17 Giugno 2018

 XI Domenica T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Il seme è la parola di Dio, il seminatore è Cristo: chiunque trova lui, ha la vita eterna” (Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Marco 4,26-34: Il brano evangelico è composto da due parabole, la parabola del seme che spunta da solo (vv. 26-29) e la parabola del granello di senapa (vv. 30-34), ed entrambe vogliono illustrare la dinamicità del regno Dio. La conclusione (vv. 33-34) non dà una spiegazione delle due parabole, è rimasta nella penna di Marco, ma non è difficile carpirla. In sostanza, anche se il regno, per mezzo della predicazione di Gesù, ha un inizio modestissimo, il suo sviluppo sarà sicuramente grandioso e accoglierà gente da ogni provenienza. È un parola incoraggiante per i discepoli che, sempre tentati di agire in prima persona e di volere risultati immediati, sono spesso demotivati dagli insuccessi sempre a portata di mano.

Tematica Generale - Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): Ezechiele prima riferisce l’oracolo sulla rovina del regno di Giuda e la fine della casa di Davide in seguito all’esilio e alla morte in Babilonia del re Sedecia (Ez 17,11-21; cfr. 2Re 25,1-30; Ger 39,1-10). Poi, nel brano che forma la prima lettura odierna, riporta la profezia circa il Messia e il suo regno. Dal tronco della casa di Davide (cedro) farà sorgere un discendente (un ramoscello) cioè il Messia. Lo porrà a capo del regno messianico («lo pianterò sul monte alto di Israele»). Questo diventerà «un cedro magnifico», sotto il quale dimoreranno tutti gli uccelli (tutti gli uomini chiamati al regno). La nuova pianta farà stupire tutti gli alberi della foresta (i popoli; i loro imperi saranno un nulla in confronto del regno di Cristo).
Il salmo responsoriale (Sal 91) parla del giusto che fiorisce come palma. Nel contesto liturgico l’affermazione si ricollega prima di tutto all’albero nuovo (messianico, cioè Cristo), cresciuto nella casa del Signore, vale a dire venuto dalla casa di Davide.
I fiori e i frutti di questo albero sono tutte le realizzazioni di salvezza del regno messianico. Però il salmo si può applicare parimenti al giuste collettivo, alla Chiesa ed anche a ciascuno dei santi. Questo giusto è piantato nella casa di Cristo cioè nel suo regno.
La nuova realtà messianica, nascendo dal niente, acquista proporzioni colossali, perché è tutta opera divina. Il vangelo, con le parabole del seme, sottolinea queste due verità in rapporto al Regno di Dio.
Nella liturgia di oggi la medesima idea ricorre sotto altra forma e mette in evidenza altri aspetti del Regno di Dio. Il seme che cresce per forza vitale propria e che diventa albero è la parola (Canto al Vangelo). Il Nuovo seminatore è Cristo (ivi). Infatti è lui il fondatore del regno. Chi accoglie la parola acquista per sé i caratteri dell’eternità propria della parola. Il seme dunque può indicare e la parola e il Regno di Dio. In fondo è la parola che da origine al regno, e in un certo senso, si identifica con esso. [...]. San Paolo nella seconda lettura esprime il vero significato della morte cristiana, vedendola come un ritorno e definitivo  Dio dopo il pellegrinaggio terrestre.

Ortensio Da Spinetoli (I Quattro Vangeli): vv. 26-29 Benché il seminatore resti inoperoso e la crescita del grano risulti poco appariscente, ci sarà la mietitura; così anche il regno si realizzerà in modo misterioso, ma con certezza. La missione di Gesù corrispondeva alla sua fase iniziale, umile e nascosta; ma il compimento sorprendente era garantito dall’azione divina. Bastava attendere con fiducia.
Siccome per gli ebrei la crescita del seme dipendeva dalla potenza miracolosa di Dio, la mietitura era considerata un suo dono. Ugualmente nel giudizio finale, simboleggiato nella mietitura (Gl 4,13), Dio attuerà il suo regno. Con la similitudine Gesù non intendeva rilevare l ‘efficacia del suo ministero, bensì la certezza dell’avvento del regno, come opera di Dio. La sua azione per adesso resta umile e nascosta, ma si manifesterà nel giudizio escatologico, quando il regno si attuerà pienamente. Benché l’inizio sia poco appariscente, come un granello di seme, il frutto finale sarà stupefacente. Il regno ha già fatto la sua comparsa nella missione di Gesù, ma è percepibile solo all’occhio della fede. Esso ha un futuro prodigioso. «Il processo di crescita e maturazione che sta in mezzo riguarda la dimensione escatologica», cioè l’azione misteriosa di Dio (Gnilka, p. 249). [...].
Il grano di senapa è una delle sementi più piccole; tuttavia dà origine a una pianta che presso il lago di Galilea può raggiungere i due o tre metri di altezza.
Come da un seme minuscolo nasce una pianta tanto grande, così dall’attività poco appariscente di Gesù avrà origine il regno di Dio, la cui sovranità si estenderà a tutte le genti. Mentre gli uditori si attendevano l’instaurazione del regno in modo appariscente e in forma spettacolare, attraverso sconvolgimenti cosmici apocalittici, Gesù afferma che Dio è già all’opera nel suo ministero umile e modesto.
Anche con questa similitudine Gesù non intendeva illustrare la crescita, ossia lo sviluppo progressivo del regno di Dio, che taluni identificano in modo inesatto con la chiesa. Il punto focale del messaggio va colto nel contrasto tra la situazione iniziale del regno e quella finale. Tuttavia, nella rilettura postpasquale della similitudine non manca un riferimento alla stupefacente crescita della comunità cristiana, che mediante un’intensa attività missionaria continuava ad aggregare numerosi adepti anche tra i gentili. Lo dimostra la citazione di Ezechiele (17,23), che parla della convocazione escatologica dei popoli all’ombra dell’alto cedro piantato dal Signore sul monte alto d’Israele. La rapida diffusione del vangelo tra le nazioni pagane costituiva una prova dell’azione potente di Dio nel mondo e della certezza che questi avrebbe portato a compimento il regno alla fine dei tempi. Per la comunità cristiana «la parabola abbraccia tutta la storia a partire dal ministero di Gesù fino alla parusia del Figlio dell’uomo».

La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): vv. 30-32. Il senso peculiare di questa parabola è dato dal contrasto tra ciò che è piccolo e ciò che è grande. Il seme del regno di Dio in terra è qualcosa di molto piccolo all’inizio (Lc 12,32; At 1,15); più tardi diventerà un grosso albero. Si può infatti storicamente costatare come l’esiguo gruppo iniziale dei discepoli sia venuto crescendo ai primordi della Chiesa (cfr At 2,47; 6,7; 12.34), diventando sempre più numeroso nei secoli fino a costituire una moltitudine immensa “che nessuno potrà contare” (Ap 7,9).
Anche in ogni anima opera questo mistero di crescita cui si riferiscono le parole del Signore: «Il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21); un mistero che possiamo vedere annunziato in queste parole del salmista: «Il giusto crescerà come cedro del Libano» (Sal 91,13). Perché la misericordia del Signore, che ci innalza e ci fa grandi, possa pienamente rifulgere, è indispensabile che egli ci trovi piccoli, umili (Ez 17,22-24; Lc 18,9-14).


La parabola - D Sesbqué: 1. Nella profezia del Vecchio Testamento - Per spiegare il carattere enigmatico di talune parabole evangeliche, più che agli enigmi dei sapienti (1Re 10,1-3; Eccli 39,3), bisogna ricorrere alla presentazione volutamente misteriosa di scritti tardivi. A partire da Ezechiele, l’annuncio profetico del futuro si trasforma e poco a poco in apocalisse, avvolge cioè deliberatamente il contenuto della rivelazione in una serie di immagini che hanno bisogno di spiegazione per essere comprese. La presenza di un «angelo-interprete» fa generalmente spiccare la profondità del messaggio e la sua difficoltà. Cosi l’allegoria dell’aquila in Ez 17,3-10, chiamata «enigma» e «parabola» (maial), è poi spiegata dal profeta (17,12-21). Le visioni di Zaccaria comportano un angelo-interprete (Zac 1,9ss; 4,5s ...) e soprattutto le grandi visioni apocalittiche di Daniele, nelle quali si suppone sempre che il veggente non comprenda (Dan 7,15s; 8,15s; 9,22). Si giunge così a uno schema tripartito: simbolo - richiesta di spiegazione - applicazione del simbolo alla realtà.
2. Nel Vangelo. - Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo che anch’esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la ricettività diversa degli uditori. Perciò Gesù, nella prima parte della sua vita pubblica, raccomanda a suo riguardo il « segreto messianico », posto in così forte rilievo da Marco (l,34.44; 3,12; 5,43 ...).
Perciò pure egli ama parlare in parabole che, pur dando una prima idea della sua dottrina, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente comprese. Si perviene così a un insegnamento a due livelli, ben sottolineato da Mc 4,33-34: il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vite, il pastore, le semine ... ) mette sulla buona strada l’insieme degli ascoltatori; ma i discepoli hanno diritto a un approfondimento della dottrina, impartito da Gesù stesso. I loro quesiti ricordano allora gli interventi dei veggenti nelle apocalissi (Mt 13,10-13.34 s. 36.51; 15,15; cfr. Dan 2,18 ss; 7,16). Le parabole appaiono così una specie di mediazione necessaria affinché la ragione si apra alla fede: più il credente penetra nel mistero rivelato, più approfondisce la comprensione delle parabole; viceversa, più l’uomo rifiuta il messaggio di Gesù, più gli resta interdetto l’accesso alle parabole del regno. Gli evangelisti sottolineano appunto questo fatto quando, colpiti dalla ostinazione di molti Giudei di fronte al vangelo, rappresentano Gesù che risponde ai discepoli con una citazione di Isaia: le parabole mettono in evidenza l’accecamento di coloro che rifiutano deliberatamente di aprirsi al messaggio di Cristo (Mt 13,10-15 par.). Tuttavia, accanto a queste parabole affini alle apocalissi, ce ne sono di più chiare che hanno di mira insegnamenti morali accessibili a tutti (così Lc 8,16ss; 10,30-37; 11,5-8).

Come deve essere interpretata la sacra Scrittura - Dei Verbum 12: Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. 
Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Il seme che cresce per forza vitale propria e che diventa albero è la parola. Il Nuovo seminatore è Cristo.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che a piene mani semini nel nostro cuore il germe della verità e della grazia, fa’ che lo accogliamo con umile fiducia e lo coltiviamo con pazienza evangelica, ben sapendo che c’è più amore e giustizia ogni volta che la tua parola fruttifica nella nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...