26 Maggio 2018

Sabato VII Settima Tempo Ordinario


Oggi Gesù ci dice: «Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Marco 10,13-16: Gesù, nonostante l’ostruzionismo degli Apostoli, accoglie dei bambini che gli vengono presentati perché li toccasse. Gesù acconsente e prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro. Un gesto di tenerezza che rivela i sentimenti di Gesù verso i più piccoli, gli indifesi, verso coloro che nella società giudaica non contavano affatto. In questo gesto di tenerezza c’è una rivoluzione a trecentosessanta gradi. Se per l’ambiente giudaico solo l’adulto poteva raggiungere il regno di Dio perché capace di porre atti coscienti, nel magistero di Gesù invece lo si può solo ricevere, come dono gratuito, facendosi appunto bambini.

Gesù benedice ì bambini (10,13-16) - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Alla controversia sul matrimonio segue un apoftegma biografico, che inquadra un detto importante di Gesù, concernente i bambini (v. 14).
Nell’ambiente giudaico i bambini erano trascurati e disprezzati, perché incapaci di comprendere e di praticare la Legge; occuparsi di loro significava sprecare il proprio tempo. Gesù, invece, assunse nei loro confronti un atteggiamento completamente diverso. Se ne ha una conferma nell’episodio parallelo, riportato sopra, del bambino che Gesù pose in mezzo ai discepoli abbracciandolo, per inculcare a costoro lo spirito di umiltà e di servizio (9,36-37). L’affinità con la presente pericope è evidente.
Il centro dottrinale del racconto è costituito dal v. 14; la cornice narrativa sembra redatta in funzione di questo logion, un apoftegma, cui poi fu aggiunto il v. 15 per un’applicazione dottrinale più ampia. La scena rileva che la diaconia verso i bambini doveva costituire un compito importante per la comunità cristiana, in conformità al comportamento di Gesù, amico premuroso soprattutto degli ultimi, dei poveri, dei piccoli. [...]
v. 14 «Lasciate che i bambini vengano a me ... perché di questi tali è il regno di Dio». Abbiamo qui la lezione fondamentale, la sentenza apoftegmatica. L’evangelista evidentemente non intendeva descrivere una scena romantica, ma proporre ai suoi lettori un insegnamento di estrema importanza: il regno dei cieli è concesso a chi si rende conto della propria piccolezza, dell’incapacità di redimersi, della propria povertà, che soltanto Dio può colmare. Come i bambini percepiscono spontaneamente la loro fragilità, la necessità assoluta dell’aiuto dei genitori, così il credente deve riporre la propria sicurezza e fiducia filiale soltanto in Dio. È lui che viene incontro all’incapacità dell’essere umano, mediante l’opera del proprio Inviato. Il detto di Gesù non si riferisce alla semplicità dei bambini, alla loro innocenza, ali ‘umiltà o a qualche altra ipotetica virtù puerile, cose tutte che si possono mettere in discussione, bensì alla loro situazione concreta di dipendenza dai genitori, ai quali si affidano per tutte le loro necessità con fiducia. appunto perché incapaci e immaturi.
Anche il regno di Dio non rappresenta una conquista dell’uomo ma un dono gratuito dell’amore misericordioso di Dio.

Léon Roy - 1. Dio e i bambini - Già nel Vecchio Testamento il bambino, a motivo stesso della sua debolezza e della sua imperfezione native, appare come un privilegiato di Dio, il Signore stesso è il protettore dell’orfano ed il vindice dei suoi diritti (Es 22,21ss; Sal 68,6); egli ha manifestato la sua tenerezza paterna e la sua preoccupazione pedagogica nei confronti di Israele «quando era bambino», al tempo dell’uscita dall’Egitto e del soggiorno nel deserto (Os 11, 14).
I bambini non sono esclusi dal culto di Jahve, partecipano anche alle suppliche penitenziali (Gioe 2,16; Giudit 4,10s), e Dio si prepara una lode dalla bocca dei bambini e dei piccolissimi (Sal 8,2s = Mt 21,16).
Lo stesso avverrà nella Gerusalemme celeste, dove gli eletti faranno l’esperienza dell’amore «materno» di Dio (Is 66,10-13). Già un salmista, per esprimere il suo abbandono fiducioso nel Signore, non aveva trovato di meglio che l’immagine del piccino che si addormenta sul seno della madre (Sal 131,2).
Più ancora, Dio non esita a scegliere taluni bambini come primi beneficiari e messaggeri della sua rivelazione e della sua salvezza: il piccolo Samuele accoglie la parola di Jahve e la trasmette fedelmente (1Sam 1-3); David è scelto a preferenza dei suoi fratelli maggiori (1Sam 16,1-13); il giovane Daniele si dimostra più sapiente degli anziani di Israele salvando Susanna (Dan 13,44-50).
Infine, un vertice della profezia messianica è la nascita di Emmanuel, segno di liberazione (Is 7,14ss); ed Isaia saluta il bambino regale che, assieme al regno di David, ristabilirà il diritto e la giustizia (9,1-6).
2. Gesù e i bambini - Non era perciò conveniente che, per inaugurare la nuova alleanza, il Figlio di Dio si facesse bambino? Luca ha notato con cura le tappe dell’infanzia così percorse: neonato del presepio (Lc 2,12), piccino presentato al tempio (2,27), bambino sottomesso ai genitori, e tuttavia misteriosamente indipendente da essi nella sua dipendenza dal Padre suo (2,43-51).
Fatto adulto, Gesù nei confronti dei bambini adotta lo stesso comportamento di Dio.
Come aveva dichiarato beati i poveri, cosi benedice i bambini (Mc 10,16), rivelando in tal modo che essi sono, gli uni e gli altri, atti ad entrare nel regno; i bambini simboleggiano i discepoli autentici, «il regno dei cieli appartiene a quelli che sono come loro» (Mt 19,14 par.). Di fatto si tratta di «accogliere il regno come bambini» (Mc 10,15), di riceverlo con tutta semplicità come un dono del Padre, invece di esigerlo come qualcosa di dovuto; bisogna «diventare come bambini» (Mt 18,3) ed acconsentire a «rinascere» (Gv 3,5) per accedere a questo regno. Il segreto della vera grandezza è «di farsi piccoli» come i bambini (Mt 18,4): questa è la vera umiltà, senza la quale non si può diventare figli del Padre celeste.
I veri discepoli sono precisamente i «piccolissimi», a cui il Padre ha voluto rivelare, come un tempo a Daniele, i suoi segreti nascosti ai sapienti (Mt 11,25s). D’altronde, nel linguaggio del vangelo, «piccolo» e «discepolo» sembrano talvolta termini equivalenti (cfr. Mt 10,42 e Mc 9,41). Beati coloro che accolgono uno di questi piccoli (Mt 18,5; cfr. 25,40), ma guai a chi li scandalizza o li disprezza (18,6.10).

I bambini non sono certo una parte trascurabile della Chiesa: Christifideles laici 47: I bambini sono certamente il termine dell’amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il Regno dei cieli (cfr. Mt 19,13-15 Mc 10,14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me” (Mt 18,3-5; cfr. Lc 9,48). I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l’intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza. Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell’età dell’infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l’edificazione della Chiesa che per l’umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all’interno della famiglia “Chiesa domestica”: “I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori” (GS 48), dev’essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del XV secolo, per il quale “i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa”.

Farsi come bambini - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): Farsi bambini davanti a Dio è tornare a nascere perché, come diceva Gesù a Nicodemo, chi non nasce dall’alto, dall’acqua e dallo spirito, non può entrare nel regno di Dio (cfr. Gv 3,1-15). Questo regno è dono di Dio, iniziativa e offerta divina; perciò deve essere ri­cevuto come un regalo. E la disposizione migliore per ricevere da Dio è quella del bambino che ha solo gli occhi aperti e le mani tese. Una volta accettato il regno, si entra in esso. Qui culmina la cosiddetta «in­fanzia spirituale», atteggiamento interiore del quale in altri tempi si abusò asceticamente, confondendolo con l’ingenuità infantile. Niente di più lontano dalla coscienza cristiana di filiazione, che è atteggiamento maturo e responsabile davanti a Dio e agli altri.
Nella sua condotta verso i bambini Gesù manifesta il cuore amorevole di Dio. Davanti a lui siamo sempre bambini, cioè figli, qualsiasi età o posizione sociale abbiamo. «L’inizio della conversione e della nuova vita è questo: che l’uomo impari a chiamare il suo Dio in modo filiale e consolante: Abbà (Padre), perché in lui si sa sicuro e amato senza limiti» (J. Jeremias).
Vivere l’esperienza filiale dell’amore di Dio come bambini e come figli che si sentono amati dal Padre, è già aprirci al regno ed entrare dalle sue porte: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!... In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio » (1Gv 3,1; 4,10). E dall’esperienza cristiana della filiazione nascerà quella della fratellanza umana, perché «se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11).
Non si tratta, quindi, di essere bambini e minori di età, immaturi, egoisti e mossi dal timore del castigo - questo non è evangelico -, ma di «farci come bambini» davanti a Dio, gratificando gli atteggiamenti più nobili dei bambini, come la fiducia e la libertà, l’apertura ricettiva e la gratitudine che restituisce amore per amore.

Il bambino oggetto di particolare amore da parte di Gesù: Giovanni Paolo II (Omelia, 13 Dicembre 1999): Va crescendo nell’odierna società l’attenzione per il mondo dell’infanzia e si consolida la consapevolezza del doveroso rispetto per il suo inalienabile diritto alla vita, alla famiglia, alla salute, all’istruzione ed all’educazione religiosa e civile, come pure alla rigorosa difesa della sua innocenza. Ciò nonostante, non di rado i fanciulli subiscono ancora gravi affronti e violenze, specialmente nelle regioni più povere del mondo e nei paesi colpiti dalla guerra e dalla fame. Sono minacciati dall’egoismo e dalla corsa al benessere materiale, che talora affascina i genitori, sottraendoli al dovere di una presenza educativa, fatta di premurosa vicinanza ai figli e di ascolto dei problemi connessi con la loro crescita ed inserimento nella società. La Chiesa continua a proclamare sotto ogni latitudine la centralità del bambino, oggetto di particolare amore da parte di Gesù, che in lui scorge il modello di quanti sono chiamati ad accogliere il Regno di Dio (cfr. Mc 10,14).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La Chiesa continua a proclamare sotto ogni latitudine la centralità del bambino, oggetto di particolare amore da parte di Gesù, che in lui scorge il modello di quanti sono chiamati ad accogliere il Regno di Dio.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che glorifichi i tuoi santi e li doni alla Chiesa come modelli di vita evangelica, infondi in noi il tuo Spirito, che infiammò mirabilmente il cuore di san Filippo Neri. Per il nostro Signore.