IL PENSIERO DEL GIORNO

3 Marzo 2018

Sabato FERIA II SETTIMANA QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “Rallegrati, figlio mio, perché tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32 ).


Dal Vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32:  Da sempre abbiamo letto questa pagina evangelica come la parabola del Figlio prodigo, in verità, è la parabola del Padre misericordioso. Infatti a rileggere la parabola il protagonista non è il figlio che se ne va di casa e poi torna abbracciato dal Padre e nemmeno l’altro figlio, quello maggiore, che non sa accettare il comportamento del Padre, ma lui, il Padre, con il suo amore fatto di trepidante attesa per le sorti del figlio scapestrato. Soltanto «il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell’amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l’abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1439). Quindi, l’intento di Cristo, nel raccontare questa parabola, oltre a quello apologetico, è quello di rivelare il cuore e il vero volto del Padre. La parabola vuole aprire una porta ai peccatori: le braccia del Padre sono sempre spalancate per accogliere il figlio che pentito si è messo decisamente in un cammino di conversione e di penitenza.


Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Siamo davanti a una delle parabole più belle di Gesù, nella quale ci viene insegnato ancora una volta che Dio è un Padre buono e comprensivo (cfr Mt 6,8; Rm 8,15; 2 Cor 1,3). Il figlio che chiede la sua parte di eredità è figura dell’uomo che si allontana da Dio a cagione del peccato. In questa parabola “l’essenza della misericordia divina, benché la parola ‘misericordia’ non vi ricorra, viene espressa tuttavia in modo particolarmente limpido” (Dives in misericordia, n. 5).


Un uomo aveva due figli - La parabola alla luce del v. 2 (I farisei e gli scribi mormoravano ...), si pone in un contesto polemico: Gesù se ne serve per annunciare la misericordia divina, ma anche per difendere il suo comportamento.
Ai farisei che lo rimproverano di intrattenersi con i pubblicani, uomini e donne ritenuti peccatori pubblici, Gesù narra tre parabole (la dracma e la pecora perdute e ritrovate, il figlio prodigo) per suggerire che Egli, il Figlio, si comporta nei confronti dei peccatori così come si comporta Dio, il Padre.
Che il giovane chieda e ottenga l’eredità è un fatto insolito, ma tenendo conto della finalità della parabola la richiesta serve a porre l’accento sul peccato del giovane che è paurosamente crescente: alla istanza insana si aggiunge l’allontanamento dalla casa paterna, poi la dissipazione dell’eredità, quindi la fame e il degradante lavoro di porcaio.
In questo mestiere, forse, sta celato il vero peccato del giovane avvalorato dal suo grido rivolto al Cielo: «Padre, ho peccato davanti a te», e dal fatto che la parabola è tesa a difendere la benevolenza di Gesù nei confronti dei pubblicani, ritenuti impuri. La Legge faceva distinzione tra animali puri e animali impuri: «Ogni mammifero puro doveva avere l’unghia spaccata ed essere ruminante. Quelli che presentavano solo l’una o l’altra caratteristica erano esclusi, e di essi vengono nominati in modo specifico tre: la lepre, l’irace e il maiale» (George Cansdale).
Forse Luca annotando il fatto che il giovane si era adattato per fame a fare il mandriano di porci, cioè di animali impuri, voleva dare al lettore un messaggio molto più forte: quello dell’apostasia del giovane, un peccato molto più grave dello sperpero dell’eredità.
Tormentato dalla fame, il giovane rientra in se stesso e toccando con mano il fango in cui era caduto si decide di ritornare tra le braccia del Padre.
Qui l’asse della parabola si sposta facendo della parabola del «figlio prodigo» un’icona e una manifestazione piena dell’amore misericordioso del Padre. Ecco perché essa potrebbe essere definita come la «parabola del Padre misericordioso».
In verità a rileggere la parabola il protagonista non è il figlio che se ne va di casa e poi torna abbracciato dal Padre e nemmeno l’altro figlio, quello maggiore, che non sa accettare il comportamento del Padre, ma lui, il Padre, con il suo amore fatto di trepidante attesa per le sorti del figlio dissoluto.
Quindi, l’intento di Cristo, nel raccontare questa parabola, oltre a quello apologetico, è quello di rivelare il cuore e il vero volto del Padre.
A tradire questa intenzione è quel sottolineare, con vibranti sfumature, la compassione di Dio, un sentimento che svela il mistero della sua misericordia e della sua bontà: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò».
Ebbe compassione... riferito a Dio è un’espressione «molto forte ... infatti, indica il sentimento e l’amore intenso della madre: il verbo nel suo significato originario indica anche il seno o il grembo materno, là dove il figlio prende corpo dal corpo della madre. L’uso di questo verbo spiega perché nella parabola di Luca, manchi la figura della madre. Dio è tutto e nella descrizione che di lui fa la Bibbia attraverso la figura del Padre esaurisce tutto il mondo dell’uomo e tutti gli atteggiamenti che lo qualificano come padre-madre, uomo-donna» (Don Primo Gironi).
Dio è amore infinito, sempre presente; sempre pronto a non lasciare nulla di intentato lì dove c’è un figlio da amare e da perdonare, da custodire e da cercare. Un amore che sa attendere pazientemente anche chi si ostina a non capire l’amore e le sue esigenze (Cf. 2Pt 3,9).
Anche lui, il «figlio maggiore», ritornerà e si convincerà ad entrare in casa, e anche per lui si ammazzerà il vitello grasso e si farà festa. Una speranza che si fa certezza attraverso la Parola di Dio: «l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato [...], perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rom 11,25-29). Il vestito più bello è il segno che il Padre ha perdonato i peccati del figlio: ne ha fatto un fagotto e li ha gettati «in fondo al mare» (Mi 7,19); l’anello e i sandali, che non indossavano gli schiavi, sono il segno inequivocabile della ricuperata figliolanza, della libertà di Figlio (Cf. Gc 2,2). La parabola è un chiaro monito per i farisei di tutti i tempi: invece di scandalizzarsi di Dio che ama teneramente anche i peccatori, sarebbe opportuno scandalizzarsi delle proprie grettezze e dei propri pregiudizi.


Dives in misericordia 5: Nella parabola del figliol prodigo non è usato neanche una sola volta il termine «giustizia», così come, nel testo originale, non è usato quello di «misericordia»; tuttavia, il rapporto della giustizia con l’amore che si manifesta come misericordia viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l’amore si trasforma in misericordia quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta. Il figliol prodigo, consumate le sostanze ricevute dal padre, merita - dopo il ritorno - di guadagnarsi da vivere lavorando nella casa paterna come mercenario, ed eventualmente, a poco a poco, di conseguire una certa provvista di beni materiali, forse però mai più nella quantità in cui li aveva sperperati. Tale sarebbe l’esigenza dell’ordine di giustizia, tanto più che quel figlio non soltanto aveva dissipato la parte del patrimonio spettantegli, ma inoltre aveva toccato sul vivo ed offeso il padre con la sua condotta. Questa, infatti, che a suo giudizio l’aveva privato della dignità filiale, non doveva essere indifferente al padre. Doveva farlo soffrire. Doveva anche, in qualche modo, coinvolgerlo. Eppure si trattava, in fin dei conti, del proprio figlio, e tale rapporto non poteva essere né alienato né distrutto da nessun comportamento. Il figliol prodigo ne è consapevole, ed è appunto tale consapevolezza a mostrargli chiaramente la dignità perduta ed a fargli valutare rettamente il posto che ancora poteva spettargli nella casa del padre. 


La Parabola del figlio prodigo: Benedetto XVI (Angelus 14 Marzo 2010):  Questa pagina di san Luca costituisce un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i tempi. Infatti, che cosa sarebbero la nostra cultura, l’arte, e più in generale la nostra civiltà senza questa rivelazione di un Dio Padre pieno di misericordia? Essa non smette mai di commuoverci, e ogni volta che l’ascoltiamo o la leggiamo è in grado di suggerirci sempre nuovi significati. Soprattutto, questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. Dopo che Gesù ci ha raccontato del Padre misericordioso, le cose non sono più come prima, adesso Dio lo conosciamo: Egli è il nostro Padre, che per amore ci ha creati liberi e dotati di coscienza, che soffre se ci perdiamo e che fa festa se ritorniamo. Per questo, la relazione con Lui si costruisce attraverso una storia, analogamente a quanto accade ad ogni figlio con i propri genitori: all’inizio dipende da loro; poi rivendica la propria autonomia; e infine – se vi è un positivo sviluppo – arriva ad un rapporto maturo, basato sulla riconoscenza e sull’amore autentico.
In queste tappe possiamo leggere anche momenti del cammino dell’uomo nel rapporto con Dio. Vi può essere una fase che è come l’infanzia: una religione mossa dal bisogno, dalla dipendenza. Via via che l’uomo cresce e si emancipa, vuole affrancarsi da questa sottomissione e diventare libero, adulto, capace di regolarsi da solo e di fare le proprie scelte in modo autonomo, pensando anche di poter fare a meno di Dio. Questa fase, appunto, è delicata, può portare all’ateismo, ma anche questo, non di rado, nasconde l’esigenza di scoprire il vero volto di Dio. Per nostra fortuna, Dio non viene mai meno alla sua fedeltà e, anche se noi ci allontaniamo e ci perdiamo, continua a seguirci col suo amore, perdonando i nostri errori e parlando interiormente alla nostra coscienza per richiamarci a sé. Nella parabola, i due figli si comportano in maniera opposta: il minore se ne va e cade sempre più in basso, mentre il maggiore rimane a casa, ma anch’egli ha una relazione immatura con il Padre; infatti, quando il fratello ritorna, il maggiore non è felice come lo è, invece, il Padre, anzi, si arrabbia e non vuole rientrare in casa. I due figli rappresentano due modi immaturi di rapportarsi con Dio: la ribellione e una obbedienza infantile. Entrambe queste forme si superano attraverso l’esperienza della misericordia. Solo sperimentando il perdono, riconoscendosi amati di un amore gratuito, più grande della nostra miseria, ma anche della nostra giustizia, entriamo finalmente in un rapporto veramente filiale e libero con Dio.
Cari amici, meditiamo questa parabola. Rispecchiamoci nei due figli, e soprattutto contempliamo il cuore del Padre. Gettiamoci tra le sue braccia e lasciamoci rigenerare dal suo amore misericordioso. Ci aiuti in questo la Vergine Maria, Mater misericordiae.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato: CCC1468: «Tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia». Il fine e l’effetto di questo sacramento sono dunque la riconciliazione con Dio. Coloro che ricevono il sacramento della Penitenza con cuore contrito e in una disposizione religiosa conseguono «la pace e la serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione dello spirito». Infatti, il sacramento della Riconciliazione con Dio opera una autentica «risurrezione spirituale», restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, di cui il più prezioso è l’amicizia di Dio (cfr. Lc 15,32).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che per mezzo dei sacramenti ci rendi partecipi del tuo mistero di gloria, guidaci attraverso le esperienze della vita, perché possiamo giungere alla splendida luce in cui è la tua dimora. Per il nostro Signore...