11 Giugno 2018

Lunedì X Settimana T. O.

San Barnaba, Apostolo


Oggi Gesù ci dice: “Andate e fate discepoli tutti i popoli. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19a.20b ).

Dal Vangelo secondo Matteo 10,7-13: Nel comando di Gesù c’è già in nuce l’universalità della missione apostolica, anche se il popolo eletto rimane il primo e privilegiato referente. Al potere di scacciare i demoni si aggiunge anche quello di guarire le malattie e ogni sorta di infermità. Quest’ultimo suppone il primo. Entrambi stanno a significare che è venuta la fine delle forze del male e del dominio di Satana. Quindi poteri messianici, che oggi, in larga misura, sono ignorati nelle comunità cristiane.

Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino - La constatazione che la Chiesa cattolica «deve operare instancabilmente “affinché la parola di Dio si diffonda e sia glorificata” [2Ts 3,1]» (DH 14), deve suscitare in noi due convinzioni. Innanzi tutto, evangelizzare è sempre un atto profondamente ecclesiale: «La prima convinzione è che evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale. Allorché il più sconosciuto predicatore, catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo, raduna la sua piccola comunità o amministra un Sacramento, anche se si trova solo compie un atto di Chiesa, e il suo gesto è certamente collegato mediante rapporti istituzionali, ma anche mediante vincoli invisibili e radici profonde dell’ordine della grazia, all’attività evangelizzatrice di tutta la Chiesa. Ciò presuppone che egli agisca non per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa» (Paolo VI, Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, n. 60). Secondo, l’evangelizzatore deve operare in comunione con la Chiesa: «Come conseguenza, la seconda convinzione: se ciascuno evangelizza in nome della Chiesa, la quale a sua volta lo fa in virtù di un mandato del Signore, nessun evangelizzatore è padrone assoluto della propria azione evangelizzatrice, con potere discrezionale di svolgerla secondo criteri e prospettive individualistiche, ma deve farlo in comunione con la Chiesa e con i suoi Pastori. La Chiesa, l’abbiamo già rilevato, è tutta intera evangelizzatrice. Ciò significa che, per il mondo nel suo insieme e per ogni singola parte del mondo ove si trovi, la Chiesa si sente responsabile del compito di diffondere il Vangelo» (ibidem). I secoli passati hanno visto da un lato, la diffusione universale del cattolicesimo che ha raggiunto tutti i cinque continenti dall’altro, una diffusione della secolarizzazione che ha portato alla laicizzazione della società e quindi a un forte allontanamento dalla Chiesa. Si è ridotto il numero degli operai, ed è vero, ma è pur vero che quando l’inedia assale il cuore, allora la fede langue e il mondo rimane sempre più indifferente al fatto religioso. Bisogna ripartire dalla gioia dell’incontro con il Risorto e allora i passi ritorneranno a lambire ancora una volta le terre più lontane.

Il regno dei cieli è vicino - Il regno dei cieli annunciato da Gesù e dagli Apostoli non riguarda un futuro indefinito e lontano. Il regno è vicino, anzi è già venuto, dal momento che i demoni sono scacciati in virtù dello Spirito di Dio (Mc 12,28).
L’irruzione di questa sovranità di Dio è apportatrice di ogni bene per l’uomo perché lo solleva dalle sue miserie e soprattutto lo libera dai ceppi del peccato e dal giogo della morte. Un dono che è presente nella carne del Figlio di Dio, fatto uomo per la salvezza del mondo: un dono che si incarna nella persona umana e visibile di Gesù per testimoniare la solidarietà di Dio e la sua vicinanza alla stirpe di Adamo il quale con il suo peccato aveva alienato da Dio l’intero genere umano.
Con Adamo il peccato invade il mondo, con Cristo in esso irrompe la salvezza raggiungendo l’uomo nella sua totalità di creatura carnale e spirituale: «Cristo è morto per noi ... Giustificati per il suo sangue ... salvati dall’ira per mezzo di lui ... Mediante la sua vita» (Rom 5,8-10).
Vicinanza e solidarietà che continuano nel tempo con la Chiesa, pienezza di Cristo e sacramento di salvezza, mandata nel mondo per salvarlo dal peccato e per curare le sue infermità. La Chiesa ha per unica missione quella di rendere presente Gesù Cristo in mezzo agli uomini. Essa deve annunciarlo, mostrarlo, darlo a tutti.
E come Gesù è stato inviato dal Padre ad “annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4,18), “a cercare e salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10), così pure la Chiesa “circonda di amore quanti sono afflitti da infermità umana, anzi nei poveri e nei sofferenti conosce l’immagine del suo fondatore povero e sofferente, si premura di sollevarne la miseria, e in loro intende servire a Cristo” (LG 8).

Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni - Gesù ha curato i malati donando a volte guarigioni impossibili o insperate. Egli vuole che la Chiesa curi e ami i sofferenti come li ha curati e amati Lui e in questo mandato ha manifestato la sua volontà di non voler cancellare il dolore, ma di donargli un valore.
La sofferenza è preziosa perché è memoria della Croce e sotto il suo peso tutti gli uomini, volenti o nolenti, devono curvare le loro spalle. Atei, miscredenti o credenti, ubbidienti o ribelli, giusti o malvagi, santi o peccatori, la croce c’è e resta per tutti:
«La croce è, dunque sempre pronta e ti aspetta dappertutto; dovunque tu corra non potrai sfuggirla, poiché, in qualsiasi luogo tu giunga, porti e trovi te stesso.[...] Se scansi una croce, ne troverai senza dubbio, un’altra, e forse più grave» (L’imitazione di Cristo, Cap. XII, nn. 2-3).
La croce non è abolita, può essere alleviata: questa è la missione della Chiesa. La sofferenza, accettata con fede, diviene strumento di espiazione e di salvezza per sé e per gli altri: con il dolore accettato volontariamente e offerto generosamente Dio riequilibra gli scompensi provocati dai peccati.
Ma tutto resta avvolto nel mistero: l’uomo, la vita, il dolore, la croce, la morte. Solamente «nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. [...] Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Cristo è risorto, distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha donato la vita, affinché, figli nel Figlio, esclamiamo nello Spirito: Abbà, Padre» (GS 22).
L’uomo con la sofferenza può partecipare al mistero Pasquale. Si arriva alla gloria della risurrezione unicamente attraverso la croce del Golgota: «E necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14,22)

Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): La parola “pace” era ed è tuttora il saluto abituale presso gli Ebrei. Ma in bocca agli apostoli doveva acquisire un significato più profondo: essa esprime la benedizione di Dio che i discepoli di Gesù, in quanto suoi inviati, elargiscono a coloro che li accolgono. Questo comando del Signore non viene meno una volta compiuta quella missione specifica, e si estende a tutta la storia successiva. Il messaggero di Cristo non si scoraggia quando la sua parola non è accolta. Sa che la benedizione di Dio non è vuota né inefficace (cfr Is 55.11), e che ogni sforzo genero a da parte del cristiano darà sempre i suoi frutti. La parola apostolica reca con sé la grazia della conversione: «Molti di quelli che avevano ascoltato il discorso credettero e il numero degli uomini raggiunse circa i cinquemila» (At 4,4; cfr 10,44; Rm 10,17).
L’uomo deve prestare attenzione alla parola del vangelo e riceverla con fede (At 13,48; 15,7). Se raccoglie e persevera in essa, riceve il conforto dell’anima, la pace dello spirito (At 8,39) e la salvezza (At 11,4-18). Se la respinge, non viene assolto dalla colpa e Dio lo giudicherà per la sua cecità nei confronti della grazia che gli ha offerto.

San Barnaba - Benedetto XVI (Udienza Generale 31 Gennaio 2007): Barnaba significa «figlio dell’esortazione» (At 4,36) o «figlio della consolazione» ed è il soprannome di un giudeo-levita nativo di Cipro. Stabilitosi a Gerusalemme, egli fu uno dei primi che abbracciarono il cristianesimo, dopo la risurrezione del Signore. Con grande generosità vendette un campo di sua proprietà consegnando il ricavato agli Apostoli per le necessità della Chiesa (cfr At 4,37). Fu lui a farsi garante della conversione di Saulo presso la comunità cristiana di Gerusalemme, la quale ancora diffidava dell’antico persecutore (cfr At 9,27). Inviato ad Antiochia di Siria, andò a riprendere Paolo a Tarso, dove questi si era ritirato, e con lui trascorse un anno intero, dedicandosi all’evangelizzazione di quella importante città, nella cui Chiesa Barnaba era conosciuto come profeta e dottore (cfr At 13,1). Così Barnaba, al momento delle prime conversioni dei pagani, ha capito che quella era l’ora di Saulo, il quale si era ritirato a Tarso, sua città. Là è andato a cercarlo. Così, in quel momento importante, ha quasi restituito Paolo alla Chiesa; le ha donato, in questo senso, ancora una volta l’Apostolo delle Genti. Dalla Chiesa antiochena Barnaba fu inviato in missione insieme a Paolo, compiendo quello che va sotto il nome di primo viaggio missionario dell’Apostolo. In realtà, si trattò di un viaggio missionario di Barnaba, essendo lui il vero responsabile, al quale Paolo si aggregò come collaboratore, toccando le regioni di Cipro e dell’Anatolia centro-meridionale, nell’attuale Turchia, con le città di Attalìa, Perge, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe (cfr At 13-14). Insieme a Paolo si recò poi al cosiddetto Concilio di Gerusalemme dove, dopo un approfondito esame della questione, gli Apostoli con gli Anziani decisero di disgiungere la pratica della circoncisione dall’identità cristiana (cfr At 15,1-35). Solo così, alla fine, hanno ufficialmente reso possibile la Chiesa dei pagani, una Chiesa senza circoncisione: siamo figli di Abramo semplicemente per la fede in Cristo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “La pace richiede quattro condizioni essenziali: verità, giustizia, amore e libertà” (Giovanni Paolo II).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che hai scelto san Barnaba, pieno di fede e di Spirito Santo, per convertire i popoli pagani, fa’ che sia sempre annunziato fedelmente, con la parola e con le opere, il Vangelo di Cristo, che egli testimoniò con coraggio apostolico. Per il nostro Signore Gesù Cristo...