IL PENSIERO DEL GIORNO

9 Marzo 2018

VENERDÌ FERIA III SETTIMANA QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “Io sono il Signore, tuo Dio: ascolta la mia voce” (Salmo Responsoriale).


Dal Vangelo secondo Marco 12,28b-34: Gesù giunto in Gerusalemme, accolto dalla folla osannante, scaccia i mercanti dal tempio aprendo così l’ennesimo fronte conflittuale con i detentori del potere israelitico. Come per l’inizio del Vangelo in Galilea, Marco ha ricordato cinque conflitti (cfr. Mc 2,1-3.6), così ora in Gerusalemme, alla fine del suo ministero pubblico, l’evangelista raccoglie cinque questioni, intramezzate dalla parabola dei vignaioli: l’autorità di Gesù, Dio e Cesare, la risurrezione, il comandamento più grande, il rapporto Cristo-Davide. Il brano odierno si colloca all’interno di questo conflitto ed è teso ad enunciare l’unicità di Dio Signore. Qui, sulla bocca di Gesù esso si basa sullo Shema (cfr. Dt 6,4-5).


P. Umberto Frassineti, o.p.: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Siamo davanti alla frase più scandalosa del Vangelo. Ed essa non è un sospiro ma un imperativo, non solo consiglio e suggerimento ma condizione di salvezza. Per entrare nel Regno dei Cieli bisogna amare il nostro vicino: questo dobbiamo capire-accettare-praticare.
«Amare Dio», questo può anche passare. Dio nessuno l’ha mai visto, dice Giovanni in una sua lettera. Per amare Dio bisogna amare il prossimo. Lo sappiamo da Gesù: una cosa non può essere senza l’altra.
Non facciamoci illusioni sui nostri atti di amore, sui nostri sospiri ed aneliti. Tutto si misura - per il Vangelo - con ben altri metri.
Bisogna amare il prossimo. Ed è amore possibile. Questo innanzitutto dobbiamo comincia e a credere. Se dubitiamo di questa possibilità è segno che abbiamo già capitolato davanti al nostro egoismo e al nostro orgoglio.


Ascolta, o Israele - Questa espressione diventerà l’inizio della preghiera detta Shema, la più cara al cuore degli Ebrei. Preghiera e amore, culto e carità, unità che Gesù non ha scisso. La carità senza preghiera diventa narcisismo, l’amore senza culto diventa filantropia. Oggi nel mondo cristiano la preghiera sembra essere un po’ dimenticata. È più facile per molti correre sulle ali del servizio sociale in quanto gratifica, perché mette l’operatore al centro dell’attenzione pubblica accendendo abbacinanti riflettori, perché apparecchia elettrizzanti talk show... la preghiera invece si fa compagna del nascondimento, per accendersi nel cuore dell’uomo occorre il fuoco dell’umiltà, e sopra tutto tiene lontano dalle piazze (Mt 6,4-5) e a molti non piace.
Per il Catechismo della Chiesa Cattolica (2697), la preghiera è «la vita del cuore nuovo. Deve animarci in ogni momento. Noi, invece, dimentichiamo colui che è la nostra Vita e il nostro Tutto. Per questo i Padri della vita spirituale, nella tradizione del Deuteronomio e dei profeti, insistono sulla preghiera come “ricordo di Dio”, risveglio frequente della “memoria del cuore”: “È necessario ricordarsi di Dio più spesso di quanto si respiri”».
Se nell’inconscio «di molti cristiani, pregare è un’occupazione incompatibile con tutto ciò che hanno da fare» (ibidem 2726), pochissimi sanno che quando i casi si aggrovigliano, quando tutto sembra svanire, quando i problemi si assommano o diventano disperati allora è il caso di piegare le ginocchia: «Intercedere, chiedere in favore di un altro, dopo Abramo, è la prerogativa di un cuore in sintonia con la misericordia di Dio. Nel tempo della Chiesa, l’intercessione cristiana partecipa a quella di Cristo: è espressione della comunione dei santi. Nell’intercessione, colui che prega non cerca solo “il proprio interesse, ma anche quello degli altri” [Fil 2,4], fino a pregare per coloro che gli fanno del male [Cf Stefano che prega per i suoi uccisori, come Gesù: cf At 7,60; Lc 23,28; Lc 23,34]. Le prime comunità cristiane hanno intensamente vissuto questa forma di condivisione [Cf At 12,5]. L’Apostolo Paolo le rende così partecipi del suo ministero del Vangelo [Cf Ef 6,18-20; Col 4,3-4; 1Ts 5,25], ma intercede anche per esse [Cf Fil 1,3-4; Col 1,3; 2Ts 1,11]. L’intercessione dei cristiani non conosce frontiere: “per tutti gli uomini [. . .] per tutti quelli che stanno al potere” [1Tm 2,1], per coloro che perseguitano [Cf Rom 12,14], per la salvezza di coloro che rifiutano il Vangelo [Cf  Rom 10,1]» (ibidem 2635-2636).
Prima di lanciarsi in molteplici attività caritative, il credente dovrebbe imparare a farle precedere, accompagnare, seguire dalla preghiera. L’esempio l’ha dato Gesù: Egli prega prima di iniziare la vita pubblica, prima di scegliere i suoi compagni, prega prima di trasfigurarsi sul monte, prega nell’Orto degli ulivi prima di consegnarsi nelle mani degli aguzzini, quando è issato sulla Croce prega per i suoi crocifissori, per il mondo intero.
Ivan Turgenev, lo scrittore russo più apprezzato e conosciuto nell’Europa del XIX secolo, ebbe a dire: «Per qualunque cosa un uomo preghi, egli prega per un miracolo. Ogni preghiera si riduce a questo: “Dio onnipotente, fai che due per due non faccia quattro”». Per il credente questa preghiera è vera, perché il buon Dio, nell’operare nella storia dell’uomo, spesso ignora la tavola pitagorica.


Compostella (Messale per la Vita Cristiana): Bisogna considerare lo scriba del passo del Vangelo di Marco con grande benevolenza. Spesso Gesù accusa gli scribi di interessarsi più ai giochi di parole che non ai veri mali dei loro fratelli. Ma nulla di tutto ciò in questo brano. Ecco un uomo che cerca di conoscere. È un uomo alla ricerca di Dio, un uomo che vuole sapere come potere raggiungere Dio con sicurezza. Questo significa la sua domanda su quale sia il comandamento più importante. Gesù gli risponde in modo relativamente prevedibile, ma che va all’essenziale. Da tutta la Legge, ricava il solo comandamento che dà lo spirito della Legge stessa. Questo comandamento è divenuto una preghiera (Dt 6,4-5) che bisogna avere sempre nel proprio cuore, nella propria mente, nelle proprie mani e nella propria casa. Gesù vi aggiunge la necessità di metterlo in pratica, mediante quell’amore per il prossimo che permette a ciascuno di verificare se ama davvero Dio (1Gv 4,20). Lo scriba allora, felice di essere riconfortato nella propria fede, si felicita con Gesù. Ecco l’uomo che si complimenta con Dio, l’uomo che è contento di ritrovarsi in accordo con Dio. Non è commovente questo vecchio saggio che si complimenta con il giovane Rabbì, senza nemmeno sospettare che è con Dio stesso che si complimenta? Gesù ne è commosso. Accoglie con gioia l’osservazione di quest’uomo che è un vero credente, senza risparmio (Gv 1,47). Allora, gli apre il regno.
Gesù risponde alle sue lodi con un’osservazione che ciascuno di noi vorrebbe sentirsi fare. Conferma lo scriba nella sua fede e, dandogli una garanzia come non ce ne sono altre, lo rassicura che non si sta sbagliando.


Tadeusz Laska: Uno scriba ascolta attentamente la discussione di Gesù con i Sadducei (Mc 12,18-27). Non solo è convinto dell’esattezza degli argomenti di Gesù, ma ne è soggiogato. Allora si avvicina a Gesù con una domanda. Contrariamente agli altri, espone chiaramente la sua difficoltà: «Qual è il primo di tutti i comandamenti ?». Problema imbarazzante. All’epoca se ne contavano fino a 613, di cui 365 divieti e 248 ordini. E le opinioni su quale fra essi fosse il più importante e quale il meno importante erano divergenti. Il problema è stato risolto una volta per tutte da Gesù. Lo scriba è dello stesso parere: quando loda Gesù e giustifica la sua risposta, è come se noi ascoltassimo le parole di Osea: «Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (Os 6,6).
La nostra difficoltà risiede in altro: siamo così abituati alla risposta di Gesù che essa non giunge fino alla nostra coscienza, non risveglia in noi un’eco vivente; per questo motivo non siamo in grado di vederne l’importanza. In un mondo in cui la parola «amore» è così abusata da poter indicare anche l’egoismo, il desiderio, gli istinti più bassi, Gesù parla dell’amore che ha la sua origine in Dio. Amarlo al di sopra di ogni cosa significa riconoscere che egli è l’Amore, significa lasciare che egli ci avvolga nel suo amore. Perché allora siamo in grado di trasmettere agli altri qualcosa di quell’amore e di quella gioia che troviamo in Dio. Non si tratta qui di parole o di sentimenti, ma dell’azione, di prestare un servizio e di dare un aiuto reale. Grazie all’amore che io gli do, il mio prossimo sperimenta la potenza reale e tangibile di Dio. Perché solo l’amore di Dio fa sì che la vita sia degna di essere amata.


Benedetto XVI (Angelus, 4 Novembre 2012): Prima di essere un comando - l’amore non è un comando - è un dono, una realtà che Dio ci fa conoscere e sperimentare, così che, come un seme, possa germogliare anche dentro di noi e svilupparsi nella nostra vita.
Se l’amore di Dio ha messo radici profonde in una persona, questa è in grado di amare anche chi non lo merita, come appunto fa Dio verso di noi. Il padre e la madre non amano i figli solo quando lo meritano: li amano sempre, anche se naturalmente fanno loro capire quando sbagliano. Da Dio noi impariamo a volere sempre e solo il bene e mai il male. Impariamo a guardare l’altro non solamente con i nostri occhi, ma con lo sguardo di Dio, che è lo sguardo di Gesù Cristo. Uno sguardo che parte dal cuore e non si ferma alla superficie, va al di là delle apparenze e riesce a cogliere le attese profonde dell’altro: attese di essere ascoltato, di un’attenzione gratuita; in una parola: di amore. Ma si verifica anche il percorso inverso: che aprendomi all’altro così com’è, andandogli incontro, rendendomi disponibile, io mi apro anche a conoscere Dio, a sentire che Egli c’è ed è buono. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili e stanno in rapporto reciproco. Gesù non ha inventato né l’uno né l’altro, ma ha rivelato che essi sono, in fondo, un unico comandamento, e lo ha fatto non solo con la parola, ma soprattutto con la sua testimonianza: la Persona stessa di Gesù e tutto il suo mistero incarnano l’unità dell’amore di Dio e del prossimo, come i due bracci della Croce, verticale e orizzontale. Nell’Eucaristia Egli ci dona questo duplice amore, donandoci Se stesso, perché, nutriti di questo Pane, ci amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amato.
Cari amici, per intercessione della Vergine Maria, preghiamo affinché ogni cristiano sappia mostrare la sua fede nell’unico vero Dio con una limpida testimonianza di amore verso il prossimo.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Se l’amore di Dio ha messo radici profonde in una persona, questa è in grado di amare anche chi non lo merita, come appunto fa Dio verso di noi.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Padre santo e misericordioso,infondi la tua grazia nei nostri cuori,perché possiamo salvarci dagli sbandamenti umani e restare fedeli alla tua parola di vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...