19 Aprile 2018


Giovedì III Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Cfr. Gv 6,51).


Dal Vangelo secondo Giovanni 6,44-51: I giudei, sempre scontenti come gli ebrei nel deserto (Cf. Es 16,2s; 17,3; Num 11,1; 14,27; 1Cor 10,10), conoscono un buon mestiere che li mette al riparo di ogni tentativo di conversione: è il masticare amaro; la mormorazione e la denigrazione; il beffeggiamento e il dileggiamento dell’avversario. Gesù nonostante tutto va avanti nel suo insegnamento: alludendo, ora, all’eucaristia, pane necessario per ricevere il dono della vita eterna; ora, riferendosi alla sua passione (Cf. Lc 22,19): sacrificio unico e necessario per essere liberati dal peccato e dalla morte.


La gioia, dono pasquale: L’Etíope, funzionario di Candàce, regina di Etiòpia (I Lettura), sta leggendo un brano del profeta Isaia (53,7-8), un brano di difficile interpretazione. Per i Giudei la difficoltà stava nel trovare la persona che avrebbe fatto in favore del suo popolo quello che diceva la profezia indicata nel libro di Isaia. Trovarla significava anche darle un nome. La Chiesa trovò la risposta in Cristo Gesù, ed è da qui che inizia l’evangelizzazione dell’eunuco da parte di Filippo. Alla fine, fatta la professione di fede l’Etiope riceve il battesimo, e con il dono dello Spirito Santo il suo cuore si colma di indicibile gioia. Il Nuovo Testamento pone la gioia in un rapporto particolare con la risurrezione di Gesù. Il Risorto è “il vero e proprio motivo per la gioia della comunità. Già le donne ritornano piene di timore e di gioia dal sepolcro vuoto [Mt 28,8] e i discepoli gioiscono al vedere il Signore risorto [Gv 20,20]. Egli dona loro la gioia promessa [Gv 17,13] nell’incontro col Cristo sacramentale al momento della frazione del pane [At 2,46]. La chiesa è ripiena di fede gioiosa in Cristo [per es. 1Pt 1,8]. La gioia nel Signore deve essere un tratto fondamentale della sua natura” (HE).


Papa Francesco (Gaudete et exsultate 123-126): I profeti annunciavano il tempo di Gesù, che noi stiamo vivendo, come una rivelazione della gioia: «Canta ed esulta!» (Is 12,6); «Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme» (Is 40,9); «Gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri» (Is 49,13); «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso» (Zc 9,9). E non dimentichiamo l’esortazione di Neemia: «Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (8,10).
Maria, che ha saputo scoprire la novità portata da Gesù, cantava: «Il mio spirito esulta» (Lc 1,47) e Gesù stesso «esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Quando Lui passava, «la folla intera esultava» (Lc 13,17). Dopo la sua risurrezione, dove giungevano i discepoli si riscontrava «una grande gioia» (At 8,8). A noi Gesù dà una sicurezza: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. […] Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,20.22). «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).
Ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale, che «si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto». È una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani.
Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell’umorismo, così evidente, ad esempio, in san Tommaso Moro, in san Vincenzo de Paoli o in san Filippo Neri. Il malumore non è un segno di santità: «Caccia la malinconia dal tuo cuore» (Qo 11,10). È così tanto quello che riceviamo dal Signore «perché possiamo goderne» (1Tm 6,17), che a volte la tristezza è legata all’ingratitudine, con lo stare talmente chiusi in sé stessi da diventare incapaci di riconoscere i doni di Dio.


Se uno mangia di questo pane: Il verbo mangiare usato da Gesù, allude all’eucarestia, ma può essere inteso anche in chiave sapienziale, pane, come cibo spirituale. Colui che va da Gesù si nutre di questo pane e mediante questo cibo spirituale acquisisce la pienezza di vita di Gesù che garantisce e anticipa il dono e il possesso della vita eterna


Il mistero della fede - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni, Vol. II): Nel discorso di Cafarnao è prospettato con sufficiente chiarezza il carattere misterioso della fede, perché da una parte essa è presentata come un dono di Dio, dall’altra è proclamata la libertà umana nel processo di adesione alla persona del Verbo incarnato.
Il Cristo giovanneo dichiara esplicitamente che può andare verso di lui solo chi è attirato dal Padre (Gv 6,44). Anzi Gesù, nel brano finale che descrive la reazione dei discepoli alle sue parole di rivelazione, dichiara che può credere nel Figlio di Dio solo chi ha ricevuto questo dono dal Padre (Gv 6,65). Inoltre in Gv 8,43 egli dice anche ai suoi avversari che essi non possono ascoltare la sua parola divina, ossia da soli sono incapaci di fare il salto della fede. In questo sermone sul pane di vita, però, è affermato che Dio chiama tutti alla salvezza per mezzo del Figlio suo e che vuole ammaestrare tutti per condurli al Cristo (Gv 6,45). La fede quindi è un dono, è una grazia che il Padre vuol concedere a tutti gli uomini.
Il carattere di favore divino, proprio della fede, non sopprime la libertà umana nell’accogliere o nel rigettare questa grazia celeste. In realtà il quarto evangelista non è determinista, perché sottolinea molto la responsabilità dell’uomo nel rifiuto della fede. Giovanni infatti presenta l’incredulità del mondo, già giudicato e condannato per questa sua scelta, come un preferire le tenebre alla luce (Gv 3,19). L’uomo perciò è responsabile di questo suo atteggiamento religioso. Anzi il nostro agiografo parla dell’incredulità come di un rifiuto a voler andare verso il Verbo incarnato (Gv 5,40). Si tratta quindi di un libero atto di volontà.
Nel discorso di Cafarnao, parimenti è insinuata la libertà dell’uomo nel credere in Gesù. Il Maestro presenta la fede come l’unica opera che l’uomo deve compiere (Gv 6,29), anzi rimprovera i galilei di non credere, nonostante abbiano visto il Rivelatore in persona, operatore di segni straordinari (Gv 6,36). In realtà la fede è un andare verso il Cristo (Gv 6,35), ascoltando l’insegnamento del Padre e lasciandosi ammaestrare da lui (Gv 6,45). Espressioni simili dicono che l’uomo deve fare la verità (Gv 3,21), ossia deve far propria la rivelazione del Verbo incarnato, deve mostrarsi docile alla voce di Dio, interiorizzando la sua parola. Quindi la fede implica il movimento della volontà e perciò presuppone la responsabilità dell’uomo, pur essendo dono di Dio.
In un altro contesto Gesù domanda ai suoi avversari, per quale ragione non credono a colui che rivela loro la verità, ossia comunica loro la parola salvifica di Dio (Gv 8,46). In realtà i giudei increduli, nell’opposizione al Verbo incarnato e nei loro propositi omicidi, vogliono eseguire i desideri del loro padre, il diavolo, il primo omicida del mondo (Gv 8,44).
La fede quindi, per il nostro evangelista, è una realtà misteriosa, perché dono divino, che coinvolge la responsabilità dell’uomo. Nessuno può credere, se non ha ricevuto questa grazia dal Padre celeste; ciò nonostante la fede, o l’incredulità, non sopprime la libertà umana: la creatura infatti può accettare o rifiutare questo favore divino. In realtà il Salvatore invita tutti alla fede, però non costringe nessuno ad accogliere il suo appello.


Comunione con Cristo e con il Padre: Richard Gutzwiller (Meditazioni su Giovanni): Tutti i sacramenti della Chiesa hanno una relazione con la nuova vita donata da Dio. Il Battesimo la conferisce, la Cresima la stabilizza, la Penitenza la restituisce a chi l’ha perduta, l’Ordinazione sacerdotale dà la capacità di donarla agli altri, il Matrimonio congiunge due vite, naturali e soprannaturali, per la generazione naturale e soprannaturale, l’Unzione degli infermi rafforza la vita naturale ed assicura l’eterna. Al vertice sta l’autentico Sacramento di vita, il cibo vivificante della carne di Cristo, la bevanda vivificante del sangue di Cristo. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui». Nella santa Comunione l’uomo si unisce a Cristo e Cristo si unisce a chi si nutre di lui. È questo un processo di assimilazione, che indicato simbolicamente dal mangiare e dal bere, sarà consumato nella realtà invisibile di un’unione soprannaturale. La corrente di vita ha la sua scaturigine nel Padre: «Come il Padre che vive ha mandato me, ed io vivo per il Padre, così chi mangia me, vivrà anch’egli per me». La generazione del Figlio dal Padre è comunicazione di vita. Ricevere il Figlio, mangiando la sua carne ed il suo sangue, significa partecipare a questa comunicazione di vita. Così si completa l’unità vitale: dal Padre attraverso Cristo si passa all’uomo, dall’uomo attraverso Cristo si torna al Padre. Quel pane non ha solo un’efficacia transitoria come la manna, ma chi ne mangia vivrà in eterno. «Non come la manna che mangiarono i vostri padri e morirono». La vera manna è Cristo: chi ne mangia non muore più, perché - anche se muore nel suo elemento esterno, corporalmente - ha pur sempre in sé una vita, che non può esser distrutta dalla morte e per di più sarà risuscitato anche nel suo elemento esterno corporalmente, nell’ultimo giorno.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “La speranza cristiana si orienta verso la gioia piena nell’eternità [Ap 19,7]” (HE).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che in questi giorni pasquali ci hai rivelato la grandezza del tuo amore, fa’ che accogliamo pienamente il tuo dono, perché, liberi da ogni errore, aderiamo sempre più alla tua parola di verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo...