlo avrebbero potuto tacciarlo di essere amico dei Romani, la potenza dominante e invisa ai Giudei. Accettare quella moneta e consegnarla agli esattori dello Stato straniero era riconoscere a questi il diritto di governare e automaticamente rinunziare alla potestà di Dio e del suo messia. Sarebbe stato un atto formale di apostasia.

Ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo, che avevano contestato l’autorità di Gesù, ora subentrano altri interlocutori (Cf. Mt 21,23-27), i discepoli dei farisei e gli erodiani. Quest’ultimi, partigiani di Erode il grande e dei suoi discendenti, in particolare di Erode Antipa, a differenza dei farisei, erano a favore del pagamento del tributo a Cesare. Le due fazioni sempre in lite a motivo delle innumerevoli divergenze religiose e politiche, si ritrovano in questa disputa alleate per osteggiare Gesù, declarato nemico comune: la combutta, quindi, la dice lunga sulla buona intenzione e sull’onestà di questi approcci, che come denuncia l’evangelista Matteo erano suscitati unicamente «per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi».
Le leggi di Roma in quanto repressive erano da quasi tutti gli Israeliti accettate obtorto collo e la questione del tributo non era cosa da prendere sottogamba, perché pagarlo «costituiva un tacito riconoscimento del dominio straniero e la rinunzia implicita alla speranza messianica. Si trattava di un problema di coscienza, data la persistente concezione teocratica in Israele, che determinò la ribellione di alcuni rivoluzionari, contrari al versamento del tributo» (Angelico Poppi).
Alla domanda se era lecito, naturalmente secondo la legge di Dio, pagare il tributo a Cesare, Gesù risponde in modo da evitare la trappola che gli era stata tesa. Rispondendo, infatti, che quelli che usano la moneta di Cesare sono tenuti a restituirla, Gesù evita di prendere posizione sulla liceità o meno del pagamento del tributo. Il tranello preparato dagli interlocutori ipocriti era comunque molto evidente: se, infatti, avesse risposto che non era lecito, l’avrebbero accusato di disprezzare le leggi vigenti, se invece avesse risposto che era lecito «l’imputazione sarebbe quella esattamente contraria. Gesù si rivelerebbe un pessimo israelita, un collaborazionista, un fiancheggiatore dei romani. E Gesù se ne libera con una risposta ad hominem: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Risposta che tutto sommato lascia assolutamente aperto il problema, benché si sia soliti ascrivere a questo logion il principio nuovo e inedito della separazione del potere temporale da quello religioso» (Cettina Militello).
Dalla risposta si evince come Gesù, rifiutando di entrare in questioni prettamente politiche, abbia voluto impartire alle guide spirituali d’Israele «un profondo insegnamento teologico circa la priorità assoluta di Dio su ogni dominatore terreno, anche se usurpava titoli divini. Riguardo alle disquisizioni teologiche e giuridiche nella storia della Chiesa dei rapporti tra il potere civile e quello religioso sulla base della sentenza di Gesù, si tratta di deduzioni dottrinali posteriori, talvolta discutibili, che non riguardano direttamente l’esegesi» (Angelico Poppi). E quello che bisogna dare a Dio è oltremodo chiaro ai farisei e agli erodiani, bisogna dare tutto; tutto se stessi, senza infingimenti e riserve: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti» (Mt 22,37-38). La risposta di Gesù supera «l’orizzonte umano dei suoi tentatori; si pone aldilà del sì e del no che avrebbero voluto carpirgli. La dottrina di Gesù Cristo trascende qualsiasi concezione politica, e se i fedeli, nell’esercizio della loro libertà, scelgono una determinata soluzione per le questioni temporali, “ricordino essi che a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”» (La Bibbia di Navarra, I Quattro Vangeli).

Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio - Vincent Taylor (Marco): La risposta di Gesù non vuol dire che il mondo della politica e quello della religione sono sfere separate, ognuno con i propri principi e le proprie direttive. Gesù è convinto che i diritti di Dio abbracciano tutto (cfr. Mc. 12,29s); ma egli riconosce che le obbligazioni dovute allo Stato appartengono all’ordine divino. In particolare, accettazione e uso della moneta di Cesare sono il riconoscimento implicito della sua autorità e quindi dell’obbligo di pagare i tributi; cfr. Mt. 17, 27. Questo dovere non è in conflitto con l’esigenza di rendere a Dio tutto ciò che gli è dovuto, né semplicemente parallelo a quest’esigenza. Radicalmente diverso fu l’atteggiamento di Giuda di Galilea nel 6 d. C.; costui, al tempo del censimento ordinato da Quirino, affermò che si trattava né più né meno che «di una introduzione alla schiavitù», ed esortò la popolazione ad affermar la propria libertà (cfr. Giuseppe Flavio, Ant. 18, 1, 1).
Nella cristianità primitiva l’atteggiamento nei confronti dello Stato, descritto in Rom. 13,7 e in 1Pt. 2,13s, concorda in pieno con l’insegnamento di Gesù; e trovava la sua giustificazione nella pace, nella giustizia e nella tolleranza di cui il mondo godette nei giorni migliori dell’Impero. Nel tempo in cui venne scritta l’Apocalisse di Giovanni la situazione era cambiata: cfr. Apoc. 18,1ss. [...].
La storia marciana s’interrompe sull’accenno alla grande meraviglia di coloro che avevano interrogato Gesù. Gli altri evangelisti sviluppano il racconto. Matteo dice che, all’udire queste parole, essi stupirono, lo lasciarono e se ne andarono (22,22). Luca spiega che essi non riuscirono a prendere in fallo Gesù davanti al popolo, e che meravigliati della sua risposta tacquero (20, 26).

La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): vv. 13-17. Gesù profitta della trappola che i suoi nemici cercano di tendergli per insegnare che l’uomo appartiene interamente al Creatore: «Dovete per forza dare a Cesare la moneta che reca impressa la sua immagine; ma donate con piacere tutto il vostro essere a Dio, perché in noi è impressa la sua immagine e non quella di Cesare» (Comm. in Marcum. in loc.). Nel contempo nostro Signore statuisce il principio permanente che deve guidare l’azione dei cristiani nella vita pubblica. La Chiesa riconosce la legittima autonomia delle realtà terrene, ma questo non vuol dire che essa non abbia la responsabilità di illuminarle con la luce del vangelo. I laici, collaborando gomito a gomito con gli altri cittadini allo sviluppo della società, sono tenuti a infondervi un autentico senso cristiano: «Se l’ufficio della gerarchia è di insegnare e di interpretare in modo autentico i princìpi morali da seguire in questo campo, spetta a loro [ai laici], attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della loro comunità di vita. Sono necessari dei cambiamenti. indispensabili delle riforme profonde: essi devono impegnarsi risolutamente a infonder loro il soffio dello spirito evangelico» (Populorum progressio, n. 81).

Sottomissione alle autorità civili e statali - G. B. (Autorità in Schede Bibliche Pastorali - Vol I): Nella Bibbia appare indubbia l’esistenza di un preciso filone di pensiero caratterizzato da lealismo e obbedienza verso coloro che nella società detengono il potere amministrativo e politico. A questo scopo ci si appella al principio che l’autorità e il potere trovano la loro fonte in Dio. Il libro di Daniele dichiara che i re sono issati sul trono e ne cadono per intervento divino (2,21). La triplice tradizione evangelica ha conservato il famoso detto di Gesù: «Rendete a Cesare (= imperatore) ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mc 12,17 e par).
Anche se l’accento per la verità cade sulla seconda parte dell’affermazione, appare indubbio il riconoscimento pratico dell’autorità statale nel pagamento del tributo. Più sviluppato si presenta poi il discorso del quarto vangelo: di fronte alla rivendicazione da parte di Pilato del potere giudiziario di vita e di morte sugli accusati (Gv 19,10) Gesù precisa che si tratta di un potere che il procuratore romano ha «dall’alto» (Gv 19,11).
Ma è senz’altro Romani 13,1-7 il passo più celebre della tendenza lealista del Nuovo Testamento. L’apostolo enuncia subito il principio etico della doverosa sottomissione: «Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite» (13,1a). Più avanti precisa che si tratta di un dovere di coscienza: «Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza» (13,5). Con maggior insistenza ancora motiva teologicamente l’appello: «Poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio» (13,lb); «Poiché essa [l’autorità] è al servizio di Dio per il tuo bene... è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male» (13,4); «... perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio» (13,6b). Di conseguenza ribellarsi all’autorità costituita vuol dire ribellarsi a un ordine stabilito da Dio (13,2).
In concreto, l’apostolo parla del dovere di pagare le tasse, come emerge con chiarezza dai versetti finali 6-7.
Il testo paolino esige di essere situato e soprattutto interpretato. Il grande influsso inoltre che ha avuto nella storia del cristianesimo richiede che se ne faccia una lettura critica. Anzitutto, è probabile che a Roma la comunità cristiana locale fosse travagliata dal problema se pagare o meno le tasse. Forse è troppo pensare a tendenze anarcoidi, ma ci dovevano essere resistenze a sottomettersi a una politica tributaria dalla mano molto pesante, se Paolo interviene con tanta decisione e non si limita a un’esortazione generale. D’altra parte, è necessario precisare che egli si occupa di fatto soltanto del rapporto con le autorità amministrative. La sua esortazione si colloca esattamente sul piano dei doveri civici, non su quello dell’autorità politica.
Già questi limiti delle parole di Paolo impongono cautele: maggiorarne la portata vorrebbe dire andare arbitrariamente oltre l’intento dell’apostolo.
Inoltre Paolo non si pronuncia qui sull’esercizio del potere delle autorità costituite. S’interessa solo al dovere dei cristiani di essere leali cittadini. Il suo silenzio circa il problema della giustizia o meno  del comportamento delle autorità civili non può essere contrabbandato come massimalistica affermazione del potere costituito. Infine, il testo paolino deve essere interpretato alla luce dell’Apocalisse che si oppone al culto dell’autorità statale e quindi alla sua assolutizzazione e divinizzazione. Del resto, critico era stato pure il pronunciamento di Gesù: i diritti dell’imperatore cessano là dove Dio fa valere il suo inalienabile diritto divino.
Per completezza citiamo altri due passi del Nuovo Testamento: «Ricorda loro di esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona» (Tt 3,1); «State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni... Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Gesù non voleva tracciare un confine tra la sfera politica e quella spirituale, come si è affermato spesso, ma semplicemente rivendicare il primato di Dio. Solo obbedendo a Dio, l’uomo può tutelare la sua dignità, perché creato a sua immagine e somiglianza. Spetta agli uomini precisare l’ambito del potere temporale, purché sia sempre rispettata la sovranità di Dio sul mondo e salvaguardata la dignità della persona umana. La lealtà verso l’imperatore va subordinata alla fedeltà a Dio, senza esitazioni e cedimenti” (Angelico Poppi).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Interceda per noi, Signore, il santo vescovo e martire Bonifacio, perché custodiamo con fierezza e professiamo con coraggio la fede che egli ha insegnato con la parola e testimoniato con il sangue. Per il nostro Signore Gesù Cristo...