IL VANGELO DEL GIORNO

21 Marzo 2018

MERCOLEDÌ FERIA V SETTIMANA QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza” (Cfr. Lc 8,15).


Dal Vangelo secondo Giovanni 8,31-42: Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno: si contrappongono due filiazioni, la stirpe di Abramo,  e quindi viene da Dio, e quella che rimanda a Satana. I Giudei sono convinti di appartenere alla discendenza di Abramo e di essere liberi, ma Gesù, pur convenendo che sono discendenti di Abramo, dimostra loro che di fatto sono figli del diavolo perché hanno l’odio e la menzogna nel cuore. Quindi non liberi, ma schiavi, perché chi commette il peccato è schiavo del peccato. Sono schiavi del peccato perché omicidio e menzogna sono l’espressione della presenza demoniaca insediata nei loro cuori. Il dibattito serrato di Gesù con i Giudei che gli avevano creduto si avvia verso una conclusione drammatica. Egli ha denunciato la falsa fede che costoro ostentavano: più che figli di Abramo, essi sono discendenti di Satana, omicida fin da principio e menzognero e padre della menzogna. Invece di resipiscenza queste parole suscitano rabbia, livore, odio, infatti, di lì a poco cercheranno di lapidare Gesù.


Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): versetti 37-41: Il Signore replica alla obiezione dei Giudei: sono certamente figli di Abramo mo solo in senso naturale, secondo la carne, una circostanza ormai priva di valore, poiché ciò che ora importa è accogliere Gesù quale Inviato del Padre. Gli interlocutori del Signore sono spiritualmente ben lontani dall’essere veri figli di Abramo: questi si rallegrò nel vedere il Messia (cfr Gv 8,56); per la sua fede fu giustificato (cfr Rm 4,1ss.), ed essa lo spinse a opere rigorosamente conseguenti (cfr Gc 2,21-24); appunto perciò poté attingere il gaudio dell'eterna beatitudine (cfr Mt 8,11; Lc 16,24). Quei Giudei, invece, “erano discendenti di Abramo secondo la carne, ma erano degenerati per il fatto che non imitavano la fede del padre loro” (SANT’AGOSTINO, In Ioannis Evang. tractatus, 42,I). Coloro che vivono della fede - scrive san Paolo - sono i veri figli di Abramo e, insieme a lui, saranno benedetti da Dio (cfr Gal 3,7-9). Per contro, gli interlocutori del Signore non solo rifiutano la sua dottrina, ma le loro opere palesano un'altra filiazione radicalmente diversa: «Voi fate le opere del padre vostro», parole che racchiudono la velata accusa di essere figli del demonio (cfr v. 44). La falsa sicurezza ostentata da quei Giudei per il fatto di appartenere alla progenie di Abramo può trovare il suo riscontro nel cristiano che s'accontenti di essere stato battezzato e di adempiere talune pratiche religiose, trascurando le esigenze che la fede in Cristo Signore porta con sé come inevitabile conseguenza.


Gesù Cristo è la verità: Ad gentes 13: Ovunque Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del Cristo, ivi a tutti gli uomini, con franchezza e con perseveranza deve essere annunziato il Dio vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo. Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, crederanno e liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno a colui che, essendo «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), risponde a tutte le attese del loro spirito, anzi le supera infinitamente.
Una tale conversione va certo intesa come un inizio: eppure è sufficiente perché l'uomo avverta che, staccato dal peccato, viene introdotto nel mistero dell'amore di Dio, che lo chiama a stringere nel Cristo una relazione personale con lui. Difatti, sotto l'azione della grazia di Dio, il neo-convertito inizia un itinerario spirituale in cui, trovandosi già per la fede in contatto con il mistero della morte e della risurrezione, passa dall'uomo vecchio all'uomo nuovo che in Cristo trova la sua perfezione. Questo passaggio, che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costumi, deve manifestarsi nelle sue conseguenze di ordine sociale e svilupparsi progressivamente nel tempo del catecumenato. E poiché il Signore in cui si crede è segno di contraddizione, non di rado chi si è convertito va incontro a rotture e a distacchi, ma anche a gioie, che Dio generosamente concede.
La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa.
Secondo una prassi antichissima nella Chiesa, i motivi della conversione vanno bene esaminati, e, se è necessario, purificati.


La verità vi farà liberi: Giovanni Paolo II (Lettera ai Giovani di Roma, 8 settembre 1997): Lo Spirito suscita nel cuore d’ogni uomo il desiderio della verità. La verità che ci rende liberi è Cristo, il solo che può dire: “Io sono la verità” (Gv 14,6) e aggiungere: “Se rimanete fedeli alla mia parola, diventerete miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Molti di voi studiano, altri già lavorano o sono in attesa di una occupazione. È importante che tutti diventiate ricercatori appassionati della verità e suoi intrepidi testimoni. Mai dovete rassegnarvi alla menzogna, alla falsità ed al compromesso! Reagite con vigore a chi tenta di catturare la vostra intelligenza e di irretire il vostro cuore con messaggi e proposte che rendono succubi del consumismo, del sesso disordinato, della violenza sino a spingere nel vuoto della solitudine e nei meandri della cultura della morte. Slegata dalla verità, ogni libertà si tramuta in nuova e più pesante schiavitù.


L’uomo riceve da Dio creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito libero nella società: Gauium et spes 21: La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato, con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l’esperienza comune degli uomini e che degradano l’uomo dalla sua innata grandezza. Si sforza tuttavia di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate dall’ateismo, mossa dal suo amore verso tutti gli uomini, ritiene che esse debbano meritare un esame più serio e più profondo. La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell’uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione. L’uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. 


Libertà non è vivere secondo i propri capricci: Paolo VI (Udienza Generale, 9 luglio 1969): Noi dobbiamo educarci all’uso schietto e magnanimo della libertà del cristiano, sottratto al dominio delle passioni (cfr. Rm 8,21) e alla servitù del peccato (Gv 8,34), e interiormente animato dal gioioso impulso dello Spirito Santo, giacché, come dice San Paolo, «coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio» (Rm 8,14). dovremo nello stesso tempo essere coscienti che la nostra libertà cristiana non ci sottrae alla legge di Dio, nelle sue supreme esigenze di umana saggezza, di sequela evangelica, d’ascetismo penitenziale, e d’obbedienza all’ordine comunitario, proprio della società ecclesiale. La libertà cristiana non è carismatica, nel senso arbitrario, che oggi alcuni si arrogano: siate «liberi, c’insegna l’apostolo Pietro, senza farvi della libertà un mantello per coprire la vostra malizia, ma come servi di Dio» (1Pt 2,16); non è la sfida spregiudicata alla norma vigente nella società civile, la cui autorità, - è San Paolo che parla, - obbliga in coscienza (Rm 13,1-7), e nella società ecclesiastica, plasmata dalla fede e dalla carità, e governata da un’autorità rivestita di poteri non provenienti dalla base, ma da origine divina, per istituzione di Cristo e successione apostolica; poteri, se occorre indiscutibili (Lc10,16; 1Gv 4,6), e gravi (1Cor 4,2l), anche se sempre rivolti piuttosto che al dominio (cfr. 2Cor 1,23; 1Cor 13,10), all’edificazione, cioè alla liberazione spirituale dei fedeli. Dunque riassumiamo: il nostro tempo, di cui il Concilio si fa interprete e guida, reclama libertà. Noi dobbiamo sentirci felici e pensosi di questa nostra fortuna storica. Dove poi troveremo la vera libertà, se non nella vita cristiana? Ora la vita cristiana esige una comunità organizzata, esige una Chiesa, secondo il pensiero di Cristo, esige un ordine, esige una libera ma sincera obbedienza; esige perciò un’autorità, la quale custodisca e insegni la verità rivelata (2Cor 10,5); perché questa verità è l’intima e profonda radice della libertà, come ha detto Gesù: «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).


Le parole di Gesù impongono alcune domande, per esempio, cos’è esattamente la libertà di cui parla Egli nel brano del Vangelo di oggi? Da che cosa e da chi Gesù ci libera? Siamo, come uomini, veramente liberi? O esistono gioghi che rendono l’uomo schiavo? Da quali potenze è dominato? Sono domande che attraversano il tempo e raggiungono anche noi, oggi. Domande alle quali dobbiamo dare una risposta. Ma per dare una risposta dobbiamo percorre all’inverso il cammino dei Giudei, i quali sembrano ancora una volta non capire e spostare l’asse del discorso. Noi invece dobbiamo sforzarci di capire le parole di Gesù: la libertà è legata al riconoscimento della Verità, mentre il rifiuto della Verità conduce alla schiavitù. E la Verità è Cristo. Essere liberi significa accogliere e vivere nella Verità e secondo lo Spirito del Signore (2Cor 3,17), superare le strettoie dalla Legge che conduce alla morte (Rm 6,14; 7,6; Gal 2,4); essere liberi significa spezzare il giogo della carne (Rm 8,5-9), e aprire il cuore e la mente alla signoria dello Spirito Santo (Rm 8,13). La libertà è legata alla liberazione dall’ansietà proveniente dal mondo (Col 2,20) e dagli elementi del mondo (Gal 4,3.9), dall’“amicizia con il mondo” (1Cor 7,29-32). Gesù oggi ci invita a fare un serio esame di coscienza, e senza patemi d’animo, riconoscerci “schiavi” di mille cose, riconoscerci bisognosi di libertà. E questo bisogno diventerà impellente se guarderemo con sincerità ai nostri difetti e alle nostre insufficienze, se guarderemo alla nostra storia personale impastata di peccato e di infedeltà. Se metteremo in evidenza tutto questo, allora ci apriremo a Gesù, a Colui che libera l’uomo e che fa veramente libero l’uomo. Riconoscersi peccatore e bisognosi di tutto è un atto di liberazione e può restituire una nuova dimensione di vita, centrata su Gesù. Certamente convincerci che il peccato abita in noi (Rm 7,17) è doloroso e umiliante,  ma Gesù ci dice che questo dolore, questa umiliazione, valgono la pena e portano frutto di salvezza perché ci aprono all’amicizia con Colui che veramente libera l’uomo e lo statuisce nella libertà perfetta.


Siamo arrivati al terminePossiamo mettere in evidenza:
****La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Dio onnipotente, ci renda perseveranti nel tuo servizio, perché anche nel nostro tempo la tua Chiesa si accresca di nuovi membri e si rinnovi sempre nello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...