22 Giugno 2018

Venerdì XI Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).

Dal Vangelo secondo Matteo 6,19-23: A una società licenziosa, dove il denaro è tutto ed è sinonimo di potenza, lusso, prepotenza, angherie, sfrenatezze di ogni natura e specie, i cristiani devono contrapporre una comunità povera, abbandonata alla Provvidenza. Ciò è stato compreso fin dalla prima ora dagli Apostoli e dai discepoli i quali, proprio per essere fedeli a questa radicalità evangelica, metteranno in comune i loro beni (cfr. Atti 2,44ss; 4,32-37; 5,1-11). Al buon pensare sull’utilità del denaro forse è utile ricordare quanto insegna la sacra Scrittura: l’amore dei soldi è la radice di tutti i mali (cfr. 1Tm 6,10 TILC).

Non accumulate per voi tesori sulla terra - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): Il vangelo di oggi è un insieme di massime di Gesù sull’atteggiamento del discepolo davanti ai beni e alla ricchezza. Di fatto, è un commento alla beatitudine della povertà. Il testo si compone di due sezioni: il vero tesoro; l’occhio, lucerna del corpo.
Gesù dice in primo luogo: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignuola e ruggine consumano e ove ladri scassinano e rubano». È molto importante mettere il nostro tesoro in un luogo sicuro, in cielo, «perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore». L’idea che le opere buone, specialmente l’elemosina, costituissero un tesoro o capitale dinanzi a Dio era comune nel tardo giudaismo.
Chi sceglie di essere povero con Cristo non accumula né nasconde tesori perituri, perché non cede all’ansia di raccogliere beni che disorientano, oscurano e, in definitiva, ingannano il cuore dell’uomo, proprio perché sono perituri.
La seconda parte parla dell’occhio come della lucerna del corpo, cioè come luce della persona. Si tratta della purezza d’intenzione con cui bisogna cercare il vero tesoro, servendo un solo Signore ed evitando la cecità di accumulare stupidamente. Com’è il cuore dell’uomo, così è il suo sguardo. Quando lo sguardo di una persona, cioè la sua attenzione, si dirige interamente Dio e alla sua volontà, tutta la sua vita si mantiene ella luce e nel bene. Altrimenti, vivrà nelle tenebre del peccato.

Non accumulate per voi tesori sulla terra - Paul Ternant: La cupidigia, indegna di ogni cristiano, sarebbe particolarmente scandalosa nell’apostolo Paolo, tenuto per vocazione a farsi «schiavo di tutti» (Mc 10,44; 1Cor 9,19). Paolo, dal canto suo, afferma di non aver avuto la minima riserva mentale di cupidigia (1Tess 2,5); lungi dal desiderare i beni dei fedeli (Atti 20,33), ha lavorato con le sue mani per non vivere a carico loro, come ne avrebbe avuto il diritto (20,34; 1 Tess 2,9; 1Cor 9,6·14; 2Cor 11,9s; 12,16ss) e per porre in tal modo il proprio disinteresse al di sopra di ogni sospetto (1Cor 9,12; cfr. Fil 4,17). Questo comportamento deve essere di esempio ai ministri sottoposti (Atti 20,34 s). Né l’episcopo (1Tim 3,3; Tito 1,7) né i diaconi (1Tim 3,8) siano amici del denaro e dei turpi guadagni!
L’avidità, al contrario, caratterizza i falsi dottori (Tito 1,11; 2 Tim 3,2), che, senza ombra di pietà, ricercano i vantaggi senza accontentarsi di ciò che possiedono (1Tim 6,5s). In 2Piet 2,3.14 viene definito «cupidigia» il loro traffico di parole menzognere, non scevro da propositi immorali (2,2.10.18; cfr. Giuda 16).
L’ideale dei veri servi del vangelo sarà sempre quello di essere reputati persone che non hanno nulla, loro che possiedono tutto (2Cor 6,10).
Se Paolo attribuisce una particolare gravità alla cupidigia, è perché ha capito chiaramente quello che il VT aveva solo presentito: la cupidigia è una idolatria (Col 3,5). Si mette in tal modo sulle orme di Gesù per cui essere «amico del denaro» (Lc 16,14), significa concentrare su beni creati un cuore che appartiene solo a Dio (Mt 6,21 par.), considerare questi beni come padroni disprezzando l’unico vero Signore che è Dio (6,24 par.).
Il proverbio: «La radice di ogni male è l’amore del denaro » (1Tim 6,10) assume allora una tragica profondità: scegliendo un falso dio, ci si distacca dall’unico vero e ci si vota alla perdizione (6, 9), come Giuda, il traditore cupido (Gv 12,6; Mt 26,15 par.), «il figlio di perdizione» (Gv 17,12).
D’altra parte, i beni perituri sono ora svalutati in rapporto alla vita futura (Lc 6,20.24), un tempo ignorata dai sapienti. Perciò il NT è in grado di dimostrare assai meglio di quelli fino a che punto sia insensato il comportamento del cupido (12.20; Ef 5,17; cfr. Mc 8,36 par.): il Mammone è «iniquo» (Lc 16, 9. 11), in altre parole - secondo il probabile sostrato aramaico - falso e ingannatore; è una follia basarsi su beni perituri (cfr. Mt 6,19s), perché la morte, passaggio alla vita eterna che la ricchezza fa dimenticare, determinerà un rovesciamento delle situazioni (Lc 16, 19-26; 6,20-26).

La lampada del corpo è l’occhio - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): L’occhio semplice (6,22-23) L’occhio, conforme a teorie correnti nell’ambiente greco, è paragonato a una lucerna che irradia all’esterno la luce, promanante dall’intimo della persona (= corpo). L’occhio semplice, cioè limpido, buono e sano, indica che il corpo è luminoso, cioè che tutta la persona è pervasa dalla luce interiore, proveniente dalla rivelazione fatta da Gesù. L’occhio malvagio o malato esprime le tenebre che avvolgono lo spirito di colui che ha rifiutato l’insegnamento di Gesù. Perciò dal suo intimo non può procedere che cattiveria.
La similitudine, definita «massima parabolica», nel contesto di Matteo, si riferisce all’orientamento religioso del discepolo. Se ha il cuore rivolto verso Dio, la sua vita avrà un obiettivo preciso e chiaro, costituito appunto dal servizio di Dio. Tutta la sua esistenza sarà illuminata da questa luce interiore, che darà un senso profondo alla sua condotta, facendo convergere le sue aspirazioni esclusivamente alla ricerca del regno con rettitudine e animo integro. Se, al contrario, è privo di questo orientamento trascendente ed escatologico, tutta la sua vita sarà avvolta dalle tenebre. Dio o Mammona (6,24) Dio esige un cuore indiviso, il dono totale di sé, l’adesione incondizionata alla sua volontà. Il discepolo che intende orientare la propria vita al servizio di Dio, non può nello stesso tempo attaccare il cuore alla ricchezza, ai beni terreni, al prestigio, al potere. L’assoluto del regno implica una scelta radicale: Dio o il denaro. Il termine Mammona, la cui etimologia è controversa, designa una potenza personificata, contrapposta a Dio. Forse indica un idolo, che nell’ambiente fenicio impersonava la ricchezza. È impossibile servire nello stesso tempo gli idoli e il Dio vivente. Si impone una opzione decisa, senza compromessi, tra odio e amore. Il detto presenta una struttura perfetta di parallelismo antitetico in forma chiastica.

Il decimo comandamento: CCC 2536-2537: Il decimo comandamento proibisce l’avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di commettere un’ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali: La formula “non desiderare” è come un avvertimento generale che ci spinge a moderare il desiderio e l’avidità delle cose altrui. C’è infatti in noi una latente sete di cupidigia per tutto ciò che non è nostro; sete mai sazia, di cui la Sacra Scrittura scrive: “L’avaro non sarà mai sazio del suo denaro” (Sir 5,9). Non si trasgredisce questo comandamento desiderando ottenere cose che appartengono al prossimo, purché ciò avvenga con giusti mezzi. La catechesi tradizionale indica con realismo “coloro che maggiormente devono lottare contro le cupidigie peccaminose” e che, dunque, “devono con più insistenza essere esortate ad osservare questo comandamento”: Sono, cioè, quei commercianti e quegli approvvigionatori di mercati che aspettano la scarsità delle merci e la carestia per trarne un profitto con accaparramenti e speculazioni; … quei medici che aspettano con ansia le malattie; quegli avvocati e magistrati desiderosi di cause e di liti.

Sac. Dolindo Ruotolo (I Quattro Vangeli): Il denaro ha valore in quanto circola e circolando ha potenza di acquisto; se rimane sepolto in una cassa a che serve? L’avaro non si accorge che accumulando diventa egli stesso il ladro delle proprie ricchezze, egli stesso il tarlo che le consuma invano. L’avidità con la quale le accumula, sottraendole al proprio onesto e decoroso sostentamento, è un vero furto che consuma a suo danno, e l’inoperosità nella quale rimangono è il vero tarlo che le rode. Quante volte le oscillazioni del cambio o le improvvise crisi politiche hanno consumato patrimoni vistosissime. Quante volte il terremoto, o l’incendio o altre cause hanno consunto tarli proprietà che sembravano incrollabili? E non sono tarli che rodono le ricchezze anche le tasse, gli interessi dei debiti, la vorace rapacità di parenti scialacquatori, le insidie degli imbroglioni e la stessa inettezza amministratrice?
Oggi specialmente nessun tesoro è sicuro, e nei rivolgimenti politici avviene tanto spesso che il ladro è il governo, e il tarlo è il fisco. I titoli di rendita scadono, la moneta liquida si deprezza, e l’inflazione può polverizzarla. Nei tempi dell’inflazione chi aveva milioni si ridusse da un giorno all’altro ad avere decimi di centesimi! La ricchezza immobiliare può essere incamerata, la produzione propria requisita o confiscata, la stessa base aurea della moneta può sostituirsi, i grandissimi valori possono essere deprezzati dalle grandi carestie, anche quando sono intatti. Insomma tutte le ricchezze hanno questa caratteristica divinamente vera dataci da Gesù Cristo: il ladro che ruba e il tarlo che divora.
Solo Gesù poteva in due parole caratterizzare l’economia finanziaria di tutti i tempi!
Egli perciò ci esorta a volgere il cuore e i desideri dell’anima a Dio solo, e ad illuminare tutta la nostra vita con
questa luce ineffabile che non può giammai farci deviare in aspirazioni fatue e in conseguimenti vani. La luce di Dio, la fede, la speranza dei beni eterni e l’amore di Dio solo sopra tutte le cose è quello che è l’occhio sano per il corpo: se l’occhio è semplice, cioè non è né presbite, né miope, né astigmatico, né in qualunque modo infermo, se non confonde le cose lontane o le vicine e se non le vede in un angolo falso, allora tutto il corpo è illuminato, cioè è diretto bene da questa mirabile lampada. Se poi è infermo, allora tutto gli è velato o ottenebrato e, non percependo la luce, sta nella oscurità anche tra i fulgori del sole.
Un paragone dato da Gesù è bellissimo per mostrare che Dio solo è la luce della nostra vita, e il guardare Lui solo è l’indirizzo più bello della nostra attività.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2544: Ai suoi discepoli Gesù chiede di preferire lui a tutto e a tutti, e propone di rinunziare a tutti i loro averi (Lc 14,33) per lui e per il Vangelo (Mc 8,35).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...