IL VANGELO DEL GIORNO

31 Marzo 2018

SABATO SANTO



Oggi Gesù ci dice: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,16-19).


Dal Vangelo secondo Giovanni 19,25-42: Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.  Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo - quello che in precedenza era andato da lui di notte - e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.


Corrado Bruno SDB: Il Sabato Santo, incastonato tra il dolore della Croce e la gioia della Pasqua, si colloca al centro della nostra fede. È un giorno denso di sofferenza, di attesa e di speranza; segnato da un profondo silenzio.
I discepoli hanno ancora nel cuore le immagini dolorose della morte di Gesù che segna la fine dei loro sogni messianici. In quel giorno sperimentano il silenzio di Dio, la pesantezza della sua apparente sconfitta, la disperazione dovuta all’assenza del Maestro prigioniero della morte.
C’è stato, a partire dalla cena pasquale, un succedersi vorticoso di fatti imprevedibili, che li ha sorpresi e ammutoliti. Le anticipazioni sulla sua passione più volte fatte da Gesù, i segni rassicuranti e miracolosi che le avevano sostenute, l’amore mostrato nell’Ultima Cena... tutto, in questo giorno, sembra svanito.
I discepoli hanno l’impressione che Dio sia divenuto muto e che non suggerisca più linee interpretative della storia.
A ciò si aggiunge la vergogna d’essere fuggiti e d’aver rinnegato il Signore: si sentono traditori, incapaci di far fronte al presente e senza prospettiva di futuro, non vedono come uscire da una situazione di crollo delle illusioni, mancando ancora quei segni che incominceranno a scuoterli a partire dal mattino della Domenica con il racconto del sepolcro vuoto e le apparizioni del Risorto.
Tuttavia, i discepoli, proprio attraverso la porta del Sabato Santo, ci aiutano a riflettere sul senso del nostro tempo e a leggere il passaggio dei nostri giorni, riconoscendo nel loro disorientamento, le nostalgie e le paure che caratterizzano la nostra vita di credenti nello scenario che s’appresta all’inizio di questo millennio.
La presenza di Maria - Ma questo giorno è anche il Sabato di Maria. Ella lo vive nelle lacrime unite alla forza della fede. Veglia nell’attesa fiduciosa e paziente; sa che le promesse di Dio si avverano per la potenza divina che risuscita i morti. Così Maria con la sua forza d’animo sorregge la fragile speranza dei discepoli amareggiati e delusi. Con la Madonna del Sabato Santo, anche noi leggeremo la nostra attesa e le nostre speranze, la fede vissuta come continuo e faticoso cammino verso il mistero, per rispondere con verità, speranza ed amore alle domande che ci portiamo dentro: “Chi siamo e dove siamo diretti? Dove va il cristianesimo e la Chiesa che amiamo?”. Anche nel sabato del tempo in cui ci troviamo è necessario riscoprire l’importanza dell’attesa. L’assenza di speranza è forse la malattia mortale delle coscienze di oggi.
Siamo nel sabato del tempo, è vero, un sabato che indica quasi assenza di direzione, tempo sospeso ma pur sempre un tempo santificato dall’azione di Dio, anche se un Dio silente, che tace e si nasconde.
Verrà quindi per tutti il giorno ottavo, il giorno del ritorno del Signore Gesù, non fuori, ma dentro le contraddizioni della storia. Per questo, dobbiamo lasciarci ispirare dalla Pasqua e riflettere sulla gioia degli apostoli quando incontrano Gesù vivente e risorto: “E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.
All’indifferenza, alla frustrazione e alla delusione senza attese di futuro, deve opporsi come antidoto soltanto la speranza, non quella fondata su calcoli, ma sull’unico fondamento della promessa di Dio.
La Madonna del Sabato Santo getta luce sul compito che ci aspetta e che ci è reso possibile dal dono dello Spirito del Risorto. Si tratta di irradiare attorno a noi, con gli atti semplici della vita quotidiana, e senza forzature, la gioia interiore e la pace, frutti della consolazione dello Spirito. Perché credere in Cristo, morto e risorto, per noi significa essere testimoni, con la parola e con la vita, della speranza che non muore.
                                                                                                

La morte di Cristo - Ambrogio (Ambrogio, Exp. Ev. Luc., 10, 140 s., 144): E non è senza scopo che un altro evangelista abbia scritto che il sepolcro era nuovo (cf. Gv 19,41), un altro che era il sepolcro di Giuseppe (cf. Mt 27,60). Di conseguenza, Cristo non aveva un sepolcro di sua proprietà. Effettivamente, il sepolcro viene allestito per quanti stanno sotto la legge della morte (cf. Rm 7,6); ma il vincitore della morte non ha un sepolcro proprio. Che rapporto ci potrebbe essere tra un sepolcro e Dio? Del resto l’Ecclesiaste dice di colui che medita sul bene (cf. Sir 14,22): Egli non ha sepoltura (Qo 6,3). Perciò, se la morte è comune a tutti, la morte di Cristo è unica, e perciò Egli non viene seppellito insieme con altri, ma è rinchiuso, solo, in un sepolcro; infatti l’incarnazione del Signore ebbe tutte le proprietà simili a quelle degli uomini, però la somiglianza va insieme con la differenza della natura: è nato da una Vergine con la somiglianza della generazione, e con la dissomiglianza della concezione. Curava gli ammalati, ma intanto imperava (cf. Lc 5,24). Giovanni battezzava con l’acqua, Egli con lo Spirito (cf. Lc 3,16). Perciò anche la morte di Cristo è comune a quella degli altri secondo la natura corporea, ma unica secondo la potenza.
E chi è mai questo Giuseppe, nel cui sepolcro Egli viene deposto? Senz’alcun dubbio è un giusto. È bello perciò che Cristo sia affidato al sepolcro di un giusto, e là il Figlio dell’uomo abbia dove posare il capo (cf. Lc 9,58) e trovi riposo nel domicilio della giustizia...
Non tutti riescono a seppellire il Cristo. Del resto le donne, sebbene pietose, stanno lontano, e appunto perché sono pietose osservano con ogni cura il posto per poter recare gli unguenti e cospargere il corpo (cf. Lc 23,55; Mt 27,55). Ma poiché sono piene d’ansia, si allontanano per ultime dal sepolcro e ritornano per prime al sepolcro (cf. Lc 23,55). Sebbene manchi la fermezza, non manca la premura.


La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri vivi]: Secondo una vecchia tradizione, questo è il giorno senza l’Eucaristia, il giorno del silenzio e del digiuno a causa della morte del Redentore. Solo la sera si radunano i fedeli per la veglia notturna e le preghiere. I riti del Sabato Santo, anche se celebrati ancora la sera di questo giorno, in sostanza appartengono già alla liturgia della Domenica della Risurrezione.
Il corpo del Figlio di Dio riposa nel sepolcro. All’entrata del sepolcro fu posta una grande pietra, furono apposti i sigilli e le guardie. Se n’è andato il nostro Pastore, la fonte dell’acqua viva; perciò, la Chiesa piange su di lui come si piange l’unico figlio l’Innocente, il Signore è stato ucciso. Il Signore disse una volta: «Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Mt 12,40); «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,9).
Nella Liturgia delle ore, nella sua quotidiana preghiera, la Chiesa professa la fede nella Risurrezione di Gesù, nella vittoria di Gesù sulla morte. Il Signore riposa in pace, ma nella speranza che il suo corpo non subirà la corruzione della morte; si apriranno le porte eterne ed entrerà il Re della Gloria; il Signore sconfiggerà le forze infernali e le porte della morte; il Padre salverà la sua anima dal potere delle tenebre.
Fra poco il Signore acclamerà: «Ero morto, adesso vivo in eterno - mie sono le chiavi della morte e dell’abisso». Il chicco di grano gettato in terra porterà frutto. La Chiesa in preghiera attende la Risurrezione del Signore. La preghiera della Chiesa può essere riassunta nel canto, che inizia la odierna liturgia delle ore: «Venite, adoriamo il Signore, il crocifisso e sepolto per noi».


Primo Mazzolari (Il segno dei chiodi): Per i discepoli, la notte del Sabato fu la notte più spenta, anche se il plenilunio continuava. Dopo la giornata del Sabato, eguale e interminabile come le giornate che seguono le sepolture, la notte fu veramente la fine per dei cuori che avevano osato collocare una speranza immortale sovra un uomo mortale. Chi non sa vincere la morte è un poveruomo come noi.
Sulla strada della Pasqua non un passo, non un cuore: il sepolcro senza gloria aveva tutto inghiottito.
Solo un gruppo di donne sospirava «verso l’alba del primo giorno della settimana per andare al sepolcro a imbalsamare Gesù» (cfr. Mc. 16,1): omaggio pietoso di una fede perduta, che la tomba aveva composto per la religione dei ricordi. Nessuna di esse avrebbe portato con gli aromi, sia pur ben celato, l’alleluia.
Se si chiedevano chi le avrebbe aiutate a rimuovere la pietra, non era certo con l’intenzione di «far strada alla vita», ma per un’ultima devozione alla morte...
Tutti avevano bisogno di vita e nessuno chiamava il Vivente; tutti avevano bisogno ch’Egli vincesse la morte e nessuno osava immaginarlo trionfante.
L’alleluia è nato unicamente dall’infinita carità del Signore, che dal Sepolcro non guardò se di qua c’erano cuori consapevoli e vigilanti...
Il Mistero della Pasqua si ripete. La notte della veglia pasquale, col suo cuore adorante, è sulla strada del Cristo che ritorna vincitore della morte.
Ma l’uomo dov’è col suo povero cuore?
Chi di noi crede veramente a Colui che, risorgendo, suggella «l’eccesso inestimabile di quella divina carità che per redimere il servo consegna alla croce il figlio»? (Annuncio pasquale).
Quanti, tra i molti che affolleranno le chiese per i riti pasquali, «sentiranno» il Risorto negli avvenimenti che si preparano?
Come le donne ci metteremo in cammino all’alba per recarci nelle nostre Chiese, giacché non riusciamo a sottrarci all’ingiunzione di certi segreti richiami, le braccia ingombre d’aromi per imbalsamare ancora una volta il Signore.
Così purtroppo è la nostra Pasqua: un omaggio di pietà, come se il Cristo, in questo momento, avesse bisogno della nostra piccola pietà. I morti hanno bisogno di pietà: il Vivente di audacia.
«Non vi spaventate - parlano gli angioli. - Voi cercate Gesù. Non è qui. Ecco il luogo dove l’avevan posto» (Mc. 16,6).
Il passato, le civiltà, le culture, le nostre stesse basiliche, le nostre stesse più care tradizioni possono essere i luoghi ove l’avevano posto gli uomini di un tempo.
«Andate e dite ai discepoli e a Pietro, ch’Egli vi precede» (Mc. 16,7). Dove? Dappertutto. In Galilea e sul monte: nel Cenacolo e lungo la strada di Emmaus: sul mare e nei deserti, ovunque l’uomo pianta la sua tenda, spezza il suo pane, costruisce le sue città, piangendo, sospirando, cantando, imprecando. Egli vi precede: ecco la consegna di questa Pasqua. Se alzandoci dalla Tavola eucaristica saremo disposti a seguirlo ovunque, «ovunque lo vedremo, così come egli ha detto».
 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Se alzandoci dalla Tavola eucaristica saremo disposti a seguirlo ovunque, «ovunque lo vedremo, così come egli ha detto».
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, noi ti ringraziamo per questo silenzio che precede la risurrezione. Cristo è stato posto nel sepolcro. La guardia vigila perché non si venga a rubare il suo corpo. Cristo, tu sei ora nel grembo della terra, per riconfortare i nostri padri. Se il seme non muore, non può dare frutti. Concedimi, Signore, di morire con te, per portare frutti abbondanti, come il seme nella terra, che aspetta che nasca e cresca una nuova vita.