10 Maggio 2018

Giovedì Feria VI Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Non vi lascerò orfani, vado e ritorno a voi, e il vostro cuore sarà nella gioia” (Cfr. Gv 14,18).


Dal Vangelo secondo Giovanni 16,16-20: Gesù ha promesso il Paraclito, la guida ineffabile che condurrà i discepoli alla verità tutta intera, e il cuore si è colmato di gioia, ma si è velato anche di tristezza, perché Gesù ha detto loro che non lo vedranno più. Ma ancora non comprendono, infatti questa assenza, che produrrà tanta tristezza, durerà pochi giorni, appena tre giorni, i giorni della passione, e poi esploderà la gioia della risurrezione. Questa presenza non si concluderà con le apparizioni pasquali, Gesù sarà sempre in mezzo ai suoi: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20).

Felipe F. Ramos (Commento alla Bibbia Liturgica): Questa breve sezione stabilisce un contrasto assai forte «voi», la Chiesa e il «mondo». Gli uni soffrono e gli altri godono. Perché? La causa della tristezza è la solitudine. Solitudine in mezzo al mondo di coloro che, non essendo nel mondo, devono vivere nel mondo. Solitudine che nasce anche dall’odio del mondo. Il mondo non può amare coloro che non sono suoi, che non pensano come il mondo, che contraddicono la sua sicurezza e autosufficienza, odio che divampa nel cuore del mondo, anche se dovuto al semplice fatto di trovarsi di fronte una comunità o Chiesa che contraddice il suo modo di considerare la vita.
Di fronte alla tristezza della Chiesa abbiamo la gioia il mondo. Il mondo si rallegra per la partenza di Gesù, porche la sua predicazione e la sua presenza costituivano un attacco alla sua sicurezza e alla sua autoaffermazione. Si rallegra per il dolore, la tribolazione e la persecuzione della Chiesa e dei credenti semplicemente perché sono la continuazione di quello che era Cristo.
Ma la tristezza si trasformerà in gioia; non solo perché dopo la tempesta torna il sereno, ma la gioia nasce dalla stessa causa da cui nasce la tristezza. L’allontanamento «interno» dal mondo produce la tristezza e, allo stesso tempo è causa di gioia. Questa gioia ha le sue radici nel fatto che, in questo allontanamento «interno» dal mondo, si ottiene la vera libertà (Gv 8,32), libertà che; a sua volta, è prodotta dall’incontro con Cristo. E poiché questo Incontro è «spirituale» e non avviene solo col Gesù di Nazaret, tangibile, abbordabile e condannabile, ma col Cristo risuscitato,nessuno potrà togliere loro la gioia.
D’altra parte questa gioia riposa sulla base della riconciliazione fra l’uomo e Dio; riconciliazione ottenuta dall’opera di Cristo ed espressa in modo particolare nella preghiera comunitaria, espressione di gioia.
La tristezza trasformata in gioia si vedrà illustrata nei capitoli 20-21: la Maddalena e i discepoli si rallegrarono vedendo il Signore. È, quindi, una gioia che dipende dalla presenza di Gesù e dalla sua vittoria. «In quel giorno non mi domanderete più nulla», semplicemente perché lo Spirito li avrà portati alla verità completa... Sarà cessata l’incomprensione. Gesù cesserà di essere per essi sconcertante; come era stato fino a quel momento.
Questa piena comprensione caratterizza la situazione escatologica Non vi saranno più domande da fare . Il mistero dell’esistenza umana è chiarito definitivamente alla luce della fede. Questo spiega come la naturale tristezza del passato sia sostituita dalla gioia, caratterizzata dalla mancanza di ogni interrogativo o dalla risposta a tutti gli interrogativi che vi potrebbero essere.

Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): vv. 16-19 - «Un poco e non mi vedrete più, e di nuovo un poco e mi vedrete». Secondo numerosi commentatori, Gesù si riferisce alla sua morte imminente, che sarà seguita dalla risurrezione e da numerose apparizioni, quando i discepoli lo avrebbero rivisto nuovamente. Sant’Agostino e altri rapportano l’espressione «e di nuovo un poco e mi vedrete» alla parusia, quando secondo la tradizione sinottica il Figlio dell’uomo sarebbe apparso sulle nubi (Mc 14,62 e parr.).
Entrambe le spiegazioni sembrano insufficienti. Infatti le apparizioni di Gesù non ebbero subito per effetto la piena comprensione del mistero della sua persona da parte dei discepoli (v. 23) e la parusia era troppo lontana per trasformare la loro angoscia e tristezza in gioia. Perciò Gesù probabilmente non si riferiva alle apparizioni dopo la sua risurrezione e nemmeno alla sua venuta finale, bensì alla «continua esperienza della sua presenza nel cristiano, e ciò può significare solo la presenza dello Spirito/Paraclito» che egli avrebbe effuso sui discepoli (Brown II, p. 886). Tenendo conto del brano precedente (16,4b-15), risulta che rientrava nella missione dello Spirito Santo dimostrare la vittoria di Cristo nel processo contro il mondo e svelare pienamente ai discepoli la persona e l’opera di Gesù. Sembra pertanto che l’evangelista interpreti le parole enigmatiche di Gesù alla luce di una comprensione più adeguata del mistero di Cristo, la cui presenza i destinatari di Giovanni sperimentavano già nella loro comunità. Come appare da 14,19, la venuta-incontro di Gesù con i discepoli non si riferisce alle sue apparizioni post-pasquali, ma all’esperienza di gioia, derivante dall’azione dello Spirito nell’intimo del loro cuore, dando la certezza del trionfo di Cristo asceso alla destra del Padre, quale mediatore della salvezza. Le apparizioni del Risorto hanno potuto eventualmente segnare l’inizio storico di tale esperienza cristiana, che sarà però sempre più assimilata e resa permanente nella chiesa attraverso l’azione illuminatrice dello Spirito di verità.
I vv. 17-19 esprimono in forma dialogica la confusione nella mente dei discepoli, provocata dalle parole enigmatiche di Gesù, chiarite però dalla rivelazione successiva.

Benedetto Prete (Vangelo secondo Giovanni): versetto 20 - In verità ... vi dico; il Salvatore non risponde direttamente alla domanda dei discepoli; egli invece li esorta ad aver fiducia perché saranno duramente provati, ma il loro dolore si muterà in gioia, cioè alla prova seguirà la consolazione. Voi piangerete e farete lamenti, ma il mondo si rallegrerà; in termini velati Gesù allude alla sua imminente passione: i discepoli durante la pas­sione e morte del Maestro si troveranno nel dolore; i nemici di Cristo invece (i giudei) saranno nella gioia, perché ormai credono di averlo definitivamente vinto; cf. Apocalisse, 11,10.
Quest’allusione tuttavia non esaurisce l’intero significato delle parole di Gesù, le quali in pari tempo prospettano una situazione che è ricorrente nella storia: da una parte i credenti addolorati e tristi per un’assenza apparente di Cristo, e dall’altra il mondo non credente che si rallegra e gioisce per questa stessa assenza che essi giudicano reale.

Tristezza - Anselm Urban: Sia l’Antico Testamento che il Nuovo Testamento annunciano la salvezza di Dio, vogliono es­sere cioè “lieto messaggio” in mezzo a tutta la tristezza di questo mondo. La gioia nel Signore è la forza dei suoi fedeli (Ne 8,10); c’è però una allegrezza sguaiata, superficiale che minimizza la necessità di costante conversione alla quale i profeti fanno appello. La penitenza - anche nelle sue forme esteriori: vestiti di lutto, lamentazioni ecc. - è l’accettazione consapevole della tristezza conseguente il peccato: è amaro aver abbandonato il Signore (Ger 2,9). Ma c’è anche una tristezza del mondo che porta alla morte (2Cor 7,9s) perché si chiude all’offerta di Dio che rende felici (Mc 10,22). Gesù Cristo è venuto per consolare gli afflitti (Mt 5,4) e per sanare coloro che hanno il cuore spezzato (Lc 4,18 molti manoscritti). Ma come poteva avvenire questo se non attraverso il patimento da parte sua, di tutta la nostra tristezza per la lontananza di Dio (Gv 11,33s; Mc 14,34)? Questo eone rimane anche per i credenti colmo di tristezza e di sofferenza.
Soltanto per il futuro c’è la promessa che Dio tergerà ogni lacrima (Ap 21,4).

Beati coloro che piangono (Lc 6,21)! - M. Prat e Leon Dufour: Colui che doveva sprofondare in tal modo nell’abisso della tristezza poteva in anticipo proclamare beato non il dolore come tale, ma la tristezza unita alla sua gioia di redentore. È importante distinguere tristezza e tristezza. «La tristezza secondo Dio produce un pentimento di cui non ci si rammarica; la tristezza del mondo invece produce la morte» (2 Cor 7,10). Questa sentenza paolina è illustrata da esempi ben conosciuti. Da un lato, ecco un giovane che se ne va triste perché preferisce le sue ricchezze a Gesù (Mt 19,22), preannunziando i ricchi che Giacomo condanna promettendo loro la morte eterna (Giac 5,1); ecco i discepoli al Getsemani, oppressi di sonno e di mestizia, cioè maturi per abbandonare il loro maestro (Lc 22, 45); infine Giuda, disperato di essersi separato, con il tradimento, da Gesù (Mt 27,3ss): tale è la tristezza del mondo. Al contrario, la tristezza secondo Dio affligge i discepoli al pensiero del tradimento che minaccia Gesù (Mt 26,22), Pietro che singhiozza per aver rinnegato il suo Signore (26,75), i discepoli di Emmaus che camminano tristi al pensiero di Gesù che li ha lasciati (Lc 24,17), Maria che singhiozza perché hanno portato via il suo Signore (Gv 20,11ss). Ciò che distingue le due tristezze è l’amore di Gesù; il peccatore deve passare attraverso la tristezza che lo separa dal mondo per unirlo a Gesù, mentre il convertito non vuol conoscere tristezza se non nella separazione da Gesù. Dalla tristezza nasce la gioia. - La beatitudine prometteva la consolazione a coloro che piangono; tuttavia Gesù aveva annunziato che si sarebbe pianto quando lo sposo fosse tolto via (Mt 9,15), Il discorso dopo la cena rivela il senso profondo della tristezza. Gesù era stato la causa dei pianti rinnovati di Rachele sui bambini innocenti (Mt 2,18); non aveva neppure avuto timore di contristare la propria madre quando gli affari del Padre suo lo esigevano (Lc 2,48 s). Ora egli non nega che la sua partenza sia fonte di tristezza, altrimenti non sarebbe colui senza il quale la vita non è che morte; sa pure che il mondo si rallegrerà della sua scomparsa (Gv 16,20). Riprendendo il paragone usato sovente per descrivere la nascita di un mondo nuovo (Is 26,17; 66,7-14; Rom 8,22), egli evoca la gioia della donna che è passata attraverso la tristezza della sua ora mettendo al mondo un uomo (Gv 16,21). Così «la vostra tristezza diventerà gioia» (16,20), è passata, o meglio, si è trasformata in gioia, al pari delle ferite che segnano per sempre l’agnello celeste come sgozzato (Apoc 5,6); la tristezza termina oramai in una gioia, che nessuno può togliere (Gv 16,22), perché viene da colui che sta ritto al di là delle porte della morte. Essa sgorga dal turbamento fatale (14,27), dalle tribolazioni (16,33). I discepoli di Gesù non sono più tristi, perché non sono mai nella solitudine di orfani in cui sembravano abbandonati (14, 18), in balìa del mondo persecutore (16,2s): il risorto dà loro la sua propria gioia (17,3; 20,20).
Ormai, prove (Ebr 12,5-11; 1Piet 1,6ss; 2,19), separazione dai fratelli defunti (1Tess 4,13), od anche incredulità (Rom 9,2), nulla può più scalfire la gioia del credente, né separarlo dall’amore di Dio (Rom 8,39). Apparentemente triste, in realtà sempre lieto (2Cor 6,10), il discepolo del salvatore, pur percorrendo le vie della tristezza, conosce la gioia celeste, quella che riempirà gli eletti con i quali Dio rimarrà per sempre, asciugando ogni lacrima dagli occhi (Apoc 7,17; 21,4).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Il peccato porta con sé una tristezza negativa, che induce a chiudersi in se stessi. La Grazia porta la vera gioia, che non dipende dal possesso delle cose ma è radicata nell’intimo, nel profondo della persona, e che nulla e nessuno possono togliere” (Benedetto XVI - Discorso 8 dicembre 2012).  
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro Padre, che ci hai reso partecipi dei doni della salvezza, fa’ che professiamo con la fede e testimoniamo con le opere la gioia della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...