IL VANGELO DEL GIORNO

25 Marzo 2018

DOMENICA DELLE PALME
DELLA PASSIONE DEL SIGNORE


Oggi Gesù ci dice: “Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Marco 14,1-15,47: Nella cornice festosa del pellegrinaggio pasquale Gesù fa la sua solenne entrata nella città. Ciò che anzitutto colpisce in questo racconto è il ricco sottofondo veterotestamentario. Innanzi tutto, il racconto sembra accostarsi a un testo del libro di Zaccaria (9,9): “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”. Le vesti stese per terra ricordano l’intronizzazione regale di Jeu (2Re 9,13): “Allora si affrettarono e presero ciascuno il proprio mantello e lo stesero sui gradini sotto di lui, suonarono il corno e gridarono: «Ieu è re»”. E infine, il grido della folla che accompagna Gesù, ricorda il Salmo 118 (117, 26), un salmo processionale: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Questo ricco sottofondo veterotestamentario rivela il modo con cui la comunità cristiana ha letto l’episodio, scorgendo in esso un profondo senso messianico. Al trionfo seguirà l’amara passione, Gesù morirà, ma non bisogna dimenticare che egli è il Signore, perché altrimenti non si capirebbe la Passione: non è il rifiuto di un profeta qualsiasi, ma del Signore; non è la manifestazione del coraggio di un profeta che giunge al martirio, ma la manifestazione dell’amore di Dio nei nostri confronti. 


L’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme: CCC 559-560: Come Gerusalemme accoglierà il suo Messia? Dopo essersi sempre sottratto ai tentativi del popolo di farlo re, Gesù sceglie il tempo e prepara nei dettagli il suo ingresso messianico nella città di “Davide, suo padre” (Lc 1,32). È acclamato come il figlio di Davide, colui che porta la salvezza (“Hosanna” significa: “Oh, sì, salvaci!”, “donaci la salvezza!”). Ora, “Re della gloria” (Sal 24,7-10) entra nella sua città cavalcando un asino: egli non conquista la Figlia di Sion, figura della sua Chiesa, né con l’astuzia né con la violenza, ma con l’umiltà che rende testimonianza alla Verità. Per questo i soggetti del suo Regno, in quel giorno, sono i fanciulli e i «poveri di Dio», i quali lo acclamano come gli angeli lo avevano annunziato ai pastori. La loro acclamazione, «Benedetto colui che viene nel Nome del Signore» (Sal 118,26), è ripresa dalla Chiesa nel «Sanctus» della Liturgia eucaristica come introduzione al memoriale della Pasqua del Signore. L’ingresso di Gesù a Gerusalemme manifesta l’avvento del Regno che il Re-Messia si accinge a realizzare con la Pasqua della sua morte e Risurrezione. Con la celebrazione dell’entrata di Gesù in Gerusalemme, la domenica delle Palme, la Liturgia della Chiesa dà inizio alla Settimana Santa.


Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata: Nostra aetate 4: Gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione. Tuttavia secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e “lo serviranno sotto uno stesso giogo” (Sof 3,9).


In Cristo avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio: Sacrosacntum Concilium 5: Dio, il quale “vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4), “dopo avere a più riprese e in più modi parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti” (Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, unto dallo Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti, “medico di carne e di spirito”, mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti la sua umanità, nell’unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza. Per questo motivo in Cristo “avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio ormai placato e ci fu data la pienezza del culto divino”. Quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale “morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita”. Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa.


Paolo VI (Omelia, 3 Aprile 1977): Gesù è il Messia, è il Cristo, è il Re inviato da Dio, è il Figlio dell’uomo ed è il Figlio di Dio. La sua definizione è raggiunta! Quale sarà il seguito di questa certezza vedremo successivamente; il dramma messianico, nel suo aspetto pubblico universale e drammatico comincia qui: Gesù è il Cristo. Cominciò per i contemporanei di Gesù. Comincia per noi, con una formidabile domanda: noi, noi riconosciamo in quel Gesù di Nazareth, del Vangelo, il Messia, il Cristo, il Re divino, il dominatore della storia, il Salvatore perenne, Colui che ha detto: «Io sarò con voi tutti (presente ed invisibile, ma vivo e reale), sino alla fine del mondo»? (Matth. 28,20) Ecco l’importanza per noi, figli del secolo ventesimo, per noi Romani, per ciascuno di noi, personalmente, del rito che stiamo compiendo: riconosciamo noi, riconoscete voi in Gesù il Messia, l’inviato da Dio, anzi il Verbo di Dio fatto uomo, che si mette al centro della nostra vita, al cardine dei nostri destini? Lo riconosciamo? Ecco: la questione ci investe come un uragano. La memoria del fatto evangelico diventa attualità. Lo riconosciamo quel Gesù come l’arbitro delle nostre sorti? Abbiamo paura? Noi vediamo molte assenze! perché? che cosa sarà di tanti assenti? Noi vediamo molti pavidi, timidi, opportunisti: perché, dicono, esporsi al pericolo che l’essere cristiani comporta? V’è chi suggerisce: fuggi, che è meglio! Noi sappiamo che altri, e non pochi, sono guidati da interessi immediati: piacere, possedere, vivere senza pensieri superiori: vite senza ideali, esaltate e divorate dal tempo che passa! E voi, Figli carissimi, voi che dite?

Piaga su piaga - Gesù, ben fissato dai chiodi al legno della Croce, non risponde alle invettive, agli insulti dei suoi crocifissori. Dinanzi a Gesù crocifisso scocca l’ora della verità: di fronte a un uomo che reagisce soltanto alle contrazioni spasmodiche del dolore che preannunciano l’imminente morte; dinanzi a un corpo scarnificato, bruciato dalla sete, scosso da violenti rigurgiti siamo chiamati a pronunciarci: o continuare a insultarlo o accettare lo scandalo della croce.
In ogni caso, la paura in queste due alternative gioca un ruolo di primo piano. Infatti, dinanzi al Crocifisso non vi è scelta: l’uomo è chiamato a vincere la paura o a farsi vincere da essa.
In un mondo non sempre pulito, c’è la paura di vivere onestamente, chi non la supera continuerà a insultare il Cristo con il suo peccato.
C’è la paura del dolore, della sofferenza, della morte, chi non la vince disobbedirà a Dio opponendosi alla sua volontà salvifica.
C’è la paura di essere fedeli ai propri impegni cristiani dinanzi a un mondo ostile o incredulo, chi non la vince fuggirà per sempre dinanzi agli appelli della sua coscienza e quando sul quadrante della storia umana si fermerà il tempo per cedere il posto all’eternità fuggirà lontano dal volto santo di Dio.
«Per vincere questa paura il discepolo ha due possibilità: o andare con Gesù fino in fondo, essere come il maestro, o lasciarsi travolgere dalla paura, rinunciare alla testimonianza di un maestro che soffre e mettersi praticamente dalla parte di coloro che vogliono uccidere Gesù» (Mario Cimosa).
Il romanziere giapponese Shusaku Endo, nato a Tokio nel 1923 e morto nel 1996, aveva ricevuto il battesimo all’età di undici anni per volontà della madre, che si era convertita al cattolicesimo. I suoi temi più cari erano il silenzio di Dio e il senso della sofferenza fisica e morale. Parlando della sua fede, un giorno ebbe a scrivere: «Per me il cristianesimo, in cui credo e mi sforzo di credere a volte con un acuto senso di solitudine, è la più profonda, suprema verità. Non è un assolo di violino che risuona in una sola parte dell’intimo umano, ma in tutto l’uomo, nelle sue componenti buone e cattive, come una sinfonia che dovrebbe trovare l’accordo con tutti i suoni interiori dell’umanità».
Oggi, l’apostolo Paolo ci invita a far sì che la nostra fede diventi un complesso armonioso di suoni, di colori: una sinfonia che trascini l’uomo a innalzare inni di lode e di gratitudine al Crocifisso dalle cui piaghe siamo stati guariti (1Pt 2,25).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Oggi, l’apostolo Paolo ci invita a far sì che la nostra fede diventi un complesso armonioso di suoni, di colori: una sinfonia che trascini l’uomo a innalzare inni di lode e di gratitudine al Crocifisso dalle cui piaghe siamo stati guariti. (Paolo VI)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione. Egli è Dio e vive e regna con te..