15 Aprile 2018

III Domenica di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Acclamate al Signore da tutta la terra, cantate un inno al suo nome, rendetegli gloria, elevate la lode. Alleluia” (Sal 65,1-2 - Antifona).


Dal Vangelo secondo Luca 24,35-48: L’intelligenza delle Scritture è un dono perfetto che viene dall’alto e discende dal Padre della luce (Cf. Gc 1,17): il credente, solo dopo aver incontrato Gesù risorto, può aprirsi alla conoscenza della Parola di Dio.


Gesù in persona apparve in mezzo a loro - L’evangelista Luca non vuole nascondere o minimizzare l’atteggiamento umano dei discepoli di fronte a Gesù risorto. Increduli, stupiti, spaventati (il testo greco ha atterriti), «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24,16).
Gli «Undici e quelli che erano con loro» trovano difficoltà nel credere alla risurrezione. Pensano di vedere un fantasma (spirito, pnèuma, nel testo greco). Credono di vedere «una persona defunta rievocata dalla loro fantasia allucinata e considerata come reale. Un’immagine illusoria, priva di corrispondenza con la realtà dei fatti» (Zingarelli).
Gesù incalza i discepoli e, dopo aver donato loro la pace, per dissipare le loro difficoltà li invita a guardare le sue mani e i suoi piedi che portano impresse le ferite dei chiodi e a toccare il suo corpo.
Questi verbi - guardare, toccare - ritornano spesso quando i discepoli devono dare testimonianza della risurrezione di Gesù. Per esempio, san Giovanni nella sua prima lettera: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi - quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,1ss).
L’incredulità si trasforma immediatamente in grande gioia: l’esperienza fisica - vedere, toccare, udire - sfocia nella fede perché la fede è incontro con una Persona. E il Cristo risorto è una Persona, non è l’elucubrazione mentale di visionari o invenzione fantastica di menti malate. Gesù risorto non è un fantasma! È vivo! Palpatemi, toccatemi, «sono proprio io!».
 E indubbiamente il racconto lucano ha anche uno scopo didattico. Per dei cristiani «che vivevano in ambiente greco, dove le diverse filosofie insegnavano che l’anima vive separata dal corpo, dopo la morte, era importante affermare che Cristo risorto non era uno “spirito” immortale senza corpo [...], perciò san Luca vuole prima di tutto dire ai suoi lettori che Gesù è veramente risorto perché adesso vive di nuovo con il suo corpo, quel corpo che era stato dato alla morte sulla croce» (Settimio Cipriani).
Ma poiché per la grande gioia ancora non credono, Gesù, per vincere ogni resistenza li invita a mangiare con lui. Chiede qualcosa da mangiare a compròva che lui è una Persona viva e vera. Anche il verbo mangiare torna spesso nella memoria degli Apostoli quando devono dare testimonianza della risurrezione di Gesù (Cf. Atti 1,3-4; 10,41).
Il corpo del Risorto è impassibile e di conseguenza non ha più bisogno di nutrirsi, ma il Signore Gesù ricorre a questo espediente per confermare i discepoli nella verità della sua risurrezione.
Ma si trattò di un vero pasto? Al dire di san Tommaso d’Aquino ci sono «dei pasti che sono veri solo come verità figurata: per esempio il mangiare degli Angeli... Ora il mangiare di Cristo dopo la Risurrezione fu vero... tuttavia non c’erano gli effetti conseguenti alla masticazione, perché il cibo non era assimilato da chi ne mangiava, avendo un corpo glorificato e incorruttibile» (In Jo. ev., 122,8).
Se il mangiare è un’azione frequente nelle apparizioni pasquali, questi pasti del Risorto con i discepoli hanno anche una dimensione liturgico-eucaristica: l’Eucaristia è stare a mensa con il Signore risorto. Quindi, san Luca, con mirabili pennellate, vuole dipingere la vita della Chiesa dopo la risurrezione del suo Fondatore: Gesù Cristo mangia e conversa con i suoi discepoli, apre loro l’intelligenza alle Scritture, li istruisce e li dispone a ricevere lo Spirito Santo, la promessa del Padre.
Gesù, fugato ogni dubbio, istruisce i discepoli intorno alla sua missione terrena, una missione di salvezza da sempre pensata dal Padre: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me... Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti».
La necessità della morte orrenda di Gesù sulla croce rivela quindi l’amore infinito del Padre e del Figlio. Quest’ultimo si è offerto volontariamente alla morte di croce per amore e non perché costretto da condizioni esterne alla sua volontà. Non erano stati gli uomini a determinare la fine atroce del Verbo umanato, come erano stati tentati di credere gli stessi discepoli. Il fallimento umano della vicenda umana del Cristo in verità rientrava nel piano di salvezza di Dio: al di sopra degli uomini e per mezzo degli uomini, anche degli stessi aguzzini che avevano crocifisso il Figlio, il Padre ha realizzato il suo disegno di amore, «creando in tal modo le condizioni nelle quali Cristo avrebbe espresso il massimo della sua capacità di “amare” e di “obbedire” [...]. Il “segno supremo” dell’amore è la sua morte di croce che egli già “sa” da sempre [...]. Proprio perché Cristo “conosce” la volontà del Padre, il suo donarsi alla morte è un gesto di generosità e di “obbedienza”. Egli vive e muore non per sé, ma “per gli altri”» (Settimio Cipriani).
Ora, pieni di luce e ricolmi di verità, i discepoli possono accogliere le ultime istruzioni del Risorto: nel suo nome devono andare in tutto il mondo a predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme, che rimane così al centro della storia e della salvezza e di lì diffondersi progressivamente sino agli estremi confini della terra.


Il fatto della risurrezione - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Il Signore appare all’improvviso in mezzo agli Apostoli. Questi hanno di nuovo paura e non riescono a comprendere il fatto, sebbene ora sia già preceduto l’annunzio delle donne, di Simone e dei discepoli di Emmaus. Per questi Apostoli l’avvenimento è talmente inconcepibile che Gesù deve proprio farlo toccar loro con mano: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». E poiché neanche ora sono sicuri e ardiscono appena di guardare in faccia la realtà, chiede loro: «Avete qui qualche cosa da mangiare?».
E allora mangia davanti ai loro occhi. Ora non possono più sottrarsi all’evento. Gesù è presente fisicamente. La sua vita di risuscitato non è una sopravvivenza spirituale, ma un’esistenza corporea.
Si nota qui un altro fatto. Quando si dice: «mostrò loro le mani e i piedi» e quando Gesù aggiunge: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!», si rende chiaro che anche dopo la risurrezione egli ha i segni della crocifissione, le cicatrici. È dunque il crocifisso, che è risorto col suo stesso corpo. L’Apocalisse chiamerà il Signore glorioso «l’Agnello ucciso». Le cicatrici devono ricordare che il suo corpo è un corpo immolato e che la crocifissione è l’offerta di un sacrificio. Così la crocifissione del Signore non è soltanto un fatto storico, che si concentrò nel breve spazio di alcune ore, ma è un evento sempre permanente e sempre operante, poiché perdura l’oblazione. Il Signore glorioso è sempre l’immolato Signore, così che perdura l’efficacia del suo sacrificio.


Giorgio De Capitani (Lettura spirituale del Vangelo secondo Luca): Luca si è preoccupato di far capire ai suoi lettori provenienti dal mondo pagano che il Cristo risorto non era un fantasma. Forse bisognerebbe dimostrarlo anche all’uomo d’oggi. Non entriamo in certe discussioni teologiche sulla natura della Risurrezione, anche se sono utili per comprenderla meglio. Poniamoci invece una domanda pastorale: i cristiani di oggi come e in che cosa credono? Non si ha la sensazione che tanti, tantissimi ormai sono attaccati solo a qualche formalità religiosa? Cristo è ritenuto ancora un fantasma o poco più. Pochi tra quei pochi che vanno in chiesa mettono Cristo nel centro della loro vita: vanno a pregare un fantasma. Quanta fede evanescente, nebulosa, priva del punto focale! Si crede e non si crede. Si crede fino a un certo punto, poi di Cristo si fa quello che si vuole: un oggetto da portare sul collo, un crocifisso da mostrare durante feste più pagane che religiose, Cristo è qualcosa che non vive più. La religione è la proiezione delle esigenze formali dei praticanti occasionali: le cerimonie del battesimo o di prima comunione, per non dire di mille altre, sono monopolio dei credenti nel Cristo fantasma. Tutti possono dire la loro: sulle campane, sui fiori, sull’orario, sul vestito, tutti tranne il ministro di Cristo. Loro sono i ministri della nuova religione, di quella che non concede diritto di parola al Dio vivo.
«Di questo voi siete testimoni»: ho sotto gli occhi il titolo di un libro di catechismo che richiama il dovere della testimonianza ai futuri cresimati. Certo, di passi se ne son fatti dalla testimonianza, partita dagli apostoli e dai primi cristiani, a quella ora esigita fin da ragazzi. Oggi la Chiesa si sente più Chiesa universale, Chiesa in cui tutti, piccoli e grandi, devono crescere e maturare. C’è da una parte una forte proposta aperta a tutti, e dall’altra una spaventosa indifferenza. Nei primi tempi della Chiesa forse si discuteva meno sulla maturità dei laici, ma i laici maturavano nella fede; oggi si propone a tutti un Cristianesimo autentico, più aperto, chiedendo a ciascuno di collaborare nella costruzione del Regno di Dio, ma si preferisce rimanere infanti nella fede. Già ai ragazzi si insegna che la fede è testimonianza nel Cristo risorto, e poi succede che a malapena vengono al catechismo e chi viene fa di tutto tranne che prendere sul serio la scuola di catechismo. Trovate a contare quanti bambini che si preparano alla Prima Comunione o alla Cresima vengono alla Messa festiva. La morale del “fai da te”, cioè del capriccio, dell’utile, del piacere o del comodo, i nostri bambini la imparano molto bene alla scuola della tv, pubblica e privata.


Card. Jea-Marie Lustiger: Ecco, fratelli, la posta proposta alla nostra generazione. Noi siamo chiamati a credere al Cristo risorto. Non solamente ripetendo le parole: «Cristo è risorto», questo grido di gioia che, un tempo, attraversò le Chiese; noi non dobbiamo fingere questa gioia, e cantare «Alleluia» non è sufficiente. Dobbiamo domandare al Cristo risorto di convertire i nostri cuori, di strapparci da questa complicità peccaminosa con la morte, con la disperazione, con l’annientamento dell’uomo che perde contatto con se stesso.
Supplichiamo Dio di darci questa luce e questa forza per osare compiere la missione che il Cristo affida ai suoi apostoli: «Voi ne siete testimoni».


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Signore Gesù, facci comprendere le Scritture; arde il nostro cuore mentre ci parli. (Cfr. Lc 24,32 - Acclamazione al Vangelo).  
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nella gloriosa morte del tuo Figlio, vittima di espiazione per i nostri peccati, hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace, apri il nostro cuore alla vera conversione, e fa’ di noi i testimoni dell’umanità nuova, pacificata nel tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...