10 Giugno 2018

X Domenica T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,31b.32 ).

Dal Vangelo secondo Marco 3,20-35: Gesù, il più forte, ha sbaragliato le potenze infernali, ha vinto Satana, questo è il Vangelo, la buona notizia, che si diffonde sino ai confini della terra. L’uomo è libero, sono stati infranti i ceppi di satana; oggi, gli uomini, dal regno tenebroso di satana, sono stati “trasferiti” (Col 1,13) nel Regno di luce della santissima Trinità; l’uomo non più schiavo, libero, figlio di Dio, è erede del Padre e coerede di Cristo (Rm 8,17). Colui che si oppone a questa potenza di amore, colui che rifiuta la salvezza del Cristo, colui che nega questo progetto di salvezza, bestemmia contro lo Spirito Santo, un peccato che non verrà mai perdonato in eterno: “In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna” (Mc 3,28-29).

Per un approfondimento del racconto evangelico si può fare ricorso al Magistero della Chiesa. L’uomo, incapace di superare efficacemente da sé gli assalti del male, è come se fosse incatenato (cfr. GS 13). Questa estrema povertà è il frutto amaro del peccato originale, in conseguenza del quale «il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimane libero. Il peccato originale comporta “la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 407). Per cui ignorare che l’uomo «ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi» (ibidem). Sempre per il Catechismo, le «conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni “il peccato del mondo” [Gv 1,29]. Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini» (408). Ecco perché è necessario aprirsi a Cristo che con la sua morte e risurrezione ha liberato l’uomo dal potere di Satana, sottraendolo alla sua schiavitù: «Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita, e in lui Dio ci ha riconciliato con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’apostolo: il Figlio di Dio “ha amato me e ha sacrificato se stesso per me” [Gal 2,20]» (GS 22). Una liberazione già in atto, ma che si farà piena soltanto quando il Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (1Cor 15,24). Ecco perché oggi «tutta  la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre» (GS 13). Così come tutta «intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno» (GS 37). L’uomo inserito in questa battaglia «deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio» (GS 33). Per stare saldi contro gli assalti del demonio si può fare ricorso all’autorità della Parola di Dio. Per esempio Ef 6,10-18, con dovizia di particolari, enumera le varie armi che compongono l’armatura spirituale necessaria a rintuzzare gli assalti di Satana. Ma potrebbe servire il monito di Friedrich Wilhelm Nietzsche rivolto all’uomo: «Diventa ciò che sei». E l’uomo non è un animale. L’uomo è immagine di Dio (cfr. Gen 1,27), trono della sua gloria, tempio della santa Trinità creato «per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e mediante questo salvare l’anima sua» (Ignazio di Loyola). Chi ha il coraggio di essere uomo, e di vivere come tale, ha già vinto Satana!

Il peccato contro lo Spirito Santo - Ortensio Da Spinetoli (I Quattro Vangeli): Questo brano merita particolare attenzione, perché come indica l’amen iniziale costituisce il vertice apoftegmatico dell’intera unità letteraria (vv. 20.30). Osserva Gnilka, «la confutazione di Gesù... si trasforma in accusa» (p.200). Mc inserisce questo detto solenne di Gesù nel presente contesto come terza argomentazione per confutare la calunnia degli scribi (v. 22), mentre Lc, che si rifà alla fonte Q, presuppone un’altra ambientazione. Gesù innanzitutto esprime la certezza della remissione incondizionata e universale di tutti i peccati: la bontà sconfinata di Dio costituisce il nocciolo del messaggio evangelico.
Tuttavia, egli soggiunge che la bestemmia contro lo Spirito Santo è irremissibile. È controverso in che cosa consista questo peccato. Nel presente contesto marciano Gesù si riferisce all’atteggiamento incredulo degli scribi. I prodigi straordinari, gli esorcismi che Gesù compiva dovevano costituire una prova convincente per favorire in chi era immune da pregiudizi l’adesione al suo insegnamento e per far intuire l’origine soprannaturale del suo potere («exousia»). I rappresentanti dei giudei, invece, travisarono il senso di questi segni, indurendo il proprio cuore e chiudendo volontariamente gli occhi dinanzi alla luce. In tale maniera si precludevano la via della salvezza, che per volontà di Dio doveva passare attraverso l’adesione di fede nel suo Inviato definitivo. Il rifiuto del perdono offerto all’umanità mediante l’opera di Gesù avrebbe avuto come conseguenza l’esclusione dal suo regno nel giudizio finale.
Emerge così la dimensione escatologica del peccato contro lo Spirito Santo, che in definitiva consiste nel «rifiuto ostinato di riconoscere i segni e l’azione di Dio nei segni del suo Santo Spirito; in concreto, nel chiudere gli occhi alla positività della predicazione profetica e dell’attività di Gesù (specialmente dei suoi esorcismi) interpretandoli come azione demoniaca» (Pesch, I, p. 352).

Nota sul peccato contro lo Spirito Santo - Vincent Taylor (Marco): Il detto è una delle parole più provocanti di Gesù; e fraintendimenti del suo significato hanno causato incalcolabili sofferenze.
La verità del detto non va attenuata a mascherata; ma deve sempre venir giudicata alla luce della più grande verità del vangelo, cioè che dove esiste un vero pentimento (o anche la possibilità di pentimento) il peccato può essere ed è perdonato da Dio. Non si tratta qui di ogni peccato contro lo Spirito Santo, neppure un’invettiva pronunciata con rabbia a per ignoranza; neppure è semplicemente il rifiuto deliberato di una luce più piena, pur con la consapevolezza che si tratta della luce. È una perversione dello spirito che, sfidando i valori morali, sceglie di chiamare luce le tenebre. Non possiamo trarne la conclusione che gli scribi abbiano commesso questo peccato; è più giusto interpretare il passo come indicazione del pericolo morale che essi stanno correndo. L’ammettere a meno la possibilità di questo «peccato che conduce alla morte» (1Gv. 5,16) dipende dal fatto se noi crediamo a meno che ci sono limiti estremi a cui può arrivare l’autoaffermazione e l’autoadorazione umana; dipende ancora dalla nostra conoscenza della vita e della storia; e più di tutto dal nostro riconoscimento che quell’ammonimento proviene da Gesù. Di tutti i maestri religiosi nessuno fu meno disposto di lui a minimizzare le possibilità di perdono e di miglioramento, e le risorse illimitate della grazia divina.

Parentela spirituale - Vincenzo Raffa: I parenti di Gesù credettero, in una certa misura, che il loro congiunto fosse un esaltato e vennero, preoccupati della sua salute e forse anche dell’onore della famiglia. La loro fu un’apprensione affettuosa e, se anche a un dato momento diventò indiscreta ed eccessiva, fu sempre ben intenzionata e motivata dall’amore.
Gesù colse quest’occasione per enunciare un principio generale. Il valore dei rapporti con lui non viene tanto dalla parentela naturale, quanto da quella spirituale. Ciò che egli stima è la sintonizzazione con lui nel compiere la volontà divina. E questo significa credere in lui ed seguire i suoi comandi, in altre parole mettere in pratica il messaggio evangelico. I vincoli di sangue, di stirpe, di nazionalità con Cristo non hanno importanza per la salvezza. Il nome di cristiano, di religioso, di ministro del culto senza la vera pratica della parola di Cristo non creano una vera affinità con lui.
Appartenere alla Compagnia di Gesù, ai Piccoli fratelli e sorelle di Gesù, alla Congregazione del SS. Redentore, alle Ancelle di Cristo Re, alle Discepole del Divin Maestro, alle Figlie del Divin Salvatore, ai Missionari del S. Cuore e così via, non costituisce un’ipoteca sul paradiso, neppur il chiamarsi sposa, rappresentante, predicatore o vicario di Cristo o alter Christus.

Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): I parenti di Gesù si sono messi in cammino per impadronirsi di lui. Per quale motivo?
Egli si lascia sopraffare dalla folla: «È fuori di sé!» (v. 21b). C’è nell’aria un conflitto: ed ecco che esplode (v. 31). È la stessa ostinazione di prima; Gesù è dentro la casa, certo occupato a insegnare (v. 32a): gli viene annunciata l’improvvisa visita di sua madre e dei suoi fratelli (v. 32b). Marco lo nota due volte: la famiglia di Gesù resta «di fuori»; si scontra con la folla che circonda il maestro. Essi vorrebbero soprattutto farlo uscire dalla casa, strapparlo alla sua missione. Di qui, senza dubbio, la severità delle parole di Gesù espressa nella sua domanda provocatoria (v. 33): ci si è stupiti che Gesù parli di sua madre in modo così duro.
Marco però non è abituato a occuparsi di problemi psicologici. Ci si è anche chiesto chi sono questi «fratelli» di Gesù, mentre la tradizione lo presenta come figlio unico. In questo caso, sapere che in ambiente semitico il termine «fratello» designa anche un parente prossimo, non importa molto: quello che l’evangelista rileva è una decisa affermazione di distacco di Gesù riguardo ai legami di sangue; il culmine dell’episodio lo confermerà. Il maestro getta uno sguardo circolare su tutti coloro che sono seduti attorno a lui (v. 34a): in Marco, questo sguardo indica sempre un momento importante (cfr. 3,5; 10,23; 11,11). E infatti Gesù fa una dichiarazione fondamentale (v. 34b): la sua vera famiglia gli non la pone nel parentado secondo la carne, ma negli uomini e nelle donne che ascoltano la sua parola. E lo precisa senza mezzi termini: «Chi fa la volontà di Dio, questi è mio fratello, mia sorella e mia madre» (v. 35).
Per Marco, si tratta di un modo, insieme chiaro e semplice, di presentare la Chiesa ai cristiani del suo tempo.
La persecuzione da parte dei romani ha costretto le famiglie a separazioni dolorose; i membri che si convertono sono spesso costretti a compiere una scelta fra i legami familiari e l’appartenenza alla comunità cristiana. L’evangelista dimostra loro che Gesù stesso è stato costretto a effettuare una rottura totale nei confronti dei suoi parenti, ed essi non potevano più invocare diritti nei suoi confronti. Così, strada facendo, Marco indica i due tipi di rapporti che si sono stabiliti fra Gesù e i suoi contemporanei: vi sono coloro che lo respingono e coloro che lo accolgono.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La bestemmia contro lo Spirito Santo è “una perversione dello spirito che, sfidando i valori morali, sceglie di chiamare luce le tenebre”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che hai mandato il tuo Figlio a liberarci dalla schiavitù di satana, sostienici con le armi della fede, perché nel combattimento quotidiano contro il maligno partecipiamo alla vittoria pasquale del Cristo. Egli è Dio e vive e regna con te ...