13 Aprile 2018

Venerdì Feria II Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4b)   


Dal Vangelo secondo Giovanni 6,1-15: La moltiplicazione dei pani e dei pesci ha un posto di rilievo nel quarto Vangelo: il prodigio segna il culmine del ministero di Gesù in Galilea e segna anche il momento decisivo per la opzione di fede o per il rifiuto nei confronti di Gesù. Il miracolo è ambientato in un contesto liturgico ben preciso: la pasqua dei Giudei. Questa indicazione temporale liturgica orienta il lettore alla comprensione del vero significato del gesto di Gesù: il pane dato da lui sarà la nuova pasqua. La moltiplicazione dei pani è registrata anche dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca.


Era vicina la Pasqua - I capitoli 6-12 del Vangelo di Giovanni formano il ‘Libro dei segni’. Contiene il racconto di sette miracoli che dall’evangelista vengono chiamati ‘segni’ perché hanno lo scopo di svelare in modo progressivo il mistero della identità di Gesù. La moltiplicazione dei pani e dei pesci è il quarto ‘segno’ ed è presente anche in Matteo, Marco e Luca.
È incerto il luogo dove avviene il miracolo, ma più che il luogo è importante sottolineare alcune indicazioni che Giovanni non trascura di registrare: la traversata di Gesù, «Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea»; la sua salita sul monte dove «si pose a sedere con i suoi discepoli»; il contesto liturgico nel quale viene collocato il ‘segno’, «Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei».
Questi particolari stabiliscono un chiaro parallelismo tra Gesù e Mosé: rievocando il passaggio del mar Rosso in occasione della Pasqua di liberazione dalla cattività egiziana, Gesù, nuovo Mosè, sale sul monte e sfama miracolosamente «circa cinquemila uomini». A ridosso di queste considerazioni, possiamo dire che le intenzioni dell’evangelista sono oltremodo chiare: Gesù è la nuova guida spirituale e con la moltiplicazione prodigiosa dei pani dà inizio al nuovo esodo. Nel deserto, dove la Chiesa si è rifugiata per sfuggire all’ira di satana (Cf. Ap 12,14), Colui che è «disceso dal cielo» (Gv 3,16; 6,41-42.51.58) sfamerà il suo popolo non con un pane corruttibile, ma con un Pane misterioso: il suo Corpo offerto e inchiodato sulla croce per la salvezza di tutto il mondo (Cf. Gv 2,2).
La folla bracca Gesù ed è mesto il motivo adotto dallo stesso evangelista: «una grande folla» inseguiva Gesù «vedendo i segni che faceva sugli infermi». Non è dunque la fede a muovere la folla, ma la fame di pane e di miracoli.
Giovanni non fa cenno della pietà di Gesù dinanzi alla moltitudine sfinita e affamata, ma è lui a prendere l’iniziativa. Pur sapendo quello che stava per fare, il Signore interpella il discepolo Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
La libera e spontanea iniziativa del Signore non esclude la fattiva e operosa collaborazione del discepolo. Egli deve imparare, con grande umiltà, a mettere al servizio del Signore tutto ciò che ha pur se gli sembra insignificante o inutile. Gesù saprà moltiplicare l’efficacia di quei mezzi poveri. Deve imparare ad avere fede non in se stesso o nei suoi mezzi, ma in Gesù. Solo la fede, anche se piccolissima come un granellino di senape, è capace di operare grandi miracoli (Cf. Lc 17,5-6). La fede, che Gesù richiede fin dall’inizio del suo ministero apostolico (Cf. Mc 1,15), e che richiederà incessantemente, è un movimento di fiducia e di abbandono per il quale l’uomo rinunzia a far affidamento sulle proprie forze, per rimettersi alla Parola e alla potenza di Colui nel quale crede (Cf. Mt 21,25.32; Lc 1,20.45).
Se il sesto capitolo del Vangelo di Giovanni è una profonda e incisiva catechesi sull’Eucaristia, allora il miracolo della prodigiosa moltiplicazione dei pani e dei pesci va colto in questa prospettiva. A comprova di questo è da sottolineare che il verbo eucharisteo (essere grato, ringraziare) usato da Giovanni per iniziare il racconto del miracolo è lo stesso verbo usato dai Vangeli sinottici nel racconto dell’ultima cena (Cf. Gv 6,11; Mt 26,26-27; Mc 14,22-23; Lc 22,29; 1Cor 11,24,). Tale coincidenza sta ad indicare che il miracolo è tipo della santa Eucaristia, di cui il Signore Gesù parlerà alla folla più in avanti (Cf. Gv 6,26-59).
Il miracolo compiuto da Gesù non poteva non evocare il ricordo della manna e le promesse messianiche: Israele per il tempo messianico, tra i tanti segni, attendeva anche il rinnovarsi del miracolo della manna. Così si comprende perché la folla entusiasta, alla vista del prodigioso moltiplicarsi del pane, riconosce in Gesù il «profeta, colui che viene nel mondo!» (Gv 6,14). Questo è il motivo che spingerà la folla, dopo lo strepitoso prodigio, a tentare di rapire Gesù per farlo re. Per stroncare sul nascere questo progetto, Gesù si ritira  sul monte. Ma in ogni caso, «non poteva accogliere tale pretesa, perché la sua regalità presupponeva la salita sul Golgota. Il suo ritorno “sulla montagna, tutto solo”, sembra alludere «alla morte in croce. Il suo messianismo, sulla linea del Servo sofferente, escludeva ogni trionfalismo e grandezza mondana, in contrasto con la mentalità generale del tempo» (Angelico Poppi).
Ma a tutti è piaciuto il miracolo compiuto da Gesù? O qualcuno avrà visto in quel gesto una sfida? Un pericolo per la propria incolumità fisica?
Giovanni non ne fa cenno, ma è plausibile che mescolate tra la folla si trovassero anche le onnipresenti spie dei Farisei. Per le guide spirituali d’Israele, riconoscere Gesù come Messia da opporre a Roma sarebbe stato un passo insensato e i Farisei certamente non avrebbero incoraggiato questo tentativo maldestro. La mossa avventata della folla poteva spingere i Romani, gli odiati padroni della Palestina, ad un duro giro di vite e i guai sarebbero piovuti su Israele come un temporale estivo. I Farisei hanno sempre temuto i Romani e la folla che seguiva il Maestro di Nazaret, ecco perché possiamo pensarli, anche in questa occasione, appostati nell’ombra per spiare Gesù e i suoi discepoli pronti ad intervenire al momento più opportuno. Sarà un altro miracolo, la risurrezione di Lazzaro (Cf. Gv 11,1ss), a spingere i Farisei ad agire con determinazione e spietatezza. Siamo alla seconda pasqua, ancora un anno e i maggiorenti della nazione ebraica avrebbero consegnato Gesù a Pilato e inevitabilmente alla terrificante morte di croce.


E quando furono saziati... - I miracoli sono fenomeni sensibili straordinari, che avvengono al di fuori delle normali leggi della natura. Attribuiti all’intervento divino, i miracoli come «segni, rivelano chi è Dio o autenticano una missione, come prodigi e meraviglie, manifestano un intervento trascendente del Dio nascosto; come azioni potenti e terribili, fanno conoscere la potenza e la santità di Dio» (L. Sabourin). Per il Catechismo della Chiesa Cattolica, i «numerosi “miracoli, prodigi e segni”» compiuti da Gesù «manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato... testimoniano che il Padre lo ha mandato... sollecitano a credere in lui... testimoniano che egli è il Figlio di Dio» (547-548).
I miracoli di Cristo, «manifestazione della onnipotenza divina nei riguardi della creazione, che si rivela nel suo potere messianico su uomini e cose, sono nello stesso tempo i “segni” mediante i quali si rivela l’opera divina della salvezza, l’economia salvifica che con Cristo viene introdotta e si attua in modo definitivo nella storia dell’uomo e viene così inscritta in questo mondo visibile, che è pure sempre opera divina. La gente che - così come gli apostoli sul lago - vedendo i “miracoli” di Cristo s’interroga: “Chi è... costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?” (Mc 4,41), mediante questi “segni” viene preparata ad accogliere la salvezza offerta all’uomo da Dio nel suo Figlio. Questo è lo scopo essenziale di tutti i miracoli e segni fatti da Cristo agli occhi dei suoi contemporanei, e di quei miracoli che nel corso della storia saranno compiuti dai suoi apostoli e discepoli in riferimento alla potenza salvifica del suo nome: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” [At 3,6]» (Giovanni Paolo II, 2 dicembre 1987).
Quindi, i miracoli non «mirano a soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico» (CCC 547) e l’uomo non deve attendersi i miracoli a carattere retributivo, in quanto Dio non elargisce i miracoli secondo i meriti individuali.
Ma se per i credenti i miracoli «rendono più salda la fede in [Gesù] che compie le opere del Padre suo», per altri «possono essere motivo di scandalo» (CCC 548). Infatti, Gesù, nonostante i miracoli compiuti, fu trascinato sulla Croce.
Stupefacente e volgare la sentenza di Voltaire: «osare attribuire a Dio dei miracoli significa in effetti insultarlo [ammesso che degli uomini possano insultare Dio]: è come dirgli “voi siete un essere debole e incoerente”».
Per i credenti invece sono dolce, tenera testimonianza della paternità di Dio: un Padre che è pronto a violare le leggi della natura pur di lenire il dolore dei suoi figli.


Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re - Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): La folla, entusiasmata dal grande miracolo, voleva fare re Gesù. Ma la prospettiva popolare era quella di un messia politico, cioè un condottiero capace di dare agli Ebrei autonomia e prestigio nazionale, prosperità economica, benessere sociale (Gv 6,26-27). Gesù non poteva favorire una mentalità che falsava la genuina concezione profetica della sua missione. Questa era tutta impostata sulla redenzione attraverso l'immolazione. Era tutta orientata al regno dei cieli non a quello di questo mondo. Perciò Cristo si sottrasse all'entusiasmo inconsulto delle moltitudini.
Con questo gesto Gesù non solo intende precisare la natura della sua messianità, ma anche la subordinazione di tutte le realtà di questo mondo a quelle dell'altro. Egli non condanna le giuste e legittime sollecitudini per la realtà terrena. Egli se ne preoccupa per gli altri. Vuole però ... che «usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni».
La vocazione cristiana vuole che si promuova il massimo il progresso in tutti i settori della civiltà, della cultura e del benessere, ma esige soprattutto che si viva l'amore di Dio e del prossimo nell'unità dello Spirito e nel vincolo della pace, nel fervore della fede, nell'attesa della beata speranza.


Il pane, dono di Dio - Adriana Zarri (Pane in Schede Bibliche Pastorali, Edizioni Dehoniane, Bologna): Il pane è per gli uomini un mezzo di sussistenza, una necessaria sorgente di energia (Sal. 104,14-15); mancare del pane vuol dire mancare di tutto (Am. 4, 6; Cf. Gen. 28, 20).
Nella bibbia Dio, dopo avere creato l’uomo e dopo il diluvio (Gen. 1,29; 9,3), indica alla sua creatura ciò che può costituire il suo cibo. Ma solo a prezzo di una dura fatica l’uomo peccatore può procurarselo (Gen. 3,17-19). Dunque, se il pane per il suo carattere di necessità ricorda all’uomo che è una creatura (Cf. Dt. 8,10-18), per il faticoso lavoro che esige è il simbolo della maledizione alla quale egli è soggetto. Israele vede normalmente nell’abbondanza di pane il segno della benedizione di Dio (Sal. 37,25; Prov. 12,11) e nella mancanza di pane il segno del castigo per il peccato (Ger. 5,17; Ez. 4,16-17; Lam. 1,11; 2,12; 2Sam. 3,29).
In questa visione religiosa delle cose, è naturale che l’uomo chieda umilmente a Dio il pane, cioè tutto ciò che gli è necessario, e lo attenda con fiducia. Sono significativi, a questo riguardo, gli episodi di moltiplicazione dei pani dell’antico e del nuovo Testamento. La moltiplicazione operata da Eliseo vuole indicare la sovrabbondanza del dono divino («mangiarono e ne avanzarono», 2Re 4, 42-44). La stessa cosa nelle narrazioni evangeliche: come Iahvé nel deserto aveva nutrito il suo popolo distribuendo «il pane dei forti» (Sal. 78,25), così ora Gesù nutre sovrabbondantemente i suoi discepoli e ascoltatori: «Gesù dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini» (Mt. 14,19-21; Cf. testi par.; Mt. 15,37 e par.; Gv. 6,12.).
In questo contesto di idee può essere posto l’invito di Gesù a chiedere nella preghiera «il pane quotidiano» (Mt. 6,11; Lc. 11,3). Il pane sembra riassumere qui tutti i doni che ci sono necessari.
Epioùsion vuol dire appunto, probabilmente, «necessario alla sussistenza». Ma comunque si traduca questo termine difficile, la cui etimologia e il cui significato sono discussi dagli esegeti, il pensiero di Gesù è chiaro: si deve chiedere a Dio l’alimento indispensabile alla vita. La maggior parte degli studiosi ritiene che si tratti qui proprio dell’alimento materiale; tuttavia è evidente il carattere «spirituale» della preghiera: i credenti attendono tutto dalla bontà del loro Padre celeste e lo chiedono in vista del regno di Dio (Mt. 6, 24-34).
Se il pane è un dono di Dio ed è necessario alla vita, esso deve essere condiviso con chi non l’ha.
Nell’ospitalità, il pane di ognuno diventa il pane dell’ospite inviato da Dio (Gen. 18,5; Lc. 11,5-8).
In Israele, soprattutto a partire dall’esilio, si insiste sulla necessità di condividere il pane con l’affamato: questa è la espressione migliore della carità fraterna (Prov. 22,9; Ez. 18,7.16; Is. 58,7; Giob. 31,17; Tob. 4,16).
Il pane è presentato anche come uno dei doni caratteristici dei tempi escatologici: un pane «sostanzioso» sarà donato a tutta la comunità degli eletti raccolta nel banchetto messianico: «Egli darà la pioggia per la semente con cui avrai seminato il suolo; il pane, prodotto della terra, sarà pingue e sostanzioso...» (Is. 30,23; Cf. Ger. 31,12). È un pane che si potrà ottenere senza fatica e senza spesa. La manna, che si otteneva nel deserto senza fatica, era già un segno di questo pane: era un dono di Iahvé, un «pane (proveniente) dal cielo» (Es. 16,4.15). Anche i pasti di Gesù con i suoi amici e discepoli preludevano già al banchetto escatologico (Mt. 11,19); in particolare, il pasto eucaristico, dove si riceve in cibo il corpo stesso di Cristo, è l’anticipazione dell’autentico dono di Dio, riservato per gli ultimi tempi: «Poi prese un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Questo è il mio corpo che viene dato per voi; fate questo in memoria di me”» (Lc. 22,19).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** I miracoli per i credenti invece sono dolce, tenera testimonianza della paternità di Dio.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Padre misericordioso, che hai voluto che il tuo Figlio subisse per noi il supplizio della croce per liberarci dal potere del nemico, donaci di giungere alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...