IL VANGELO DEL GIORNO

30 Marzo 2018

VENERDÌ SANTO



Oggi Gesù ci dice: “Poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede” (II Lettura).


Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 18,1-19,42: Giovanni, il figlio di Zebedeo, per la tradizione cristiana è l’autore del quarto Vangelo, è il discepolo che Gesù amava. Il figlio del tuono, così come lo chiamò Gesù (Mc 3,17), nel vergare queste ultime pagine della sua Opera vuole ricordare alla sua comunità gli ultimi momenti della vita del Signore, che lui conosceva bene essendogli stato intimo e vicino fino alla fine. L’immagine che ne esce dal suo ricordo è quella del Maestro che ha insegnato le vie dell’amore al suo popolo, ha fatto segni chiarissimi davanti ad esso, segni che indicavano la sua provenienza dall’alto, ma ora era tragicamente solo davanti alla tortura della passione e alla morte. Passione e morte che non hanno niente di glorioso agli occhi degli uomini. Sembrano una passione e una morte di un malfattore, non degne di essere ricordate e celebrate. Eppure quella morte fu la più alta manifestazione dell’amore di Gesù per tutti gli uomini: In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi (1Gv 3,16). È un amore che venne eternato con la sua risurrezione al terzo giorno e ora può essere sperimentato da chi tiene lo sguardo su di Lui, il Signore, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento (Eb 12,1).


La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri vivi]: Da quando si cominciò a celebrare la Pasqua in giorno di domenica, il Venerdì Santo diventò il giorno della commemorazione della morte del Signore. A Gerusalemme verso la fine del IV secolo, prima del mezzogiorno si esponevano nella chiesa della Santa Croce sul Golgota le reliquie della Croce del Signore, che erano venerate dai fedeli. A mezzogiorno, il popolo si radunava di nuovo davanti alla stessa chiesa: dalle 12 fino alle 15, si leggeva la Sacra Scrittura e si cantavano i salmi. Sia in Oriente che in Occidente, in questo giorno non si celebrava lEucaristia. A Roma, si celebrava una funzione sacra la sera: si leggevano due brani dal Vecchio Testamento e la Passione del Signore secondo Giovanni. La liturgia si concludeva con le solenni preghiere di origine antica, per i rispettivi ceti della Chiesa. Ladorazione della Croce, sullesempio delladorazione di Gerusalemme, venne introdotta nel secolo VII. Roma era in possesso nientemeno che delle reliquie della santa Croce. Il papa si recava dal Laterano alla chiesa di Santa Croce in Gerusalemme insieme con alcuni diaconi, che portavano le reliquie. Queste venivano poste sullaltare e in grande semplicità si iniziava ladorazione. In Spagna e in Gallia si arriva alla drammatizzazione della liturgia: si svelava ed esponeva la Croce, ci si prostrava per tre volte davanti al Legno sacro, si cantavano gli improperi «Popolo mio» e altri inni. Questi elementi saranno introdotti nella liturgia romana nel IX-X secolo. La santa Comunione delle specie consacrate il Giovedì Santo compare a Roma sotto linflusso della liturgia orientale nel VII-VIII secolo, però nel XIII secolo verrà limitata al solo celebrante.
Nei paesi nordici, c’è un rito simile alla reposizione del Santissimo Sacramento il Giovedì Santo, che viene chiamato «la deposizione della Croce e dell’Ostia». Ben presto, il rito viene accolto in molte chiese eccetto la romana. Alcuni deponevano nel sepolcro il Santissimo Sacramento (Augsburg), altri invece la Croce (Inghilterra, Francia). I fedeli adoravano l’Ostia e la Croce fino al mattino di Pasqua.
La Chiesa rimane oggi con il Signore che affronta la Passione per la salvezza del mondo. Sta insieme con Gesù nel Giardino degli Olivi, vive insieme con Lui l’arresto e il giudizio, cammina col Salvatore lungo la Via della Croce, resta con lui sul Calvario e sperimenta il silenzio del sepolcro. La liturgia della parola ci introduce nel mistero della Passione del Signore. Il sofferente Servo di Dio, disprezzato e respinto dagli uomini, viene condotto come agnello al macello. Dio pose su di lui le colpe di noi tutti. Cristo muore nel momento in cui nel tempio vengono sacrificati gli agnelli necessari alla celebrazione della cena pasquale. È Lui il vero Agnello, che toglie i peccati del mondo. Egli viene offerto come nostra Pasqua. Cristo morì per tutti gli uomini e perciò in questo giorno la Chiesa, secondo la sua più antica tradizione, rivolge a Dio una grande preghiera. Prega per tutta la Chiesa nel mondo, chiede l’unificazione di tutti i credenti in Cristo, intercede per il Popolo Eletto. Ricorda tutti i credenti delle altre religioni come anche chi non crede, prega per i governanti e per gli afflitti.
Come non ringraziare Dio in questo giorno? Lodiamo Gesù e rendiamogli grazie, adorando la Croce su cui si compì la salvezza del mondo. Non solo glorifichiamo il Signore, ma ricevendo la santa Comunione dai doni consacrati ieri ci uniamo a Cristo: ogni volta che mangiamo di questo Pane annunziamo la morte del Signore, nell’attesa della sua venuta.


Il Calvario è il dramma che da duemila anni turba l’intera umanità, perché non si può restare indifferenti dinanzi alla morte atroce di un Uomo, tradito da un amico che era stato elevato alla dignità di Apostolo. Non si può restare indifferenti dinanzi ai dolori e alle sofferenze di un Uomo trascinato in tribunale con false accuse, vilipeso, umiliato solo per il gusto di umiliarlo e di farlo soffrire, messo a morte avvalorando la sua presunta colpevolezza con menzogne, falsi testimoni, ricorrendo al ricatto perché il debole Pilato cedesse all’arroganza del Sinedrio, dei Farisei, che con gioia luciferina esultavano appagati nel loro cuore, perché finalmente agguantavano la meta tanto agognata e desiderata, la morte del Figlio di Maria. In qualsiasi fronte si trovi l’uomo non può restare indifferente. Il credente non può non piangere i suoi peccati, terribili chiodi che tengono affisso alla Croce il Figlio di Dio, il non credente non può non protestare sconcertato per l’ingiusta condanna, e disapprovarla sinceramente; non può restare inerte dinanzi alla morte di un Uomo innocente, non può e non può non accogliere il dono della pace, del perdono, della misericordia che quell’Uomo crocifisso, in questa drammatica ora, gli offre. Ancora una volta noi cristiani meditiamo, la Passione di nostro Signore Gesù, ma dobbiamo essere sinceri e onesti, un anno fa abbiamo fatto la stessa cosa, ma cosa è cambiato nella nostra vita? Il Crocifisso non è soltanto una icona dolorosa ma un esame di coscienza. È testimonianza dell’amore di Dio, ed è un “forte grido” (Mc 15,37) alle nostre coscienze fin troppo indolenti e rese opache dall’abitudine del peccato, un grido perché abbandoniamo le tortuose vie della malvagità per convertirci, ed entrare nella nuova vita, preludio della somma gloria che attende l’uomo appena varcati i miseri confini della vita terrena.


Padre Raniero Cantalamessa (Omelia 10 Aprile 2009): Cristo, con la sua passione e morte, ha ribaltato il rapporto tra piacere e dolore. Egli “in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottomise alla croce” (Eb 12,2). Non più un piacere che termina in sofferenza, ma una sofferenza che porta alla vita e alla gioia. Non si tratta solo di un diverso susseguirsi delle due cose; è la gioia, in questo modo, ad avere l’ultima parola, non la sofferenza, e una gioia che durerà in eterno. “Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rom 6,9). E non lo avrà neppure su di noi. Questo nuovo rapporto tra sofferenza e piacere si riflette nel modo di scandire il tempo della Bibbia. Nel calcolo umano, il giorno inizia con la mattina e termina con la notte; per la Bibbia comincia con la notte e termina con il giorno: “E fu sera e fu mattina: primo giorno”, recita il racconto della creazione (Gen 1,5). Non è senza significato che Gesù morì di sera e risorse di mattino. Senza Dio, la vita è un giorno che termina nella notte; con Dio è una notte che termina nel giorno, e un giorno senza tramonto.


Collocazione provvisoria – Don Tonino Bello, Vescovo: Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non so quella di Cristo
Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. Da  mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.


Siamo arrivati al terminePossiamo mettere in evidenza:
*** Coraggio, fratello che soffri. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberati dalla morte, eredità dell’antico peccato trasmessa a tutto il genere umano, rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; e come abbiamo portato in noi, per la nostra nascita, l’immagine dell’uomo terreno, così per l’azione del tuo Spirito, fa’ che portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Per Cristo nostro Signore.