24 Maggio 2018

Giovedì VII Settima Tempo Ordinario


Oggi Gesù ci dice: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Antifona Salmo Responsoriale).  

Dal Vangelo secondo Marco 9,41-50: Un Vangelo scomodo, almeno per chi crede di poter giustificare tutto, anche l’omicidio o il grassatore. Possiamo dire che è un monito rivolto a chi è dentro la Chiesa, pensiamo ai tanti esegeti che fanno “girare la testa” gettando il “piccolo nella fede” nella confusione; pensiamo ai tanti maestri dell’errore e del vizio che amano “farsi chiamare guide e padri dell’umanità”. I sapientoni che ogni giorno nei vari circoli mediatici vomitano sentenze, opinioni, critiche, giudizi. Una cachessia che avvilisce e annichilisce l’uomo, il piccolo; ma per chi fa opera di distorsione della verità è apparecchiata una sentenza e una condanna, nette e lapalissiane: l’inferno, dove sarà tormentato nei sensi, privato della bella visione del dolcissimo volto di Dio, e, immerso nelle tenebre, sarà tormentato giorno e notte dalla coscienza, in una parola, sarà salato con il fuoco.



Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me: I piccoli non sono tanto i bambini, ma i credenti dalla fede vacillante, i cristiani deboli esposti allo scandalo. I credenti, al dire di sant’Alberto Magno, qui sono «detti piccoli per la loro fede limitata e perché possono essere facilmente scandalizzati, sono cioè deboli nella fede e pronti al peccato, provocati anche dai cattivi esempi dei sacerdoti».
E Gesù su questo punto non ammette deroghe. Il giudizio è severissimo, un giudizio espresso con parole di fuoco. Qui viene sfumata l’immagine edulcorata del Gesù buono a tutti i costi, pronto a perdonare tutto a tutti.
Da qui l’urgenza a recidere, con profonda determinazione, tutto quello che può provocare scandalo a se stessi e ai fratelli. I moniti di Gesù certamente non vanno presi alla lettera. Avremmo un paese zeppo di ciechi e di sciancati. In verità, è l’urgenza della conversione per entrare nel Regno di Dio.
La porta per entrare nel Regno è stretta (Mt 7,13-14) per cui per entrarvi non è necessario mutilarsi, ma semplicemente scorticarsi. La salvezza non è un gioco da ragazzi, non è da prendere sotto gamba; è invece qualcosa di molto serio. Per il Vangelo la vita terrena, nel suo naturale finire, si apre soltanto a due soluzioni: o il Regno, cioè l’eterna beatitudine; o la Geenna, l’Inferno «ove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 8,12), cioè l’eterna dannazione (Mt 18,18; 25,41; Gd 1,7).
La sibillina espressione - il loro verme e il fuoco non si estingue - è presa di peso dal libro del profeta Isaia (66,24) dove il verme è simbolo del rimorso.
Acutamente fa osservare san Giovanni Crisostomo che qui la coscienza viene chiamata verme che «morde l’anima che non opera il bene». Quindi  ognuno «diviene accusatore di se stesso al ricordo di come si è comportato nell’esistenza mortale, e così il verme non muore» (Catena Aurea). Ricordata in altri testi veterotestamentari (cf. Sir 7,17; Gdt 16,17), l’espressione sta ad indicare il giusto castigo dell’empio. Gesù se ne serve «per descrivere metaforicamente le pene dei dannati, che saranno tormentati senza possibilità di riscatto. Strettamente non sembra che vi sia inclusa anche l’idea di eternità. Ma tenendo conto di tutto l’insegnamento del Nuovo Testamento al riguardo, non sembra che si possa escludere» (A. Sisti).
Perché ciascuno sarà salato con il fuoco: A volere gettare alle ortiche secoli di esegesi, di pronunciamenti del magistero della Chiesa e di riflessioni alla fine non resta che dire una cosa sola: come esiste la possibilità che l’uomo alla fine della vita possa aprire gli occhi sul volto di Dio (1Cor 13,12), così esiste la possibilità che possa perdersi eternamente. Egli può andare consapevolmente incontro a una dannazione intrisa di indicibili patimenti (la pena del senso) e tra questi il dolore inenarrabile della perdita di Dio (la pena del danno). Il non contemplare Dio, il non vedere il suo volto, questa è la pena indicibile che accompagnerà eternamente il dannato. La replica di Gesù non è una minaccia, ma «una luce che mi indica la via, e io devo giungere a comprendere e accogliere la sua volontà: “Sì, Signore, se per arrivare a Te mi chiedi di entrare nella vita monco ... zoppo ... con un occhio solo, mi troverai pronto”. Questa è la vita cristiana radicata nella serietà purissima della Croce» (G. Pollano).

Lo scandalo - E. Ghini (Scandalo - Schede Bibliche): 1. Lo scandalo per Israele. Il termine skàndalon eredita dall’ebraico una grande ricchezza di significati; esso deriva da skandàlètron e traduce nei LXX due diverse radici ebraiche: jqs (nqs), che significa prendere in trappola (Sal. 124), e ksl, che significa inciampare, vacillare (Is. 8,15), da cui deriva il sostantivo mik’ sòl, occasione di caduta, ostacolo (Lev. 19,14; Is. 57), usato anche in senso metaforico (1Sam. 25,31; Ez. 3,20). Si è detto che skàndalon, da causa di rovina materiale, passa progressivamente a indicare rovina in senso religioso, quindi caduta e peccato.
Lo scandalo per Israele si configura come attentato all’alleanza, rifiuto del rapporto d’amicizia che Dio ha stabilito con l’uomo mediante essa. In questo senso possono costituire una seduzione, un laccio per Israele i popoli abitanti la terra promessa (Es. 23,33; 34,12), se Iahvé non li caccia davanti al suo popolo (Gios. 23,13). Causa ricorrente di scandalo, cioè di occasione di peccato, è infatti l’idolatria delle nazioni vicine al popolo eletto (Dt. 7,16). Gli idoli stessi sono detti scandalo (Os. 4,17; Giud. 8,27).
Ma anche Iahvé può porsi come pietra d’inciampo per il suo popolo prevaricatore (Is. 8,14), e costituire per esso, per la sua salvezza, un momentaneo ostacolo (Ger. 6,21). Israele deve scegliere tra l’economia di Dio e quella umana; scegliere quest’ultima è incorrere nella ribellione, che rende Dio causa di rovina per i suoi figli.
Anche il singolo israelita può essere «scandalo» per il popolo eletto, se tenta di strapparlo al rapporto dell’alleanza e quindi dal seguito di Iahvé. Dio punisce chi tenta di indurre Israele alla perversione (1Re 14,16). Elia predice ad Acab la sua tragica fine solo perché ha provocato lo sdegno di Iahvé, ma anche perché ha fatto peccare Israele (1Re 21,22).
Lo scandalo ha un aspetto individuale e un aspetto sociale. Esso è legato all’empietà; per l’empio infatti tutto può essere occasione di caduta e motivo di scandalo: non solo la lingua (Eccli. 23,28), ma anche la legge (Eccli. 32,15). Dio solo può far scomparire lo scandalo (Sof. 1, 3).
2. Potenza demoniaca dello scandalo nel Nuovo Testamento. Come nell’Antico Testamento, anche nel Nuovo Testamento lo scandalo è definito in rapporto a Dio.
Nel Nuovo Testamento skàndalon e skandalìzon hanno la stessa pregnanza di significato che nell’Antico Testamento e nel giudaismo, ma subiscono l’influenza del clima nuovo portato da Cristo. Gesù, la più assoluta sfida alla fede, richiama lo scandalo, ostacolo alla fede.
Nei sinottici i due significati principali di skàndalon hanno per centro Satana (il male) o Gesù (la fede). Un gruppo di testi è centrato sul male. È Matteo l’evangelista che mette in luce l’aspetto demoniaco dello scandalo. L’opera di Gesù, l’unto di Spirito santo che si oppone a Satana (Mc. 3,22.29), segna la sconfitta del principe delle tenebre; le espulsioni dei demoni lo manifestano.
Con immagini dell’apocalittica giudaica, Matteo evoca il dramma escatologico. Mt. 13,41 cita Sof. 1,3: gli scandali si riferiscono non solo agli uomini che con il loro esempio causano la rovina di altri, ma alle forze demoniache che lavorano alla corruzione dell’umanità. Esse raggiungono negli ultimi tempi il massimo di potenza nefasta. La vittoria definitiva sarà però dei figli dell’uomo.
Mt. 24,10 richiama Dan. 11,41: lo scandalo è qui la grande apostasia operata dalle potenze sataniche che hanno il compito di seminare il male nel mondo. Per il loro influsso molti si vendono a Satana e lo riconoscono per il Dio dell’universo.
Questi testi mostrano, già in luce escatologica, la grandezza del seduttore che distrugge la fede e induce alla caduta. Anche Mt. 18,7 va letto in prospettiva apocalittica; il testo non riguarda una semplice tentazione, ma mostra lo spaventoso pericolo dello scandalo che precede la venuta del messia e che esclude dalla salvezza. Ma anche gli scandali stanno sotto la necessità divina (anànk) e fanno parte del disegno di Dio, anzi, annunciano presente il suo venire, costringono alla scelta decisiva per o contro Dio. Pietro, che ha ricevuto autorità sulle potenze infernali (Mt. 16,16-19) diviene, a sua insaputa, un loro strumento. Lo scandalo si rivela come contrasto tra l’uomo e Dio, e se ne ricupera qui il senso anticotestamentario: gli idoli erano abominevoli per Iahvé; allo stesso modo è esecrabile lo scandalo. La decisione per o contro Dio passa per un punto solo, la croce; Pietro diviene scandalo per Gesù perché misconosce la via della croce. L’abbandono, da parte di Gesù, del piano di salvezza voluto dal Padre, comporterebbe l’abbandono del mondo alle forze demoniache. La proposta di Pietro è satanica (Mt. 16,21-23). Allo stesso modo i pastori possono divenire motivo di scandalo per il gregge quando la prudenza umana impedisce in essi l’ascolto dello Spirito (Gv. 10,11s.).

Chi scandalizza... - Il Catechismo della Chiesa Cattolica può aiutarci a comprendere le parole di Gesù. Innanzi tutto, dà una definizione: «Lo scandalo è l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male. Chi scandalizza si fa tentatore del suo prossimo. Attenta alla virtù e alla rettitudine, può trascinare il proprio fratello alla morte spirituale. Lo scandalo costituisce una colpa grave se chi lo provoca con azione e omissione induce deliberatamente altri in grave mancanza» (2284). E ancora, lo scandalo «assume una gravità particolare a motivo dell’autorità di coloro che lo causano o della debolezza di coloro che lo subiscono [...]. Lo scandalo è grave quando a provocarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare gli altri. Gesù lo rimprovera agli scribi e ai farisei: li paragona ai lupi rapaci in veste di pecore» (ibidem 2285).
La gravità sta nel fatto che è in gioco la fede dei piccoli, sta nel fatto che possono essere uccisi spiritualmente. L’uomo, oggi, ha trovato dei sotterfugi per trarsi d’impaccio e per non farsi sbranare dal verme che non muore. I suoi trucchi sono quelli di trasformare tutto in arte o di propagare vergognose licenziosità come conquiste di civiltà; così la pornografia è arte e i matrimoni gay, l’aborto, il divorzio spacciati come conquiste ...  È grottesco, come fa notare Vincenzo Raffa, «sbandierare gli ideali di libertà, di arte, di cultura, di civiltà, di liberazione umana, di progresso e così via, quando altro non c’è che profonda depravazione, sollecitudine alla violazione delle leggi più fondamentali, offesa alla religione, sovvertimento della legittima autorità» (Liturgia festiva). Il tutto diventa ancora più disgustoso e più ripugnante quando «il movente reale è l’impinguamento del proprio portafoglio, l’eliminazione disonesta dell’avversario, la destabilizzazione di una dirigenza scomoda, magari pienamente legittima e fattivamente impegnata al bene comune» (ibidem).
Ormai siamo abituati a tutto, ma, come affermava, Erasmo da Rotterdam, «i mali che non si avvertono sono i più pericolosi».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna” (Gal 6,7-8).   
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...