11 Aprile 2018

Mercoledì Feria II Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Cfr. Gv 3,16).


Dal Vangelo secondo Giovanni 3,16-21: L’amore di Dio in Gesù è incondizionato, ma esige la risposta dell’uomo. La presenza di Gesù impone che ognuno scelga ora, perché ora si fa il giudizio. O si accoglie Gesù e quindi si entra nella vita eterna oppure il rifiuto e quindi la morte eterna; non esiste una terza via alternativa. Cristo è stato inviato nel mondo per portare la vita eterna; l’incredulità deliberata fa di lui l’occasione della condanna. In tal modo l’incredulità si condanna da se stessa, e siccome la vita eterna ha già inizio in questo mondo per colui che si è deciso per Cristo, così anche per l’incredulo, la sua condanna inizia anche quaggiù.


Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito...: CCC 219-221: L’amore di Dio per Israele è paragonato all’amore di un padre per il proprio figlio. È un amore più forte dell’amore di una madre per i suoi bambini. Dio ama il suo Popolo più di quanto uno sposo ami la propria sposa; questo amore vincerà anche le più gravi infedeltà; arriverà fino al dono più prezioso: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). L’amore di Dio è “eterno” (Is 54,8): “Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto” (Is 54,10). “Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà” (Ger 31,3). Ma san Giovanni si spingerà oltre affermando: “Dio è Amore” (1Gv 4,8.16): l’Essere stesso di Dio è Amore. Mandando, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio unigenito e lo Spirito d’Amore, Dio rivela il suo segreto più intimo: è lui stesso eterno scambio d’amore: Padre, Figlio e Spirito Santo, e ci ha destinati ad esserne partecipi.


Credere o non credere (vv. 18-21) - Alain Marchadour (Vangelo di Giovanni): L’amore di Dio in Gesù è incondizionato, ma esige la risposta dell’uomo. La presenza di Gesù impone che ognuno scelga adesso, perché adesso si fa il giudizio. Questo carattere de­finitivo e immediato del giudizio è la conseguenza della presenza del rivelatore: presente lui, l’uomo è costretto a fare la scelta e da questa scelta deriva fin da ora la salvezza o la condanna. La contrapposizione tenebre-luce richiama alla mente alcuni brani affini della comunità di Qumran. Ma Giovanni evita l’aspetto deterministico degli esseni: è la libertà di ciascuno che provoca la separazione e dunque il giudizio. La fine della prima parte del vangelo (12,46-48) riprende questi stessi temi e lo stesso vocabolario, al punto che alcuni esegeti hanno pensato che Gv 3,16-19 e Gv 12,46-50 potrebbero essere due versioni di una stessa predicazione della comunità di Giovanni. Questa ipotesi (non verificabile) è interessante perché mostra come l’evangelista ha potuto comporre il suo vangelo: egli aveva a disposizione varie fonti e ha dovuto fare una selezione. Alcuni brani probabilmente furono aggiunti nel corso delle diverse edizioni. Rimane il fatto che l’autore che ha dato l’ultima mano al vangelo ha la responsabilità dell’insieme.
Il dialogo con Nicodemo e la rivelazione che lo conclude costituiscono una delle vette cristologiche del vangelo di Giovanni. La comunità, di fronte al giudaismo, è portata a precisare l’identità di Gesù e a separarsi da correnti giudaiche, pur vicine ad essa (come lo era Nicodemo), perché non erano pronte a riconoscere in Gesù il rivelatore di Dio, il Figlio per mezzo del quale Dio aveva detto la sua ultima parola agli uomini.


Compostella (Messale per la Vita Cristiana): Il Dio di cui parla il nostro testo di oggi non ha niente di comune con gli antichi dèi. Dio ha effettivamente amato il mondo. E non solamente il mondo ebraico, ma tutto il mondo. In san Giovanni, il concetto di «mondo» ingloba l’insieme delle creature. L’amore di Dio si è quindi giustamente rivolto verso coloro che non appaiono in nulla come membri della sua comunità. Tra di loro, ci sono anche quegli uomini che resistono al bene. È il mondo nella sua completa secolarizzazione, tale quale lo si può osservare oggi. Ed è certo anche il mondo del tempo di Gesù, con le sue implicazioni morali, politiche e religiose, un mondo che allontana Gesù dalla sua sfera di influenza, perché non sopporta che Dio si impicci dei suoi affari. San Giovanni dice che Dio ha amato molto tutti coloro che facevano il male. Dio non si limita quindi a rendere migliori coloro che sono già buoni. Dio non prende le distanze nei confronti del male. Non osserva dall’alto tutte le cose così poco appetitose che sono nel mondo. Dio si identifica assolutamente con il mondo cattivo!


Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): Dio mantiene la sua offerta d’amore, di vita e di salvezza anche davanti all’indifferenza dell’uomo: Dio rispetta la libertà dell’uomo perfino quando questi sceglie il peccato. Il peccato non è altro che la rottura della sua alleanza d’amore, la scelta delle tenebre e l’atteggiamento da cui scaturisce l’agire perversamente, cioè le opere malvagie.
Così continua a dichiarare il vangelo di oggi: «Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Nella fede o nell’incredulità attuali c’è già un’anticipazione del giudizio definitivo di Dio: rispettivamente, salvezza o condanna. È l’escatologia già realizzata e attuale, anche se non finale, propria del quarto vangelo.
Ciò che decide, in ultima istanza, è la responsabilità personale, cioè l’accettazione o il rifiuto di Cristo per fede o per incredulità, la scelta di Cristo o delle tenebre, della verità o della menzogna, dell’amore o dell’egoismo, del bene o del mistero d’iniquità che è il peccato. «E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti compie il male, odia la luce e non viene alla luce perché non uno svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».


Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): All’inizio quindi dell’entrata del Figlio nel mondo, nel momento dell’Incarnazione, c’è Dio come mandante, ricco di un amore che va oltre la persona del Figlio per estendersi, senza riserve, al mondo intero. Dio ama tutti, e li ama nella situazione concreta in cui si trovano. Sono lontani da lui e corrono il pericolo di «perire» (3,16) e di cadere sotto il giudizio di condanna (3,18-19).
Ecco allora il compito che Dio affida al Figlio: impedire che il mondo perisca, far sì che abbia la vita eterna, salvarlo.
Avere la vita eterna. L’aggettivo «eterna» nella traduzione è inevitabile, ma non rende bene il senso della soggiacente espressione ebraica. Parlare di «vita eterna» significa parlare di quella vita che è la sola vera, perché possiede il carattere della «definitività». Si tratta di quella vita indistruttibile la cui sorgente è in Dio. Chi la possiede, anche se materialmente muore, in realtà non perisce: continua a vivere la vita di Dio che è in lui.
Dare la vita, salvare. È il compito che Dio ha affidato al Figlio. Come lo realizzerà? Presentandosi innanzitutto come «luce», cioè come colui che illumina gli uomini e rivela loro il disegno del Padre e, allo stesso tempo, la reale loro situazione. Con la sua parola e la sua azione egli «fa sapere» agli uomini che sono fuori da ogni possibilità di salvezza e corrono il pericolo di «perire». Ma egli li può salvare; per questo infatti è stato mandato, perché Dio vuole che tutti si salvino, cioè che ogni singolo uomo possegga la vita e divenga destinatario della salvezza.
Ma come può l’uomo entrare in questo disegno dell’amore di Dio? In una parola, rendersi capace di avere la vita eterna e diventare destinatario della salvezza? Mediante la fede nel Figlio unigenito di Dio (3,16-18). Solo chi crede nel Figlio di Dio, solo chi accoglie il Figlio e riceve il «potere di diventare a sua volta figlio di Dio» (1,12), costui possiede fin d’ora la vera e definitiva vita; è già germinalmente un salvato, e perciò non può cadere sotto un giudizio di condanna (3,18). Ci cade invece, anzi porta già fin d’ora il segno della condanna, colui che rifiuta di credere nel Figlio.
Ora risulta davvero chiaro che cos’è la vera fede, in opposizione a quella dei «molti che credettero in lui, vedendo i segni che faceva» (2,23). La vera fede è adesione alla persona di Gesù, accolto come il Figlio unigenito di Dio e come il definitivo Rivelatore di Dio. Avere fede significa accogliere la sua parola. Ma questo non è di tutti.
Gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce; e già si sa che chiunque opera il male odia la luce (3,20), perché la luce è sempre una forza giudicante e a nessuno piace sentirsi rinfacciare le proprie opere cattive. Ma non sono tutti così. Tra loro c’è chi permette alla luce di mettere a nudo la sua situazione di peccato, chi si lascia totalmente penetrare dalla luce fino a sperimentare e a desiderare la vita e la salvezza, proposte dalla luce. Il testo definisce chi si comporta così con l’espressione: chi fa la Verità. Perché fa la in verità chiunque rinnega la sua situazione di peccato, accoglie la parola di Gesù e aderisce a lui nella fede. Queste sono le opere della fede, quelle opere che l’uomo può compiere soltanto con l’aiuto di Dio (3,21). Infatti quanto vi è di buono nell’uomo, prima di essere un atto umano, è dono di Dio che tanto ha amato il mondo.


San Francesco di Sales: Dio non poteva fornire al mondo un altro rimedio che quello della morte di suo Figlio? Certamente egli poteva farlo, e in mille altri modi che non fossero questo; poiché non vi era forse, nella sua potenza, il poter perdonare alla natura umana con potere assoluto e per pura misericordia, senza far intervenire la giustizia e senza il tramite di qualche creatura? Egli poteva senza dubbio; e chi avrebbe osato parlarne o trovare da ridire? Nessuno, poiché il Maestro è sovrano, e può tutto ciò che desidera. O ancora, se egli voleva servirsi per questa redenzione del tramite di qualche creatura, non poteva forse crearne una così eccellente e dignitosa che, attraverso la sua azione o la sua sofferenza, fosse abbastanza per i peccati di tutti gli uomini? Sicuramente, ed egli poteva riscattarci in mille altri modi che non fossero la morte di suo Figlio, ma non l’ha voluto, perché ciò che era sufficiente per la nostra salvezza non lo era per il suo amore; e per mostrarci quanto ci amava, questo Figlio divino è morto della morte più dura e ignominiosa, quella sulla croce.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** L’amore di Dio in Gesù è incondizionato, ma esige la risposta dell’uomo.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che al santo vescovo Stanislao hai dato la grazia di concludere con il martirio il suo servizio pastorale, concedi anche a noi, che lo veneriamo come intercessore, di perseverare, forti nella fede, per tutti i giorni della nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...