28 Aprile 2018

Sabato IV Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli, e conoscerete la verità” (Gv 8,31b-32 - Acclamazione al Vangelo)


Dal Vangelo secondo Giovanni 14,7-14: Miracoli, guarigioni di lebbrosi, di paralitici, liberazione di ossessi e di indemoniati, risurrezioni prodigiose... eppure Tommaso, e gli Apostoli con lui, non hanno ancora capito che Gesù è la rivelazione del Padre, non hanno ancora compreso che Gesù e il Padre sono una cosa sola (cfr. Gv 10,30). E questa ignoranza suscita in Gesù stupore, e se ne lamenta: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?”. Credere questo, e avere fede in Gesù significa per il discepolo partecipare della sua opera taumaturgica. Il discepolo evangelizzerà gli uomini, compirà prodigi, e qualunque cosa chiederà nel nome di Gesù, che rappresenta la persona, egli lo farà, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 


Bibbia di Navarra: Prima di lasciare questo mondo, il Signore promette agli apostoli che li renderà partecipi dei propri poteri, affinché la salvezza di Dio possa manifestarsi per mezzo loro. Le opere che attueranno sono i miracoli compiuti nel nome di Gesù Cristo (cfr. At 3,1-10; 5,15-16; e altri luoghi), ma soprattutto la conversione degli uomini alla fede cristiana e la loro santificazione, mediante la predicazione e l’amministrazione dei sacramenti. Tali opere si possono ritenere più grandi di quelle compiute da Gesù in quanto che, grazie al mini­stero degli apostoli, il vangelo sarà predicato non solo in tutta la Palestina, ma si diffonderà fino agli estremi confini della terra; e tuttavia, questa singolare efficacia della parola apostolica deriva da Gesù Cristo asceso al Padre: dopo essere passato attraverso l’umiliazione della Croce, Gesù è stato reso glorioso e dal cielo manifesta la sua potenza agendo per mezzo degli apostoli. Il potere degli apostoli promana, dunque, da Cristo glorificato. Il Signore esprime questa realtà con le parole: «Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò...». «Non potrà essere più grande di me chi crede in me, ma allora sarò io che farò cose più grandi di quanto ho fatto ora. Per mezzo di chi crede in me, farò cose più grandi di quelle che ho fatto da me senza di lui» (Agostino In Ioannis Evang. tractatus, 72,1).
Gesù Cristo è nostro intercessore in cielo, e pertanto ci promette che qualunque cosa chiederemo nel nome suo, egli la farà. Chiedere nel nome suo (cfr Gv 15,7.16; 16,23-24) significa fare appello al potere di Cristo risorto, credendo che egli è onnipotente e misericordioso perché è vero Dio; così come significa impetrare ciò che giova ai fini della nostra salvezza, perché Cristo Gesù è il nostro Salvatore. Pertanto le parole “qualunque cosa chiederete” sottintendono che l’oggetto delle petizioni debba essere il bene di colui che chiede. Quando il Signore non ci concede quello che gli chiediamo vuol dire che ciò non è congruo alla nostra salvezza. Di maniera che Cristo si rivela sempre Salvatore, sia che ci neghi le cose che gli chiediamo sia che ce le conceda.


Signore, mostraci il Padre e ci basta - Henri van den Bussche (Giovanni): Filippo, nel suo entusiasmo un po’ puerile, ha afferrato qualcosa. Si prepara una teofania, una apparizione grandiosa della divinità, simile a quelle che contemplarono un tempo Mosè sul Sinai ed Elia sull’Horeb  o Isaia nel Tempio (Is. 6). Ogni giudeo aspirava a beneficiare di questo favore divino, tuttavia non senza apprensione, perché si diceva che esso comportava un pericolo di morte. Il desiderio di questo spettacolo rende il discepolo impaziente.
Il Signore deve avere accolto questa sua preghiera scuotendo il capo. Avrebbe dunque fatto discendere il Padre dal cielo per offrir loro tale spettacolo? Nessuno ha mai veduto Dio (1,18; 6,46); anzi nessuno può vedere Dio, se non nel Cristo. Filippo attende una manifestazione teatrale di Dio in qualche posto, sulle nubi, mentre Dio-nel-Cristo è davanti a lui. Dio non si manifesta più nel tuono e nei lampi, né appare in visioni, ormai è nell’aspetto umano del Cristo che egli si rivela, del Cristo che presto sarà circondato dallo splendore della gloria. La gloria che Isaia aveva contemplato nel Tempio era soltanto la prefigurazione lontana della rivelazione di Dio nel Figlio (Is. 6,1; Gv. 12,41). I giudei si appellano agli eroi della loro stirpe che udirono la voce di Dio e contemplarono il suo Volto, ma non ne sussiste più per essi né un’eco né un riflesso, nonostante la loro conoscenza delle Scritture, perché le rivelazioni preparatorie di Dio nell’Antico Testamento non avevano altro scopo che di condurli all’ultimo Messaggero della rivelazione divina, al Cristo (5,37-38). Tutta la rivelazione di Dio nell’Antico Testamento non ha senso se non in vista della Parola, e da quando questa Parola si è fatta carne (1,14), Dio non è più accessibile se non in Gesù. Tutti i santuari cessano dalla loro funzione, quello di Gerusalemme come quello dei Samaritani sul Garizim; uno solo sussiste, un luogo unico di incontro con Dio, nella persona del Figlio suo (4,21-24; 2,13-22). Chiunque possiede la vera pietà arriva alla Luce-Gesù (3,21), e chiunque si apre al soffio del Padre ricevendo il suo insegnamento viene a Gesù (6,45). Non esiste nessuna via di accesso al Padre all’infuori del Figlio.
E come dici tu, Filippo: mostraci il Padre? Domandando una manifestazione sensibile del Padre al di fuori di Gesù, Filippo dimostra di non aver conosciuto, di non aver compreso il Maestro. Perché vederlo, contemplarlo, è vedere in lui il, Padre, come credere in lui, è credere in colui che lo ha mandato (12,44-45). Padre e Figlio sono insepara­bili: il Figlio ha la sua più profonda essenza nel Padre, e questi si nasconde dietro il Figlio, abita nel Figlio, parla e agisce attraverso il Figlio. Se Filippo non può crederlo sulla parola, creda almeno a motivo delle sue opere, dei suoi miracoli (10,25.37.38)! Quante volte Gesù lo ha dovuto ripetere! Le parole e le opere di Gesù sono le parole e le opere del Padre. La sua unità col Padre nell’agire suppone l’unità nell’essere. Se Gesù è in accordo costante col Padre, è perché è essenzialmente uno con lui.


In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre - Benedetto Prete (Vangelo secondo Giovanni): Chi crede in me farà anch’egli le opere che io faccio; le opere indicano i « segni », cioè i miracoli; queste opere sono destinate a suscitare la fede. L’opera della rivelazione e della salvezza iniziata da Gesù sarà continuata ed ultimata dagli apostoli. E ne farà di più grandi, perché io vado al Padre; le opere che compiranno i discepoli, anche se non superano i miracoli operati da Cristo, mostreranno tutta la potenza d’espansione del regno di Dio, che raggiungerà i confini della terra (cf. Atti 1,8). Tuttavia questo successo del regno di Dio è dovuto all’andata di Gesù presso il Padre («perché io vado al Padre»). Le parole di Cristo contengono una solenne promessa: i discepoli, dopo che il Maestro sarà andato al Padre è sarà glorificato (cf. 12,32; 16,7-8), compiranno opere grandi; di conseguenza essi non devono turbarsi per l’andata di Gesù al Padre, cioè per la sua morte. Esprimendosi in tal modo il Maestro viene a dire che il suo compito di inviato del Padre è terminato.


Il nome di Gesù - Alice Baum: Il nome di Gesù (Mt 1,21; Lc 1,31; Fil 2,9) fu dato espressamente da Dio e viene spiegato con “egli (infatti) salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). Il nome Gesù contiene quella che è l’affermazione decisiva del Nuovo Testamento, che cioè la separazione tra Dio e uomo è annullata e in lui giunge a compimento l’attesa dell’Antico testamento (At 10,43). Le autoasserzioni di Gesù introdotte da “io sono” (cf. Gv 6,35.51; 8,12; 10,9 ecc.) riprendono l’asserzione veterotestamentaria “Io sono JHWH” (cf. Es 3,14; Is 42,8; Ez 5,13 ecc.) e intendono presentarlo come rivelatore. Al tempo stesso vi si trova una pretesa di assolutezza (Gv 10,12.14: “buon pastore”; Gv 15,1.5: “vera vite”) che vuole affermare che senza di lui i suoi non possono vivere e che soltanto in lui c’è salvezza (At 4,12) e nel suo nome liberazione (cf. At 10,43; ICor 6,11), ma anche giudizio; chi infatti non crede nel suo nome, è giudicato (Gv 3,18) [...] Credere nel nome di Gesù (Gv 2,23) significa accettare la sua missione messianica, perché Dio ha agito in maniera prodigiosa nel suo Cristo, nella sua morte e risurrezione (cf. 1Cor 15,20ss).
I discepoli, essendo collocati nella sfera d’azione di Gesù Cristo, possono agire nel suo nome (Mt 18,5; Lc 10,17; At 3,6; 4,10 ecc.) perché egli si rende presente nel suo nome. È vocazione dei credenti glorificare in sé il nome del Signore Gesù (2Ts 1,12), per giungere così personalmente alla gloria. Chi invoca il nome di Gesù Cristo appartiene alla comunione dei santi (1Cor 1,2), e così viceversa il nome di Cristo è pronunciato su di loro (Gc 2,7) ed essi vengono chiamati secondo il suo nome (At 11,26).


Catechismo della Chiesa Cattolica

Il nome di Gesù

430 Gesù in ebraico significa: “Dio salva”. Al momento dell’Annunciazione, l’angelo Gabriele dice che il suo nome proprio sarà Gesù, nome che esprime ad un tempo la sua identità e la sua missione. Poiché Dio solo può rimettere i peccati, è lui che, in Gesù, il suo Figlio eterno fatto uomo, “salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). Così, in Gesù, Dio ricapitola tutta la sua storia di salvezza a vantaggio degli uomini.

431 Nella storia della salvezza, Dio non si è limitato a liberare Israele “dalla condizione servile” (Dt 5,6) facendolo uscire dall’Egitto; lo salva anche dal suo peccato. Poiché il peccato è sempre un’offesa fatta a Dio,  solo Dio lo può cancellare. Per questo Israele, prendendo sempre più coscienza dell’universalità del peccato, non potrà più cercare la salvezza se non nell’invocazione del nome del Dio Redentore.

432 Il nome di Gesù significa che il Nome stesso di Dio è presente nella persona del Figlio suo fatto uomo per l’universale e definitiva Redenzione dei peccati. È il nome divino che solo reca la salvezza, e può ormai essere invocato da tutti perché, mediante l’Incarnazione, egli si è unito a tutti gli uomini in modo tale che “non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).

433 Il Nome del Dio Salvatore era invocato una sola volta all’anno, per l’espiazione dei peccati d’Israele, dal sommo sacerdote, dopo che questi aveva asperso col sangue del sacrificio il propiziatorio del Santo dei Santi. Il Il propiziatorio era il luogo della presenza di Dio. Quando san Paolo dice di Gesù che “Dio l’ha stabilito a servire come strumento di espiazione... nel suo sangue” (Rm 3,25), intende affermare che nella sua umanità “era Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19).

434 La Risurrezione di Gesù glorifica il nome di Dio Salvatore perché ormai è il nome di Gesù che manifesta in pienezza la suprema potenza del “Nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,9-10). Gli spiriti malvagi temono il suo nome ed è nel suo nome che i discepoli di Gesù compiono miracoli; infatti tutto ciò che essi chiedono al Padre nel suo nome, il Padre lo concede.

435 Il nome di Gesù è al centro della preghiera cristiana. Tutte le orazioni liturgiche terminano con la formula “per Dominum nostrum Jesum Christum... per il nostro Signore Gesù Cristo...”. L’“Ave, Maria” culmina in “e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù”. La preghiera del cuore, consueta presso gli orientali è chiamata “preghiera di Gesù”, dice: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. Parecchi cristiani muoiono con la sola parola “Gesù” sulle labbra, come santa Giovanna d’Arco.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Nessuno ha mai veduto Dio (1,18; 6,46); anzi nessuno può vedere Dio, se non nel Cristo.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, rendi sempre operante in noi il mistero della Pasqua, perché, nati a nuova vita nel Battesimo, con la tua protezione possiamo portare molto frutto e giungere alla pienezza della gioia eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...