IL VANGELO DEL GIORNO

26 Marzo 2018

LUNEDÌ SETTIMANA SANTA

Oggi Gesù ci dice: Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni 12,1-11: L’unzione di Betania ha alla base il simbolo del profumo prezioso di nardo, importato in Israele dall’India, del valore di trecento denari, quasi il salario annuale di un bracciante. Esso è interpretato dall’evangelista come un’anticipazione della morte, sepoltura e unzione del corpo di Gesù, un po’ come la risurrezione di Lazzaro era stata il segno della glorificazione del Risorto. In questa scena ci sono due sguardi contrapposti su Gesù: quello della donna e quello di Giuda. La donna pone Gesù al di sopra di tutto e indica un amore illimitato. Giuda pone il valore commerciale al di sopra della persona di Cristo. Con un commento che manca nei sinottici, Giovanni sottolinea l’attaccamento di Giuda al denaro. Maria, quindi, simboleggia qui il vero discepolo che riconosce che Gesù vale di più di tutto l’oro del mondo


Benedetto Prete (Vangelo secondo Giovanni): Sei giorni prima della Pasqua, con questa indicazione cronolo­gica ben precisa (sei giorni) l’evangelista desidera segnalare l’ultima settimana della vita di Gesù (cf. 12,12; 13,1; 18,28; 19,31); anche all’inizio del vangelo egli aveva indicati i giorni della prima settimana dell’attività pubblica di Cristo (cf. 1,19-2,1). Ambedue le settimane si concludono con la manifestazione della gloria di Gesù (cf. 2,4.11; 12, 23; 13,31-32; 17,1.5). L’indicazione cronologica serve a fissare la data del banchetto e della unzione di Maria (cf. verso 2); Matteo e Marco pongono questo banchetto e l’unzione della donna nella settimana di passione; Giovanni invece anticipa i due fatti al sesto giorno prima di Pasqua, cioè molto probabilmente alla sera del sabato che precedeva la Pasqua di quell’anno. Venne a Bethania; il Maestro, che deve recarsi a Gerusalemme per consumarvi la Pasqua, fa sosta a Bethania e qui si sofferrna per breve tempo. Gesù, lasciato il suo ritiro di Efraim, si recò a Gerico e da questa città mosse verso Bethania e Gerusalemme (cf. Lc., 18,35-19,44). Dove si trovava Lazzaro; nel presente capitolo è nominato spesso Lazzaro (cf. versetti 2,9-11; 17-18); la menzione di questo personaggio assume un particolare significato per l’evangelista; egli infatti vuole sottolineare l’idea sviluppata nel corso del capitolo, cioè: la vita viene dalla morte. Per questo motivo ripete particolari già noti ( ... Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti).


Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo - Henri van den Bussche (Giovanni): Secondo i sinottici, che non citano il nome della donna, il profumo è stato sparso sulla testa di Gesù, mentre Giovanni parla di unzione di piedi. Il profumo fu versato probabilmente sulla testa e sui piedi, ma Giovanni non racconta che l’unzione dei piedi perché essa era eccezionale, dimostrava una grande generosità, quasi uno spreco.
Perché il gesto di Maria superava veramente la misura normale: più di trecento grammi di nardo vero, molto costoso. Tutta la casa ne è profumata; questo è per i sinottici (Mc 14,9; Mt 26,12) il presagio della predicazione universale della buona novella. Giovanni descrive la profusione sottolineandola. Egli dice che Maria asciugò i piedi di Gesù coi suoi capelli (cfr. Lc 7,44). Questi particolari mettono in rilievo il contrasto col calcolo avaro di Giuda.
Giovanni cita il nome di Giuda, mentre i sinottici restano nell’indeterminato (alcuni, i discepoli). Per lui Giuda è l’incarnazione dell’incomprensione, della mancanza di fede e della connivenza con Satana. Ogni volta egli aggiunge a questo nome: uno dei discepoli o uno dei Dodici, colui che lo tradirà. Giuda ha fatto i suoi calcoli. Trecento denari, il salario di trecento giorni, di dieci mesi. Perché non dare tale somma ai poveri? L’evangelista protesta. Questo scatto non è abituale in lui; è, come tutto ciò che Giovanni dice di Giuda, la reazione spontanea di un membro del collegio dei Dodici.
Gesù ordina a Giuda di non importunarla. Alla lettera: lasciala stare, lo ha conservato per il giorno della mia sepoltura. Gesù risponde alla obiezione di Giuda e spiega: Maria non deve conservare o vendere il balsamo perché essa lo ha comprato per la sua sepoltura e questa sepoltura è prossima, già ci siamo, si può dire. Gesù spiega che il gesto di Maria è un gesto profetico involontario, indica che la sua morte è vicina.
La cena, offerta in ricordo della risurrezione di Lazzaro, non passa inavvertita (12,1). Molti giudei vengono, non tanto per affermare la loro fede in Gesù quanto per curiosità, per vedere Lazzaro, il morto-vivente. Ma questo interesse si risolve in una ripresa di pubblicità del miracolo. I gran sacerdoti (non si tratta solamente dei sadducei, ma anche dei farisei) vogliono farla finita a ogni costo. Se è necessario, si sopprimerà anche Lazzaro, perché anche lui è motivo di defezioni (11,45). Credere in Gesù non significa forse abbandonare l’ortodossia giudaica di cui essi sono i responsabili (9,22.35)?


Una reazione di  protesta...: Ecclesia de Eucharistia 47: Chi legge nei Vangeli sinottici il racconto dell’istituzione eucaristica, resta colpito dalla semplicità e insieme dalla «gravità», con cui Gesù, la sera dell’Ultima Cena, istituisce il grande Sacramento. C’è un episodio che, in certo senso, fa da preludio: è l’unzione di Betania. Una donna, identificata da Giovanni con Maria sorella di Lazzaro, versa sul capo di Gesù un vasetto di profumo prezioso, provocando nei discepoli - in particolare in Giuda (cfr. Mt 26,8; Mc 14,4; Gv 12,4) - una reazione di protesta, come se tale gesto, in considerazione delle esigenze dei poveri, costituisse uno «spreco» intollerabile. Ma la valutazione di Gesù è ben diversa. Senza nulla togliere al dovere della carità verso gli indigenti, ai quali i discepoli si dovranno sempre dedicare - «i poveri li avete sempre con voi» (Mt 26,11; Mc 14,7; cfr. Gv 12,8) - Egli guarda all’evento imminente della sua morte e della sua sepoltura, e apprezza l’unzione che gli è stata praticata quale anticipazione di quell’onore di cui il suo corpo continuerà ad essere degno anche dopo la morte, indissolubilmente legato com’è al mistero della sua persona.


Dal sacrificio di Cristo sgorga inesauribilmente il perdono dei nostri peccati: Catechismo della Chiesa Cattolica 1850-1851: Il peccato è un’offesa a Dio: «Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto» (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare «come Dio» (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è «amore di sé fino al disprezzo di Dio». Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza. È proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei discepoli. Tuttavia, proprio nell’ora delle tenebre e del Principe di questo mondo, il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati.


I poveri non mancheranno mai nel paese: Catechismo della Chiesa Cattolica 2449: Fin dall’Antico Testamento tutte le varie disposizioni giuridiche (anno di remissione, divieto di prestare denaro a interesse e di trattenere un pegno, obbligo di dare la decima, di pagare ogni giorno il salario ai lavoratori giornalieri, diritto di racimolare e spigolare) sono in consonanza con l’esortazione del Deuteronomio: «I bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese» (Dt 15,11). Gesù fa sua questa parola: «I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» (Gv 12,8). Non vanifica con ciò la parola veemente degli antichi profeti: comprano «con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali... » (Am 8,6), ma ci invita a riconoscere la sua presenza nei poveri che sono suoi fratelli.

La sovrabbondanza della gratuità - Vita Consecrata 104: Non sono pochi coloro che oggi si interrogano perplessi: Perché la vita consacrata? Perché abbracciare questo genere di vita, dal momento che vi sono tante urgenze, nell’ambito della carità e della stessa evangelizzazione, a cui si può rispondere anche senza assumersi gli impegni peculiari della vita consacrata? Non è forse, la vita consacrata, una sorta di «spreco» di energie umane utilizzabili secondo un criterio di efficienza per un bene più grande a vantaggio dell’umanità e della Chiesa? Queste domande sono più frequenti nel nostro tempo, perché stimolate da una cultura utilitaristica e tecnocratica, che tende a valutare l’importanza delle cose e delle stesse persone in rapporto alla loro immediata «funzionalità». Ma interrogativi simili sono esistiti sempre, come dimostra eloquentemente l’episodio evangelico dell’unzione di Betania: «Maria, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento» (Gv 12,3). A Giuda che, prendendo a pretesto il bisogno dei poveri, si lamentava per tanto spreco, Gesù rispose: «Lasciala fare!» (Gv 12,7). È questa la risposta sempre valida alla domanda che tanti, anche in buona fede, si pongono circa l’attualità della vita consacrata: Non si potrebbe investire la propria esistenza in modo più efficiente e razionale per il miglioramento della società? Ecco la risposta di Gesù: «Lasciala fare!». A chi è concesso il dono inestimabile di seguire più da vicino il Signore Gesù appare ovvio che Egli possa e debba essere amato con cuore indiviso, che a Lui si possa dedicare tutta la vita e non solo alcuni gesti o alcuni momenti o alcune attività. L’unguento prezioso versato come puro atto di amore, e perciò al di là di ogni considerazione «utilitaristica», è segno di una sovrabbondanza di gratuità, quale si esprime in una vita spesa per amare e per servire il Signore, per dedicarsi alla sua persona e al suo Corpo mistico. Ma è da questa vita «versata» senza risparmio che si diffonde un profumo che riempie tutta la casa. La casa di Dio, la Chiesa, è, oggi non meno di ieri, adornata e impreziosita dalla presenza della vita consacrata. Quello che agli occhi degli uomini può apparire come uno spreco, per la persona avvinta nel segreto del cuore dalla bellezza e dalla bontà del Signore è un’ovvia risposta d’amore, è esultante gratitudine per essere stata ammessa in modo tutto speciale alla conoscenza del Figlio ed alla condivisione della sua divina missione nel mondo. «Se un figlio di Dio conoscesse e gustasse l’amore divino, Dio increato, Dio incarnato, Dio passionato, che è il sommo bene, gli si darebbe tutto, si sottrarrebbe non solo alle altre creature, ma perfino a se stesso e con tutto se stesso amerebbe questo Dio d’amore fino a trasformarsi tutto nel Dio-uomo, che è il sommo Amato».


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La vita viene dalla morte. 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Guarda, Dio onnipotente, l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unico Figlio. Egli è Dio e vive e regna con te.