IL VANGELO DEL GIORNO

29 Marzo 2018

GIOVEDÌ SANTO

IN COENA DOMINI


Oggi Gesù ci dice: “Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore: come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Cfr. Gv 13,34).


Dal Vangelo secondo Giovanni 13,1-15: Ormai la Passione è vicina, e Gesù vuol stare con i suoi Amici (Gv 15,15), e in questa riunione svela loro tutto il suo amore: un amore ab aeterno, dall’eternità, che si è manifestato in tanti piccoli e grandi gesti di amore durante la sua vita terrena, e che ora si farà palese in tutta la sua “ampiezza, lunghezza, altezza e profondità” (Ef 3,18) consumandosi sulla Croce: li amò sino alla fine. Il brano di Giovanni mette in evidenza: la logica del grembiule che si edifica e poggia sulla bella virtù della umiltà, è la logica della carità, la logica del “piegarsi” dinanzi al fratello per lavargli i “piedi”. Una immagine da prendere anche alla lettera: quanti infermi, paralitici, hanno bisogno di un “buon samaritano” che presti loro le attenzioni anche più “intime”, come quello di lavargli il corpo, di asciugare il sudore, di imboccarlo... Il brano giovanneo mette in evidenza il comando di Gesù: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Da qui si evince la linea di demarcazione che separa il mondo e la Chiesa. La carità della Chiesa non è filantropia, ma amore di Cristo che si fa “carne” di consolazione per i più miseri, per i più poveri: “I poveri infatti li avete sempre con voi” (Gv 12,8). La Presenza di Gesù continua nel mistero dell’Eucarestia, ma continua nel mistero del dolore che sfigura la vita di tanti uomini, li sfigura ma allo stesso tempo li trasfigura se raggiunti dall’Amore del Cristo attraverso la pietà e la misericordia della Chiesa.


Messale delle Domeniche e Feste (ELLEDICI): L’amare e il sapere di Gesù - Il capitolo 13 di Giovanni pone subito al primo versetto i due I verbi che reggeranno tutta l’ultima parte del quarto vangelo (cf Gv 13.1).
«Amare» è il primo fra i due. Gesù ha amato e ama i suoi discepoli. Si approssima alla passione per amore dell’umanità. Nella parte finale del capitolo consegna il «comandamento nuovo» (cf Gv 13,34a); invita i discepoli ad amare seguendo il suo esempio (cf Gv 13,34b); indica l’amore come la testimonianza più credibile del discepolato (cf Gv 13,35). L’amore di Gesù accetta l’abbassamento radicale della croce, del dono della vita (cf Gv 15,13).
L’amore, però, deve tradursi in azioni concrete di servizio. Di questo Gesù dà l’esempio con il suo chinarsi davanti ai discepoli per compiere un gesto di umiltà estrema: lavare loro i piedi.
Il secondo verbo che reggerà tutta l’ultima parte del vangelo di Giovanni è «sapere». Gesù è consapevole di quanto sta accadendo; accondiscende, perché condivide la volontà di salvezza del Padre; accetta in piena libertà le conseguenze della scelta e gli eventi. Ne è testimonianza la lettura dei fatti della passione, dei quali, nel quarto vangelo, Gesù stesso è protagonista, quasi regista. Nella lavanda Gesù depone le vesti e le riprende (cf Gv 13,4.12), riferimento al suo consegnare la vita nella passione, per poi riaverla nella resurrezione.


Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Gesù e Satana - I primi versetti di questa pagina evangelica presentano subito i due antagonisti della lotta che sta per iniziare e ci dicono che cosa farà Gesù nella sua «ora» e con quale coscienza la affronterà. Già siamo preparati per capirla. Gesù infatti ha già definito la sua ora come il momento in cui il Figlio dell’uomo sarà glorificato (12,23), come l’«adesso» in cui il Principe di questo mondo (qui chiamato il «diavolo») sarà gettato fuori (12,31) e come il momento in cui «elevato da terra, attirerà tutti a sé» (12,32). Perciò il Gesù che si presenta a noi è già sicuro della vittoria. E non può essere altrimenti: egli sa che il Padre ha posto ogni cosa nelle sue mani, gli ha dato, cioè, ogni potere affinché chiunque creda abbia la vita eterna (vedi 3,35-36).
L’agire di Gesù tende alla vita. Non così quello del suo nemico, il diavolo, che non agisce a volto scoperto, ma per mezzo di emissari, qui per mezzo di Giuda, oramai in suo potere; non lo lascerà più e lo condurrà sino in fondo nel suo tradimento.
Osserviamo meglio Gesù - L’evangelista sottolinea con forza la coscienza che Gesù ha di sé, usando per due volte il participio «sapendo». Gesù sa che è venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre e sa che quest’ora è il punto cardine della sua parabola umana. Il suo infatti non è un «andare», ma un «ritorno», poiché egli sa che è venuto da Dio e che a Dio ritorna. Ebbene, egli intende vivere quest’ora non per costrizione, ma per amore. Per questo l’evangelista annota che avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine, cioè: sino all’ultimo istante della sua vita, sino alla perfezione. La sua ora sarà un atto di supremo amore.
Questa è la vera chiave di lettura di tutta la sua Passione, non ce n’è un’altra; e il gesto di lavare i piedi ai suoi discepoli ne è il segno. Esso dice con quali occhi e con quali sentimenti dobbiamo leggere il resto: come un «servizio-amore».
Gesù e Pietro - Ecco Gesù servo! La scena si svolge in modo assai vivace. L’alternanza presente-passato di tanti verbi la fa rivivere in ogni suo dettaglio: «si alza... depone... prendendo... si cinse... versa... incominciò...». È il servizio degli schiavi non ebrei quello che Gesù compie. E non lo compie all’inizio della Cena, ma mentre cenavano. Ciò fa meglio risaltare l’agire di Gesù e quello che egli vuole insegnare ai discepoli.
Eccolo davanti a Simon Pietro. Prima si è parlato di Giuda, già intenzionato a tradire, ora si parla di Pietro che lo rinnegherà. Egli però non lo sa ancora, lo sa solo Gesù. Pietro a prima vista sembra mosso da amore verso il Maestro; ma vuole che agisca a modo suo, non così: è il Maestro e il Signore; non può fare il «servo». In realtà non riesce a capire come Gesù vuole essere Messia, e se lo intuisce, lo rifiuta: il Messia deve occupare il trono di Israele (vedi commento a 6,15), non servire.
Gesù invece vuole cambiare questa mentalità. Egli vuole insegnare loro ad amare. Ora lo fa con l’esempio, poi lo farà con la parola (soprattutto nel c. 15). Egli vuol essere il primo nell’amore, non vuole imporre un comandamento che non abbia vissuto per primo. Ma questo Pietro «lo capirà più tardi». Ora Gesù gli chiede soltanto di lasciarlo fare e, di fronte al rifiuto di Pietro, gli risponde: «Se non ti laverò (cioè: se non mi accetti come «Servo»), non avrai niente da spartire con me (non potrai continuare ad essere mio discepolo)».
Pietro si spaventa e lo lascia fare, anzi vuole che gli lavi anche le mani e la testa. Ma Gesù gli dice che per lui e altri basta lavare i piedi, perché già sono «puri» ma aggiunge: «... non tutti». L’evangelista come al solito, commenta:  «Sapeva chi lo avrebbe tradito». L’ombra di Giuda pesa su tutta la scena.


Vi ho dato un esempio: Veritatis splendor 20: Gesù chiede di seguirlo e di imitarlo sulla strada dell’amore, di un amore che si dona totalmente ai fratelli per amore di Dio: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12). Questo “come” esige l’imitazione di Gesù, del suo amore di cui la lavanda dei piedi è segno: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,14-15). L’agire di Gesù e la sua parola, le sue azioni e i suoi precetti costituiscono la regola morale della vita cristiana. Infatti, queste sue azioni e, in modo particolare, la passione e la morte in croce, sono la viva rivelazione del suo amore per il Padre e per gli uomini. Proprio questo amore Gesù chiede che sia imitato da quanti lo seguono. Esso è il comandamento “nuovo”: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). Questo “come” indica anche la misura con la quale Gesù ha amato, e con la quale devono amarsi tra loro i suoi discepoli. Dopo aver detto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12), Gesù prosegue con le parole che indicano il dono sacrificale della sua vita sulla croce, quale testimonianza di un amore “sino alla fine” (Gv 13,1): “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Chiamando il giovane a seguirlo sulla strada della perfezione, Gesù gli chiede di essere perfetto nel comandamento dell’amore, nel “suo” comandamento: di inserirsi nel movimento della sua donazione totale, di imitare e di rivivere l’amore stesso del Maestro “buono”, di colui che ha amato “sino alla fine”. È quanto Gesù chiede ad ogni uomo che vuole mettersi alla sua sequela: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).


ADORARE, RINGRAZIARE, AMARE CRISTO PRESENTE TRA NOI - Paolo VI (Omelia, 7 Aprile 1966): Fratelli e Figli, come il grande rito vuole, un grande sforzo di memoria a noi questa sera è domandato. Dobbiamo ricordare Gesù Cristo con tutte le forze del nostro spirito. Questo è l’amore che ora gli dobbiamo. Ricorda chi ama. La nostra grande colpa è l’oblio, è la dimenticanza. È la colpa ricorrente nella vicenda biblica: mentre Dio non si dimentica mai di noi ... «Potrà mai una donna dimenticarsi del suo bambino, da non sentire più compassione per il figlio delle sue viscere? ...» (Is. 49,15), noi ci dimentichiamo così facilmente di Lui. Siamo giunti a tanto, nel nostro tempo, da credere una liberazione lo scordarci di Dio, da volere scordarci di Lui; come fosse liberazione lo scordarci del sole della nostra vita! Noi spingiamo sovente la giusta distinzione dei vari ordini sia del sapere, che dell’azione, la quale non vuole confusione fra il sacro e il profano e rivendica a ciascuno la loro relativa autonomia, fino alla negazione dell’ordine religioso, e alla diffidenza e alla resistenza nei suoi confronti, per l’errata convinzione che nel laicismo radicale sia prestigio umano e vera sapienza. Così la dimenticanza di Cristo si fa abituale anche in una società che tanto da Lui ha ricevuto e tuttora riceve; e si insinua qualche volta anche nella comunità ecclesiale: «Tutti cercano, lamenta l’Apostolo, le cose proprie, non quelle di Gesù Cristo» (Phil. 2,21).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...