26 Aprile 2018

Giovedì IV Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Chi accoglie colui che manderò, accoglie me” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni 13,16-20: Gesù si accomiata dai suoi amici (Gv 15,15) e vuole imprimere nei loro cuori il fuoco ardente della carità e del servizio umile e lo fa “lavando loro i piedi”, un servizio servile che colpisce immantinente il segno. Pietro protesta, mentre gli altri Apostoli, anche se non viene messo in evidenza la loro reazione, restano sgomenti, sopratutto per le parole profetiche che accompagnano la lavanda dei piedi. Nel brano di oggi è preannunciato il tradimento di Giuda, e quindi palesemente viene profetizzata la dolorosa passione che porterà alla morte del Figlio dell’uomo. Ma la morte di Gesù non sarà la somma di progetti delittuosi portati avanti dai suoi nemici, tutto accadrà perché deve “compiersi la Scrittura”, e se da una parte porterà dolore e tristezza, dall’altra parte sarà dono di intelligenza per gli Apostoli, infatti, quando tutto sarà avvenuto essi conosceranno Gesù nel mistero della divinità e della umanità. Vi è anche sottolineato il mandato missionario: come il Padre ha mandato me, io mando voi: i discepoli andranno sino agli estremi confini come Apostoli e come ostensori del Cristo: “chi accoglie colui che egli manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”. Con questa affermazione, Gesù sottolinea l’intima unione che esiste tra i discepoli e il Maestro: se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione (Rm 6,5). L’accoglienza che viene riservata a un discepolo è accoglienza di Gesù stesso e di Dio.


Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli - Benedetto XVI (13 Aprile 2006): “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1): Dio ama la sua creatura, l’uomo; lo ama anche nella sua caduta e non lo abbandona a se stesso. Egli ama sino alla fine. Si spinge con il suo amore fino alla fine, fino all’estremo: scende giù dalla sua gloria divina. Depone le vesti della sua gloria divina e indossa le vesti dello schiavo. Scende giù fin nell’estrema bassezza della nostra caduta. Si inginocchia davanti a noi e ci rende il servizio dello schiavo; lava i nostri piedi sporchi, affinché noi diventiamo ammissibili alla mensa di Dio, affinché diventiamo degni di prendere posto alla sua tavola – una cosa che da noi stessi non potremmo né dovremmo mai fare. 
Dio non è un Dio lontano, troppo distante e troppo grande per occuparsi delle nostre bazzecole. Poiché Egli è grande, può interessarsi anche delle cose piccole. Poiché Egli è grande, l’anima dell’uomo, lo stesso uomo creato per l’amore eterno, non è una cosa piccola, ma è grande e degno del suo amore. La santità di Dio non è solo un potere incandescente, davanti al quale noi dobbiamo ritrarci atterriti; è potere d’amore e per questo è potere purificatore e risanante. 
Dio scende e diventa schiavo, ci lava i piedi affinché noi possiamo stare alla sua tavola. In questo si esprime tutto il mistero di Gesù Cristo. In questo diventa visibile che cosa significa redenzione. Il bagno nel quale ci lava è il suo amore pronto ad affrontare la morte. Solo l’amore ha quella forza purificante che ci toglie la nostra sporcizia e ci eleva alle altezze di Dio. Il bagno che ci purifica è Lui stesso che si dona totalmente a noi – fin nelle profondità della sua sofferenza e della sua morte. Continuamente Egli è questo amore che ci lava; nei sacramenti della purificazione - il battesimo e il sacramento della penitenza - Egli è continuamente inginocchiato davanti ai nostri piedi e ci rende il servizio da schiavo, il servizio della purificazione, ci fa capaci di Dio. Il suo amore è inesauribile, va veramente sino alla fine. 


Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli: CCC 1337: Il Signore, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Sapendo che era giunta la sua Ora di passare da questo mondo al Padre, mentre cenavano, lavò loro i piedi e diede loro il comandamento dell’amore. Per lasciare loro un pegno di questo amore, per non allontanarsi mai dai suoi e renderli partecipi della sua pasqua, istituì l’Eucaristia come memoriale della sua morte e della sua risurrezione, e comandò ai suoi Apostoli di celebrarla fino al suo ritorno, costituendoli «in quel momento sacerdoti della Nuova Alleanza».


Se Gesù serve, noi non possiamo essere padroni: Giovanni Paolo II (Omelia, 6 maggio 1982): Ha fatto una profonda impressione sugli Apostoli il fatto che Gesù, il loro Maestro, il Messia, prima dell’Ultima Cena abbia lavato i piedi a loro, i suoi discepoli. In quel momento essi hanno immediatamente capito: qui è il centro di tutte le azioni e le parole di Gesù. La sua vita significa servizio, dono di sé; la potenza del Messia è l’amore. Dai suoi discepoli Gesù aspetta la medesima cosa. Lo abbiamo appena sentito dire nel Vangelo: “... un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato” (Gv 13,16). Se egli serve, noi non possiamo essere padroni; se egli ama, noi non possiamo chiuderci; se egli si curva verso gli uomini, non possiamo ritenerci superiori. “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica” (Gv 13,17). Sì, Gesù ci invita tutti a prendere lui stesso come criterio del nostro vivere e del nostro comportamento, così come lui ha scelto il Padre suo celeste come unico criterio e punto focale della sua vita.


... crediate che Io sono - Catechismo della Chiesa Cattolica 211: Il Nome divino “Io sono” o “Egli è” esprime la fedeltà di Dio il quale, malgrado l’infedeltà del peccato degli uomini e il castigo che merita, “conserva il suo favore per mille generazioni” (Es 34,7). Dio rivela di essere “ricco di misericordia” (Ef 2,4) arrivando a dare il suo Figlio. Gesù, donando la vita per liberarci dal peccato, rivelerà che anch’egli porta il Nome divino: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono” (Gv 8,28).


Prima che Abramo fosse, Io Sono - Catechismo della Chiesa Cattolica 590 Soltanto l’identità divina della Persona di Gesù può giustificare un’esigenza assoluta come questa: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30); altrettanto quando egli dice che in lui c’è “più di Giona... più di Salomone” (Mt 12,41-42), “c’è qualcosa più grande del Tempio” (Mt 12,6); quando ricorda, a proprio riguardo, che Davide ha chiamato il Messia suo Signore, e quando afferma: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (Gv 8,58); e anche: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30).


Gesù vero uomo e vero Dio - Catechismo della Chiesa Cattolica 653: La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua Risurrezione. Egli aveva detto: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono” (Gv 8,28). La Risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era veramente “Io Sono”, il Figlio di Dio e Dio egli stesso. San Paolo ha potuto dichiarare ai Giudei: “La promessa fatta ai nostri padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi... risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel Salmo secondo: “Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato” (At 13,32-33). La Risurrezione di Cristo è strettamente legata al Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Ne è il compimento secondo il disegno eterno di Dio.


Cristo l’uomo nuovo - Gaudium et spes 22: In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo.
Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore.
Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.
Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è « l’immagine dell’invisibile Iddio » (Col 1,15) è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.
Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.
Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.
Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’Apostolo: il Figlio di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l’esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.


Gesù è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità - Ad gentes 3: Cristo Gesù fu inviato nel mondo quale autentico mediatore tra Dio e gli uomini. Poiché è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9); nella natura umana, invece, egli è il nuovo Adamo, è riempito di grazia e di verità (cfr. Gv1,14) ed è costituito capo dell’umanità nuova. Pertanto il Figlio di Dio ha percorso la via di una reale incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina; per noi egli si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà. Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto dei molti, cioè di tutti. I santi Padri affermano costantemente che non fu redento quel che da Cristo non fu assunto. Ora egli assunse la natura umana completa, quale essa esiste in noi, infelici e poveri, ma una natura che in lui è senza peccato. Di se stesso infatti il Cristo, dal Padre consacrato ed inviato nel mondo (cfr. Gv 10,36), affermò: «Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha consacrato con la sua unzione, mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito, ad annunziare ai prigionieri la libertà ed a restituire ai ciechi la vista» (Lc 4,18); ed ancora: « Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era perduto» (Lc 19,10).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito” (Gaudium et spes 3).   
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai redento l’uomo e lo hai innalzato oltre l’antico splendore,
guarda all’opera della tua misericordia, e nei tuoi figli, nati a vita nuova nel Battesimo, custodisci sempre i doni della tua grazia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...