12 Aprile 2018

Giovedì Feria II Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Perché mi hai veduto, Tommaso, tu hai creduto;beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29 - Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni 3,31-36: Il Vangelo di oggi trova la sua cornice nella testimonianza di Giovanni Battista. Una testimonianza in favore di Gesù e della sua missione. I versetti del Vangelo di oggi “superano quanto avrebbe potuto dire il Battista. Sembrano piuttosto una riflessione dell’evangelista, come i versetti 16-21” (I quattro Vangeli commentati).


Chi viene dall’alto, è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra - è ben messa in evidenza la persona di Gesù. Infatti, per Giovanni colui che viene dall’alto è Gesù: “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo” (Gv 8,23), e per tale ragione può rendere testimonianza a ciò che ha visto e “continua a vedere, ossia alle realtà divine. A differenza del Battista che, in quanto persona terrestre, parla delle realtà terrestri [Gv 3,31], Gesù comunica la parola di Dio [Gv 3,34]. Quindi l’inviato di Dio è l’unico rivelatore celeste, perché egli solo viene dall’alto, per manifestare e comunicare la vita del Padre.
“Anche nel dialogo con Nicodemo Gesù dichiara al suo interlocutore di rendere testimonianza alle cose che ha visto e che continua a vedere [Gv 3, 11]... Nel colloquio con Nicodemo Gesù si presenta come l’unico rivelatore escatologico, perché egli solo è disceso dal cielo [Gv 3,13] e quindi la sua testimonianza è autorevole e vera. L’uomo non può dubitare o rimanere scettico di fronte a questa rivelazione divina, così eccezionale, perché Gesù vive sempre in comunione con il Padre; egli solo vede Dio ed ha lo sguardo rivolto verso il Padre [Gv 1,18), egli solo perciò ha potuto portare la grazia della verità, ossia solo per mezzo di Gesù Cristo è avvenuta la grazia della rivelazione escatologica piena e perfetta [Gv 1,17], perché solo Gesù è la verità [Gv 14,6]” (Salvatore Alberto Panimolle, Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni).


Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza: chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito - il dire che Gesù “viene dal Cielo” ed è al “di sopra di tutti”, è una chiara attestazione della figliolanza divina, e della divinità del Verbo incarnato (Gv 1,14), e così si affronta anche il tema della opposizione da parte dei Giudei, coloro che non credono nel Figlio di Dio. È come voler dire che fuori dalla fede non c’è vita né speranza di salvezza. Questi versetti, oltre a rivelare la divinità di Gesù Cristo, mettono in evidenza la relazione di Gesù con il Padre e lo Spirito Santo.


Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa: la stessa affermazione la troviamo nel versetto 35:  Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Così anche in Matteo 28,18: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. Per volontà del Padre, “tutto è «in mano», cioè in potere del Figlio [Gv 3,35; 10,28; 10,29; 13,3; 17,2; cf. Gv 6,37-39; Mt 11,27; 28,18]. È il fondamento della sua regalità [Gv 12,13-15; 18,36-37] che egli inaugurerà il giorno della sua «esaltazione» [Gv 12,32; 19,19; At 2,33; Ef 4,8], quando il regno del principe di questo mondo avrà fine [Gv 12,31]” (Bibbia di Gerusalemme). Ancora una volta è sottolineato l’amore del Padre verso il Figlio: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,17), e il potere che il Cristo glorificato esercita sulla terra, come anche in Cielo (Mt 6,10; cf. Gv 17,2; Fil 2,10, Ap 12,10), un potere senza limiti (Mt 7,29; 9,6; 21,23; ecc.), che ha ricevuto dal Padre (Gv 3,35).


Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui: nel Vangelo secondo Giovanni è l’unico passo che tratta dell’ira divina. Questa affermazione è posta in antitesi con il dono della “vita eterna” (v. 36): chi crede nel Figlio - cioè obbedisce al Figlio - ha la vita eterna, chi al contrario non obbedisce al Figlio “non vedrà la vita”. L’Antico Testamento parla molto spesso dell’ira di Dio, «poiché essa caratterizza proprio il Dio santo e ardente. L’ira di Dio non è, tuttavia, un ribollimento iracondo; è ben lontana anche da una passione o un’eccitazione. È piuttosto la reazione alla  disubbidienza dell’uomo. Essa non è in contraddizione con la giustizia, ma designa il giusto  giudizio di Dio [...]. Per il Nuovo Testamento l’idea dell’ira, è ovvia; essa è la definizione del futuro giudizio di Dio. Non si tratta certo del fatto che nel Nuovo Testamento al posto dell’ira di Dio, subentri un amore di Dio “a buon mercato”. Nei Vangeli, tuttavia, il concetto di ira di Dio si trova solo raramente. Secondo Giovanni Battista soltanto la conversione può ormai salvare dall’ira imminente. In bocca a Gesù la parola “ira” si trova solo nell’allusione alla distruzione di Gerusalemme in Lc 21,23. Paolo invece parla molto spesso dell’ira di Dio. Anche per Paolo i. esprime il giudizio universale. Alla fine del tempo, il giorno dell’ira porta con sé il giusto giudizio su tutti i popoli. Tutta l’umanità vive nell’empietà e nell’ingiustizia e pertanto è sottoposta già oggi al giudizio che viene. Soltanto la fede nell’evangelo giustifica e può salvare il cristiano dall’incombente giudizio dell’ira e della distruzione. Secondo Gv 3,36 il non credente sottostà all’ira di Dio, il credente invece possiede già oggi la vita. L’Apocalisse parla con colori sfavillanti della futura ira di Dio. Nel giorno della grande ira si berrà dalla coppa del vino dell’ira di Dio; sarà il giorno dell’ira dell’agnello [Ap 14,10; 6,16]» (Liselotte Mattern, Prontuario della Bibbia ).


L’ira di Dio nel Nuovo Testamento - Xavier Lèon-Dufour (Dizionario di Teologia Biblica): Dal messaggio del precursore (Mt 3,7 par.) fino alle ultime pagine del Nuovo Testamento (Apoc 14,10), il vangelo della grazia conserva l’ira di Dio come un dato fondamentale del suo messaggio. Sarebbe rinnovare l’eresia di Marcione l’eliminarne l’ira, per voler conservare soltanto un fallace concetto di «buon Dio». Tuttavia la venuta di Gesù Cristo trasforma i dati del Vecchio Testamento portandoli a compimento.
I. La realtà e le immagini.
1. Dalla passione divina agli effetti dell’ira. -L’accento si sposta. Certamente le immagini del Vecchio Testamento sopravvivono ancora: fuoco (Mt 5,22;  1Cor 3,13.15), soffio sterminatore (2Tess 1,8; 2,8), vino, calice, tino, trombe dell’ira (Apoc 14,10.8; 16,1ss). Ma non intendono più descrivere psicologicamente la passione di Dio, quanto piuttosto rivelarne gli effetti. Siamo entrati negli ultimi tempi. Giovanni Battista annunzia il fuoco del giudizio (Mt 3,12), e Gesù gli fa eco nella parabola degli invitati indegni (Mt 22,7); anche per lui il nemico e l’infedele saranno annientati (Lc 19,27; 12,46), gettati nel fuoco inestinguibile (Mt 13,42; 25,41).
2. L’ira di Gesù. - Ma più terribile di questo linguaggio ispirato, più tragica dell’esperienza dei profeti schiacciati tra Dio santo ed il popolo peccatore, c’è la reazione d’un uomo che è Dio stesso. In Gesù l’ira di Dio si rivela. Gesù non si comporta come uno stoico che non si turba mai (Gv 11,33); egli comanda con violenza a Satana (Mt 4,10; 16,23), minaccia duramente i demoni (Mc 1,25), è fuori di sé di fronte all’astuzia diabolica degli uomini (Gv 8,44), e specialmente dei Farisei (Mt 12,34), di coloro che uccidono i profeti (Mt 23,33), degli ipocriti (Mt 15,7). Come Jahve, Gesù si adira contro chiunque si leva contro Dio.
Gesù rimprovera pure i disobbedienti (Mc 1,43; Mt 9,30), i discepoli di poca fede (Mt 17,17). Soprattutto si adira contro coloro che, come il fratello maggiore geloso del prodigo accolto dal Padre delle misericordie (Lc 15,28), non si mostrano misericordiosi (Mc 3,5). Infine Gesù manifesta l’ira del giudice: come il signore del banchetto (Lc 14,21), come il padrone del servo spietato (Mt 12,34), egli preannunzia sventura alle città che non si pentono (Mt ll,20s), scaccia i venditori dal tempio (Mt 21,12 s), maledice il fico sterile (Me 11,21). Come l’ira di Dio, così anche quella dell’agnello non è una parola vana (Apoc 6,16; Ebr 10,31).
II. Il tempo dell’ira.
1. La giustizia e l’ira. - Con la sua venuta in terra il Signore ha determinato due ere nella storia della salvezza. Paolo è il teologo di questa novità: rivelando la giustizia di Dio in favore dei credenti, Cristo rivela pure l’ira su ogni incredulo. Quest’ira, analoga al castigo concreto di cui parlava il Vecchio Testamento, anticipa l’ira definitiva. Mentre Giovanni Battista poneva assieme nella sua prospettiva la venuta del Messia in terra e la sua venuta alla fine dei tempi, tanto che il ministero di Gesù avrebbe dovuto essere il giudizio ultimo, Paolo insegna che Cristo ha inaugurato un tempo intermedio, durante il quale sono pienamente rivelate le due dimensioni dell’attività divina: la giustizia e l’ira. Paolo conserva talune concezioni del Vecchio Testamento, ad es. quando vede nel potere civile uno strumento di Dio «per esercitare la repressione vendicativa dell’ira divina sui malfattori» (Rom 13,4), ma si studia soprattutto di rivelare la nuova condizione dell’uomo dinanzi a Dio.
2. Dall’ira alla misericordia. - Fin dalle origini l’uomo è peccatore e merita la morte (Rom 1,18-32; 3,20); è di diritto oggetto dell’ira divina, è «vaso di ira» pronto per la perdizione (9,22; Ef 2,3), il che Giovanni traduce dicendo: «l’ira di Dio rimane sull’incredulo» (Gv 3,36). Se l’uomo è così congenitamente peccatore, le più sante istituzioni divine sono state pervertite al suo contatto, ad es. la legge santa «produce l’ira» (Rom 4,15). Ma il disegno di Dio è un disegno di misericordia ed i vasi dell’ira possono, convertendosi, diventare «vasi di misericordia» (Rom 9,23); e ciò, qualunque sia la loro origine, pagana o giudaica, «perché Dio ha racchiuso tutti gli uomini nella disobbedienza per far misericordia a tutti» (11,32). Come nel Vecchio Testamento, Dio non dà libero corso alla sua ira, manifestando in tal modo la sua potenza (in quanto tollera il peccatore), ma rivelando pure la sua bontà (in quanto invita alla conversione).


Compostella (Messale per la Vita Cristiana): San Giovanni vede le relazioni tra il cielo e la terra in modo più chiaro rispetto agli altri evangelisti che hanno scritto prima di lui. Per rappresentarle, egli utilizza nuovi modelli di linguaggio. Questi parlano di un mondo in alto: l’aldilà, dove abita Dio. E di un mondo in basso: quaggiù, dove vivono gli uomini. San Giovanni lo sa: Gesù è il Figlio di Dio. È sempre stato vicino a suo Padre, e sarà in eterno vicino a lui.
È sceso sulla terra in un momento della storia. La sua morte sulla croce rappresenta una nuova elevazione. Da un punto di vista puramente umano, la croce è la sconfitta definitiva di Gesù; la sua morte è il fallimento di tutti i suoi progetti terreni. Dal punto di vista di Dio, la croce di Gesù rappresenta la vittoria di Dio sul mondo e significa la nostra salvezza. Se noi crediamo in Gesù, Figlio di Dio, abbiamo già la vita eterna. Gesù è il germe della speranza attraverso il quale Dio agisce nel mondo. Dio è diventato un altro, si è fatto uomo. Quindi anch’io posso diventare un altro: ho la fortuna di diventare un uomo, un essere umano in un mondo inumano.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Dio è diventato un altro, si è fatto uomo. Quindi anch’io posso diventare un altro: ho la fortuna di diventare un uomo, un essere umano in un mondo inumano.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Donaci, Padre misericordioso, di rendere presente in ogni momento della vita la fecondità della Pasqua, che si attua nei tuoi misteri. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...