23 Giugno 2018

Sabato XI Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: «Non preoccupatevi del domani» (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 6,24-34: Gesù non dice di imitare i clochards, ma invita l’uomo a mettere Dio al centro della sua vita. Il credente ha fiducia nella Provvidenza, ma non è una fiducia passiva, tantomeno non è disprezzo delle necessità materiali. Fidarsi di Dio per il cristiano significa ricercare nella vita ciò che è essenziale, tenendo ben piantati i piedi sulla terra con lo sguardo fisso al Cielo. Ciò che rovina tutto sono le preoccupazioni e gli affanni per il domani, così come insegna Gesù: la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto (cfr. Mt 13,22).

La Provvidenza esige la fedeltà costante - M-F. Lacan: Dio, infatti, non invita l’uomo alla passività, né a una dimissione della sua libertà; vuole al contrario educarlo. Con le prove, lo mette in condizione di collaborare con lui attraverso le sue libere iniziative, mentre, con le promesse, ne suscita la fiducia e lo libera cosi dalle paure che potrebbero paralizzarlo di fronte ai rischi di una tale collaborazione.
Sovviene alle necessità di coloro che chiama ad essere suoi figli, proprio perché possano essere fedeli alla propria vocazione di testimoni del suo amore.
Già nel VT, gli amici di Dio si rendono conto di dover rispondere con una perfetta fedeltà a colui che. dopo averli scelti, li circonda della sua protezione. Abramo, certo che «Dio provvede» (Gen 22,8.13s), non esita a sacrificare il figlio per obbedire al Signore. Giuseppe, che non vuole peccare contro Dio, non esita a incorrere nell’ira della moglie del suo padrone (Gen 39,9s).
Ma il popolo di Israele, fin dalle origini, si dimostra infedele, proprio perché non ripone piena fiducia nel Dio che l’ha liberato e che lo nutre nel deserto; anziché attendere ogni giorno da lui il nutrimento malgrado l’ordine divino, vuole costituirsi delle scorte (Es 16,20).
Il libro di Giuditta è stato scritto proprio per ricordare ad Israele le esigenze della sua vocazione: Giuditta si rifiuta di mettere alla prova la provvidenza (Giudit 8,1216), ma non esita a farsi suo strumento, pur avendo cura di mantenersi fedele a tutte le esigenze della legge (9,9; 12,2; 13,18s). Ad un tale esempio fa eco la massima del saggio salmista: «Conto sul Signore, e agisco bene» (Sal 37,3).
Gesù, mentre rivela agli uomini di quale infinito amore sia espressione la provvidenza, insegna loro anche, sia con l’esempio che con la parola, come rispondervi. Questa risposta consiste nel ricercare innanzitutto il regno di questo amore, nel rifiutare di sottomettersi ad un altro padrone (Mt 6,24.33). Consiste nel chiedere al Padre che sia fatta la sua volontà in cielo come in terra. Consiste inoltre nell’attendere il pane quotidiano e tutto ciò di cui un figlio di Dio ha bisogno per fare la volontà del Padre suo (Mt 6,10s). Ha bisogno, prima di tutto, di fedeltà nelle prove; la provvidenza non le ha risparmiate a Gesù che ha conosciuto l’abbandono del Padre (Mt 27,46) e che, obbediente fino alla morte, ha affermato la propria fiducia filiale con le ultime parole pronunciate sulla croce: «Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito» (Lc 23,46).
Con questa fiduciosa fedeltà, il buon Pastore ha attraversato la morte e ci ha offerto l’unica luce che ci consenta di attraversare la notte in cui a volte ci immergono il male e la sventura. Imitando Cristo, il suo discepolo seguirà le misteriose vie della provvidenza ed avrà la gioia di essere il testimone e il collaboratore fedele dell’amore in cui confida.

Pregare e lavorare - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): A più di qualcuno il linguaggio usato da Gesù potrà sembrare di un romanticismo esagerato, poco realista e adatto a un sognatore che s’inebria di poesia, di gorgheggi e di fiori. Tuttavia, Cristo non ha parlato mai come un illuso, e non lo fa neanche nel vangelo di oggi, pur essendo evidente che la gerarchia di valori che stabilisce cozza contro la prudenza dei nostri «sensati» e ottusi criteri.
L’atteggiamento che deve tenere il credente di fronte al denaro e ai beni materiali, cioè il modo di fare che Gesù indica a chi lo segue, mette alla prova la nostra fede e la nostra fiducia in Dio. Il denaro significa sicurezza e garanzia economica che ben si accorda con la nostra psicologia. Siamo affamati di assicurazioni di ogni tipo, anche spirituali; per questo la psicosi della sicurezza corre parallela a quella dell’avere e del possedere.
Tuttavia, l’ossessione della sicurezza totale si scontra con la fede; questa sarà sempre rischio, avventura e atteggiamento da pellegrini in cammino verso la vita. La fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio che oggi ci chiede Gesù è la fede in colui che serviamo per amore e dal quale ci sentiamo amati. Dio sa bene che ab­biamo bisogno di molte cose per il sostentamento di ogni giorno, basato sul denaro e sui beni che con esso si acquistano. Per questo Gesù ci ha insegnato a pregare: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano».
La fiducia in Dio non è alienante, cioè non ci esime dalla responsabilità nei compiti terreni, non ci permette di stare in ozio né di disinteressarci dell’impegno cristiano nel mondo. Si dice: «Prega e datti da fare». Questo è lo spirito della parabola dei talenti. La ricerca del regno non esclude lo sviluppo umano, anzi lo richiede. L’uomo collabora all’opera di Dio nel mondo, le cui risorse sono destinate a ogni persona di qualsiasi razza, credo e cultura.
Oggi dobbiamo fare un esame personale e comunitario, per conformare atteggiamenti, mentalità e condotta ai criteri e all’esempio di Gesù. Quale Dio adoriamo? È necessaria una scelta, davanti al dilemma iniziale: «Non potete servire Dio e il denaro». La proposta di Cristo è chiara: liberi dall’ansia esistenziale e dalla febbre del possesso, dobbiamo prima di tutto cercare il regno di Dio e la sua giustizia; le altre cose ci saranno date in aggiunta.
Dio Padre nostro, che nutrì gli uccelli del cielo e vesti di colori i fiori di campo, insegnaci a riporre in te tutta la nostra fiducia, perché tu ci ami e sai ciò di cui abbiamo bisogno.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, Signore, e liberaci dall’ansia ossessiva del domani, perché, seguendo i criteri di Gesù, liberi dalla febbre del possesso e dell’accumulo, e dividendo il nostro pane con l’affamato, cerchiamo soprattutto il tuo regno e la tua giustizia, sicuri che ci darai le altre cose in aggiunta.

Non potete servire Dio e la ricchezza: Papa Francesco (Angelus, 2 Marzo 2014): Un cuore occupato dalla brama di possedere è un cuore pieno di questa brama di possedere, ma vuoto di Dio. Per questo Gesù ha più volte ammonito i ricchi, perché è forte per loro il rischio di riporre la propria sicurezza nei beni di questo mondo, e la sicurezza, la definitiva sicurezza, è in Dio. In un cuore posseduto dalle ricchezze, non c’è più molto posto per la fede: tutto è occupato dalle ricchezze, non c’è posto per la fede. Se invece si lascia a Dio il posto che gli spetta, cioè il primo, allora il suo amore conduce a condividere anche le ricchezze, a metterle al servizio di progetti di solidarietà e di sviluppo, come dimostrano tanti esempi, anche recenti, nella storia della Chiesa. E così la Provvidenza di Dio passa attraverso il nostro servizio agli altri, il nostro condividere con gli altri. Se ognuno di noi non accumula ricchezze soltanto per sé ma le mette al servizio degli altri, in questo caso la Provvidenza di Dio si rende visibile in questo gesto di solidarietà. Se invece qualcuno accumula soltanto per sé, cosa gli succederà quando sarà chiamato da Dio? Non potrà portare le ricchezze con sé, perché - sapete - il sudario non ha tasche! È meglio condividere, perché noi portiamo in Cielo soltanto quello che abbiamo condiviso con gli altri. La strada che Gesù indica può sembrare poco realistica rispetto alla mentalità comune e ai problemi della crisi economica; ma, se ci si pensa bene, ci riporta alla giusta scala di valori. Egli dice: «La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?» (Mt 6,25). Per fare in modo che a nessuno manchi il pane, l’acqua, il vestito, la casa, il lavoro, la salute, bisogna che tutti ci riconosciamo figli del Padre che è nei cieli e quindi fratelli tra di noi, e ci comportiamo di conseguenza.

Vi è forse mancato qualcosa? - Gesù, poche ore prima di bere al calice amaro della terrificante passione, pone una domanda agli Apostoli: «“Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?”» (Lc 22,35). La risposta non tarda ad arrivare: «Nulla» (Lc 22,35). In questa risposta c’è la piena e perfetta realizzazione di una verità espressa dal Profeta con queste parole: «Temete il Signore, suoi santi: nulla manca a coloro che lo temono. I leoni sono miseri e affamati, ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene» (Sal 34,10-11). Nulla manca perché gli occhi di Dio sono aperti sul mondo (Sal 11): «Il Signore guarda dal cielo: egli vede tutti gli uomini; dal trono dove siede scruta tutti gli abitanti della terra, lui, che di ognuno ha plasmato il cuore e ne comprende tutte le opere» (Sal 33,13-15). Se certo è l’aiuto del Signore, la Provvidenza non è ozio: «... infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi» (2Ts 3,10). Bisogna accontentarsi di quello che si ha: «Certo, la religione è un grande guadagno, purché sappiamo accontentarci! Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via. Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti» (1Tm 6,6-10; cfr. Sir 37,27). Pur custodendo nel cuore la certezza che il Padre celeste sa di quali cose abbiamo bisogno (Mt 6,24-34), dobbiamo alzare le mani al Cielo (Mt 6,9), perché ogni dono perfetto viene dall’alto e soltanto a chi bussa sarà aperto (Mt 7,8; Lc 11,10). In una parola porre la nostra povera vita nelle mani di Dio (Sal 16,5), perché è lui a plasmarla con ogni arte e perfezione: «Questa parola fu rivolta dal Signore a Geremia: “Àlzati e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola”. Scesi nella bottega del vasaio, ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto. Allora mi fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Forse non potrei agire con voi, casa d’Israele, come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele» (Ger 18,6-9). Tutto è nelle mani di Dio, ha contato i giorni dell’uomo (Gb 14,5; Sal 139,16), ne conosce ogni movimento (Sir 16,17), gli ha preparato un destino di gloria: «... quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati» (Rom 8,29-30). Ecco, allora, la risposta più bella che un credente può dare all’amore squisitamente materno del Padre che è nei cieli: farsi plasmare da Dio, che è padre e madre provvidente per tutti i suoi figli.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  La partecipazione dell’uomo alla Provvidenza di Dio: Catechismo della Chiesa Cattolica n. 307: Dio dà agli uomini anche il potere di partecipare liberamente alla sua Provvidenza, affidando loro la responsabilità di “soggiogare” la terra e di dominarla. In tal modo Dio fa dono agli uomini di essere cause intelligenti e libere per completare l’opera della creazione, perfezionandone l’armonia, per il loro bene e per il bene del loro prossimo. Cooperatori spesso inconsapevoli della volontà divina, gli uomini possono entrare deliberatamente nel piano divino con le loro azioni, le loro preghiere, ma anche con le loro sofferenze. Allora diventano in pienezza “collaboratori di Dio” (1Cor 3,9; 1Ts 3,2) e del suo Regno.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...