IL PENSIERO DEL GIORNO

10 Marzo 2018

SABATO FERIA III SETTIMANA QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore” (Cfr. Sal 94,8ab).


Dal Vangelo secondo Luca 18,9-14: La parabola evangelica presenta due tipi umani opposti. I farisei, scrupolosi osservanti della Legge, e i pubblicani schedati come peccatori pubblici, gente senza salvezza. La preghiera del fariseo non è accetta a Dio perché sgorga da un cuore infettato dall’orgoglio, mentre il pubblicano è ascoltato e giustificato perché, riconoscendo la propria indegnità, la sua preghiera erompe da un cuore contrito e umiliato. Il valore della preghiera non dipende dalla sua prolissità, ma dalle disposizioni del cuore. La preghiera del povero, spoglia di arroganza e di sedicenti meriti, penetrando le nubi arriva fino al cuore di Dio che è pronto ad intervenire per rendere soddisfazione ai giusti e ristabilire l’equità.


Il fariseo e il pubblicano - Carlo Ghidelli (Luca) - La cornice entro la quale l’evangelista Luca pone la parabola è un insegnamento sull’umiltà (cfr. v. 14: Vi dico... chi invece si umilia sarà esaltato). Due uomini salirono al tempio per pregare, uno era fariseo e l’altro pubblicano. Se la parabola è narrata per riprovare l’operato ipocrita dei farisei, non vuole sottintendere una sentenza di demerito o di condanna sul gruppo storico dei farisei. Occorre, quindi, comprendere il giudizio di Gesù. Egli loda la fede del pubblicano, ma non approva il suo peccato. Il peccatore deve pentirsi e convertirsi (cfr. Mt 3,2; 4,17); deve tendere al possesso di un cuore nuovo e dimostrare il suo pentimento con preghiere, digiuni ed elemosine (cfr. Tob 12,8-9; 1Pt 4,8). Gesù rimprovera l’arroganza dei farisei che con i loro sedicenti meriti credono di potere pilotare il giudizio di Dio e di tirarselo dalla loro parte, ma non disprezza il loro amore per la legge di Dio, la giustizia e lo sforzo di inculcarlo nel cuore degli uomini (cfr. Mt 23,3). Il fariseo stando in piedi... Il fariseo è l’immagine dell’uomo amato, adulato, onorato dal mondo per quello che ha e per quello che fa, per il posto sociale che occupa, e non per quello che è. Digiuno due volte... Il fariseo va al di là delle prescrizioni: digiuna il Lunedì e il Giovedì, mentre questa pratica penitenziale è prescritta una volta all’anno, nel giorno dell’espiazione (Kippur). Così per la decima. La legge comanda il pagamento della decima sui principali prodotti (Dt 14,22-23); il fariseo invece, la paga su tutti i prodotti e per questo si ritiene più giusto degli altri. Il pubblicano... non osava alzare gli occhi al cielo... Sulla sponda opposta il pubblicano, il quale stava a distanza e non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo. I pubblicani sono i “senza legge”, “gente maledetta” (Gv 7,49), o per il mestiere che esercitavano o perché collaborazionisti dell’odiato potere romano. La partita doppia di questo povero uomo non ha voci né di credito né di debito; il pubblicano sa soltanto battersi il petto e chiedere perdono di tutti i suoi peccati: pensieri, parole, opere ed omissioni. E forse nella conta esagerava un po’! Io vi dico... Umiltà, fede, preghiera, penitenza..., queste sono le vie maestre che conducono l’uomo al cuore di Dio e obbligano Dio a volgere il suo sguardo pietoso sulla creatura: «Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola» (Is 66,2). Negli ultimi versetti della parabola possiamo cogliere così «l’idea centrale della parabola e dell’insegnamento di Gesù: ciò che ci rende giusti, graditi a Dio, non sono i nostri meriti, le nostre virtù. Ciò che vi è di nostro in noi ci allontana da Dio, solo ciò che vi è di suo in noi ci avvicina a lui: il suo perdono e la sua grazia, accompagnati, da parte nostra, dalla penitenza e dalla fede».


O Dio, abbi pietà di me peccatore: Catechismo della Chiesa Cattolica 2631: La domanda del perdono è il primo moto della preghiera di domanda (cfr. il pubblicano: «O Dio, abbi pietà di me peccatore», Lc 18,13). Essa è preliminare ad una preghiera giusta e pura. L’umiltà confidente ci pone nella luce della comunione con il Padre e il Figlio suo Gesù Cristo, e gli uni con gli altri: allora «qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui» (1Gv 3,22). La domanda del perdono è l’atto preliminare della liturgia eucaristica, come anche della preghiera personale.


Tornò a casa sua giustificato: Giovanni Paolo II (Omelia, 11 Febbraio 1984): La misericordia di Dio, mediante il perdono, cancella il peccato, ma non toglie la necessità di compensare l’amore divino offeso mediante un’opera espiatrice fondata sulla carità e sul valore infinito dei meriti di Cristo. Il valore dell’indulgenza trae proprio da questo principio - come sapete - la sua ragion d’essere. Il peccato è stato perdonato, ma resta pur sempre una pena da scontare: e l’indulgenza ci aiuta appunto in questo. Essa pero non è il solo aiuto, ma esiste anche un altro mezzo necessario ed efficacissimo per riparare i nostri peccati: il compimento delle opere di misericordia, secondo il chiarissimo insegnamento del Vangelo: noi potremo ottenere misericordia nella misura in cui avremo donato misericordia


Il messaggio della parabola del fariseo e del pubblicano: Veritatis splendor 104: Mentre è umano che l’uomo, avendo peccato, riconosca la sua debolezza e chieda misericordia per la propria colpa, è invece inaccettabile l’atteggiamento di chi fa della propria debolezza il criterio della verità sul bene, in modo da potersi sentire giustificato da solo, anche senza bisogno di ricorrere a Dio e alla sua misericordia. Un simile atteggiamento corrompe la moralità dell’intera società, perché insegna a dubitare dell’oggettività della legge morale in generale e a rifiutare l’assolutezza dei divieti morali circa determinati atti umani, e finisce con il confondere tutti i giudizi di valore. Dobbiamo, invece, raccogliere il messaggio che ci viene dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano (cfr. Lc 18,9-14). Il pubblicano poteva forse avere qualche giustificazione per i peccati commessi, tale da diminuire la sua responsabilità. Non è pero su queste giustificazioni che si sofferma la sua preghiera, ma sulla propria indegnità davanti all’infinita santità di Dio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13). Il fariseo, invece, si è giustificato da solo, trovando forse per ognuna delle sue mancanze una scusa. Siamo così messi a confronto con due diversi atteggiamenti della coscienza morale dell’uomo di tutti i tempi. Il pubblicano ci presenta una coscienza “penitente”, che è pienamente consapevole della fragilità della propria natura e che vede nelle proprie mancanze, quali che ne siano le giustificazioni soggettive, una conferma del proprio essere bisognoso di redenzione. Il fariseo ci presenta una coscienza “soddisfatta di se stessa”, che si illude di poter osservare la legge senza l’aiuto della grazia ed è convinta di non aver bisogno della misericordia.


Sincerità con se medesimi e con Dio: Vincenzo Raffa: II fariseo, preso di mira da Gesù, si riteneva, e magari appariva davanti agli occhi di molti uomini, come il tipico osservante della legge, il puritano, l’esemplare zelante della religione. Ma agli occhi di Cristo era il peggiore peccatore. Eppure si comportava come chi fosse sicuro di aver un grosso credito sul suo conto nella banca di Dio. Gli mancava la capacità o la volontà di es­sere sincero con se stesso e quindi anche con Dio e perciò non pensava d’essere bisognevole della mi­sericordia divina. Il pubblicano invece, pur non privo di numerose ferite morali, non stende un lenzuolo bianco sulle sue piaghe, ma si presenta com’è nel suo nudo squallore. È un uomo sincero. E la sincerità gli merita la riabilitazione.
Per capire l’atteggiamento di Gesù bisogna rifarsi al suo criterio morale ultimo nella valutazione dell’agire umano. Le azioni sono buone o cattive secondo la coscienza che le determina, le intenzioni, il rapporto con Dio, la verità e la purezza del cuore (Mt 5,20-27; 6,1-5; 15,10-20, ecc.).
Gesù non intende in alcun modo prescindere dalla norma oggettiva (Mt 15,3; 22,37, ecc.), ma vuole solo evidenziare il valore determinante della coscienza.


Loreto Ballester: A più riprese, il Vangelo ci spiega che ciò che conta per Dio è il cuore dell’uomo, e, in particolare, Gesù fa notare ai farisei la differenza che esiste tra ciò che nasce dalla verità profonda e ciò che nasce dall’obbedienza ad una legge, obbedienza esteriore ed esatta, ma senza anima. Dio solo può dare la salvezza, e il solo atteggiamento valido nell’uomo è l’apertura a Dio.
La salvezza, la conoscenza di Dio e l’accettazione del legame con lui è prima di tutto un dono che egli ci offre, che noi non possiamo meritare. Maria ha ricevuto pienamente la salvezza, e proclama: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva... » (Lc 1,47-48). Con il suo «Fiat», ella ha aperto il suo cuore e la sua disponibilità all’azione di Dio che le ha chiesto di orientare completamente la sua vita per le vie del regno. Ella si riconosce beata, felice, «perché grandi cose ha fatto in me l’onnipotente»: «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati; ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia ».
Ecco la logica che Gesù ci invita a seguire: servire, riconoscere la necessità della salvezza, offrire gratuitamente quel lo che riceviamo gratuitamente. Crediamo ancora che Dio agisca attraverso le stesse vie? Riconosciamo la presenza privilegiata di Dio in coloro che si riconoscono bisognosi, in coloro che soffrono, in coloro che non sono contenti di se stessi, in coloro che lavorano per la pace? È una logica che si oppone a quella dell’autosufficienza, a quella del disprezzo nei confronti di coloro che sembrano più deboli, a quella della onnipotenza dei notabili. È la logica delle Beatitudini, è la nuova legge di Gesù.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La domanda presuntuosa offende l’Altissimo. Quella umile invece arriva al suo trono con le migliori commendatizie... La preghiera dell’umile penetra le nubi” (Vincenzo Raffa).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro Padre, che nella celebrazione della Quaresima ci fai pregustare la gioia della Pasqua, donaci di approfondire e vivere i misteri della redenzione per godere la pienezza dei suoi frutti. Per il nostro Signore Gesù Cristo...