IL PENSIERO DEL GIORNO

11 Marzo 2018

IV DOMENICA DI QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “...  chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio ” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni 3,14-21: Gesù preannunzia la sua morte cruenta sulla croce che sarà apportatrice di salvezza all’intero genere umano. Per essere salvati bisognerà «guardare» il Cristo «innalzato» sulla croce (Cf. Num 21,8; Zac 12,10; Gv 19,37), cioè credere che egli è il Figlio unigenito (Cf. Gv 3,18; Zac 12,10). La vita eterna promessa ai credenti (Cf. 2Cor 4,18), è già data loro (Cf. Gv 3,36; 5,24; 6,40.68; 1Gv 2,25), ma si compirà pienamente nella risurrezione (Cf. Gv 6,39-40.54; 11,25-26; Mt 7,14; 18,8; 19,16).


P. Massimo Biocco, o.f.min.cap.: La nostra infedeltà non stanca né mette in scacco l’amore di Dio. Anzi, provoca manifestazioni di carità nuove e sorprendenti. La più alta espressione del suo amore è la misericordia, che Egli ha manifestato attraverso Cristo. Dio ha permesso il peccato per rivelare la sua misericordia, accogliendo l’uomo peccatore nella sua amicizia.
Questo è il tema dominante della Liturgia di questa IV Domenica di Quaresima. La Chiesa lo fa riecheggiare con le parole di Paolo: «Dio, che è ricco di misericordia, mosso dall’immensa carità verso di noi, che eravamo morti per i nostri peccati, ci ha ridonato la vita insieme con Cristo» (Ef 2,4-5). L’amore di Dio non ha bisogno d’essere suscitato e sollecitato dalla bontà delle cose, perché è il suo amore che crea in esse valore e pregio. In particolare, l’uomo non è amato da Dio perché in se stesso amabile, ma diventa amabile perché Dio lo ama. La grandezza insuperabile del suo amore sta in questo, che Egli ama l’uomo in Cristo a partire dalla sua condizione di peccato, cioè quando in lui non c’è nulla di buono, ma solo un atteggiamento di opposizione e di avversione. Ebbene, quest’uomo è stato benedetto e salvato in Cristo! Paolo mette a fuoco il nodo delle meraviglie che Dio ha compiuto con la Incarnazione del Figlio, posto al centro dell’umanità per portare il peso dei suoi peccati e alleggerire l’uomo peccatore. Perché Dio perdona e usa misericordia?
Qualcuno potrebbe pensare che il peccato è perdonato perché è in se stesso perdonabile, cioè poca cosa in sé. Sarebbe sempre lieve la colpevolezza di chi lo commette.
In effetti, Dio non ha minimizzato il peccato e ridotta la malizia e la nefandezza delle colpe dell’uomo, sottraendole al rigore della sua giustizia. Piuttosto ha sollevato le spalle dell’uomo dal peso schiacciante delle sue colpe, per farle gravare su Cristo.
Gesù era il solo che poteva sopportare quel peso ed eliminarlo. Gesù ha pagato per l’uomo, e ha pagato tutto il prezzo esorbitante. Il riscatto dal peccato è costato la morte del Figlio di Dio! Il Padre e il Figlio si sono sottoposti liberamente a quel gesto supremo per la Redenzione del mondo. Per l’uomo è stato il supremo gesto dell’amore. Questo amore si chiama misericordia, la più alta espressione della carità di Dio nei confronti della creatura.


Come Mosè innalzò il serpente nel deserto - Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Il serpente di bronzo, che Mosè aveva innalzato sopra un’asta, era stato il rimedio indicato da Dio per guarire gli Israeliti morsi dai rettili velenosi nel deserto (cfr Nm 21,8-9). Gesù paragona quell’avvenimento con la sua crocifissione, al fine di spiegare il valore del proprio innalzamento sulla Croce, che è salvezza per tutti coloro che la guardano con fede. In tal senso è possibile affermare che già nel buon ladrone diviene attuale il potere salvifico di Cristo sulla Croce: l’uomo riconobbe nel Crocifisso il re d’Israele, il Messia, che gli promette di portarlo immediatamente con sé in paradiso quel medesimo giorno (cfr Lc 23,39-43).
Il Figlio di Dio ha assunto la natura umana per farci conoscere i misteri nascosti della vita divina (cfr Mc 4,11; Gv 1,18; 3,1-13; Ef 3,9) e per liberare dal peccato e dalla morte coloro che lo guardano con fede e amore (cfr Gv 19,37; Gal 3,1), accogliendo la loro croce ogni giorno.
La fede di cui il Signore ci parla non si riduce alla semplice accettazione intellettuale delle verità che egli ci ha insegnato, ma comporta il riconoscimento di Gesù Cristo quale Figlio di Dio (cfr 1 Gv 5,1), la partecipazione alla medesima sua vita (cfr Gv 1,12) e la donazione di sé per amore, rendendoci così simili a lui (cfr Gv 10,27; 1 Gv 3,2). Ma una tale fede è un dono di Dio (cfr Gv 3,3.5-8), al quale dobbiamo chiedere di fortificarla e di accrescerla, come fecero gli apostoli: Signore, “aumenta la nostra fede!” (Lc 17,6). Anche se la fede è un dono divino, soprannaturale e gratuito, essa è in pari tempo una virtù, una buona consuetudine, che ogni persona può esercitare e, dunque, irrobustire vivendola. Ne segue che il cristiano, già in possesso del dono divino della fede, è tenuto con l’aiuto della grazia a fare atti espliciti di fede, in modo che quella virtù cresca sempre più in lui.

Il serpente di bronzo - P. Rosario Scognamiglio o.p.: Applicato alla salvezza realizzata da Gesù, l’ episodio di Num. 4 vi corrisponde per lo meno in tre punti: - primo , come il serpente, così anche Gesù sarà innalzato: il verbo «innalzare» nel vocabolario del IV Vangelo indica contemporaneamente due realtà: l’azione dei carnefici che pongono Gesù sulla croce e lo innalzano, diciamo così, materialmente dalla terra; e per mezzo di quella stessa croce, l’elevazione o glorificazione di Gesù (si leggano i testi: Gv 8,28 e 12,32-33: «Io, quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me»); - secondo, l’azione del guardare che implica una fiducia e speranza di salvezza da parte degli Israeliti morsi nel deserto, corrisponde, nelle parole di Gesù, a credere in lui (v. 15). C’e un credere a Gesù e un credere in Gesù: il primo caso sottolinea l’adesione a quello che Egli dice, alla sua parola (cf. Gv 2,22); il secondo caso (credere in, con l’accusativo) accentua un movimento di piena fiducia nella persona stessa di Gesù: mi abbandono fiduciosamente a Lui, mi fido e confido in Lui.
Questo significato ritorna, nel vangelo di oggi, sia in senso positivo («chiunque crede in lui non muoia», v. 16) sia in senso negativo («perché non ha creduto nel nome - vale a dire nella persona - dell’unigenito Figlio di Dio», v. 18): il che vuol dire che la salvezza come la condanna dipendono in definitiva da questa risposta o rifiuto dell’uomo nei confronti di Cristo. Chi non crede non attende una condanna dal di fuori, è già stato condannato. In certo senso, si è condannato da sé. - terzo punto di corrispondenza: gli Israeliti che guardavano il serpente, restavano in vita, erano preservati cioè dalla morte; nelle parole di Gesù questo «restare in vita» si radicalizza nel possesso della vita eterna. Nel IV Vangelo vivere, vita o vita eterna non indicano semplicemente il prolungarsi della vita oltre la morte, ma il partecipare alla stessa vita (eterna) di Dio. Il che relativizza la morte umana (cf. Gv 11,25).


Vincenzo Raffa: II vangelo di san Giovanni, che oggi parla di luce e di tenebre, è fra gli scritti d Nuovo Testamento che maggiormente fa ricorso questa immagine. Sulla linea del quarto evangelista anche san Paolo.
Luce e tenebre nel linguaggio neotestamentari come anche in quello della tradizione cristiana, sono simboli rispettivamente del mondo divino e di quelli di Satana, di Dio e dell’antidio, di Cristo e dell’anticristo, del bene e del male, della verità e dell’errore, della vita e della morte spirituale.
Per san Paolo chi è senza fede è nelle tenebre dell’idolatria e dell’iniquità, è sotto il giogo di Beliar, cioè di Satana. La fede e la grazia invece costituiscono il regno della luce con Cristo e rendono tempio vivo di Dio (2Cor 6,14-18; cfr. Ef 5,8; 1 Ts 5,5; Col 1,13; At 26,17-18).
La salvezza escatologica, cominciata con Cristo, è il gran giorno che ha superato la notte del paganesimo. Il cristiano deve gettare via le opere delle tenebre e rivestirsi delle armi della luce (Rm 13,12-14).
Nella sua prima lettera san Giovanni vede raffigurato nella luce o nelle tenebre chi ama o odia il fratello, perché l’amore al prossimo è autentico cristianesimo, l’odio è vero paganesimo (1Gv 2,8-11).
La luce vera, la salvezza, la verità è Cristo. Egli impone a ognuno l’opzione fondamentale: luce o tenebre, con lui o contro di lui.
Anche oggi molti uomini scelgono le tenebre, però non hanno il coraggio di presentarsi con il proprio volto scoperto come seguaci del mondo oscuro del male e della menzogna. Ricorrono allora alla maschera della libertà, del progresso, dell’arte, della cultura, della liberazione dell’uomo, dei diritti civili, della democrazia, dell’autonomia, ecc. Coprono così con valori sacrosanti il putridume del loro libertinaggio, della loro miscredenza, del loro materialismo teorico e pratico e di tutti i loro interessi privati e pubblici meno puliti.
Tutti però siamo tentati di colorire di belle apparenze certe nostre segrete intenzioni, perché non sempre operiamo la verità e non sempre ci muoviamo in Dio.

L’escatologia anticipata - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Il monologo di Gesù nella sezione finale contiene diverse affermazioni, che presentano il giudizio e il dono della vita eterna come realtà presenti. Se Gv 3,16s appare ancora generico sul possesso della vita eterna e sull’assenza di rovina, Gv 3,18 è quanto mai esplicito sull’anticipazione di queste realtà escatologiche al momento del confronto con il Figlio di Dio.
« L’“escatologia attualizzata” connessa al fatto che il rivelatore e salvatore escatologico è già venuto, mai come qui è tanto chiaramente percepibile. Il “giudizio” avviene hic et nunc, e si pronuncia in base alla fede o all’incredulità nei riguardi dell’unigenito Figlio di Dio». Chi non crede nella divinità di Gesù è già giudicato e s’incammina verso la rovina eterna, se non si convertirà. «La divinità del Cristo è il punto cruciale, che provoca la divisione tra gli uomini: coloro che la riconoscono e coloro che la negano. La salvezza non è più condizionata solo dall’accettazione del messaggio, ma anche e in primo luogo dal riconoscimento di un dogma».
La salvezza e la condanna sono quindi delle realtà presenti. In Gv 3,18 abbiamo un esempio classico dell’escatologia già realizzata, per cui la vita eterna e il giudizio, che nella tradizione cristiana anteriore erano riservati all’èra futura dopo la morte dei singoli o al ritorno del Cristo glorioso alla fine dei tempi, nel quarto vangelo sono anticipati all’istante dell’incontro con il Verbo incarnato”.
L’escatologia già realizzata nell’èra presente, non è affermata esclusivamente in questo passo: nel quarto vangelo è proclamata di frequente.
“Il giudizio del mondo tenebroso e la condanna del principe di questo mondo è una realtà presente: avviene ora” proclama Gesù (Gv 12,31). Anzi perfino la risurrezione dei morti è considerata un evento presente (Gv 5,25).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Gesù ha pagato per l’uomo, e ha pagato tutto il prezzo esorbitante.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio buono e fedele, che mai ti stanchi di richiamare gli erranti a vera conversione e nel tuo Figlio innalzato sulla croce ci guarisci dai morsi del maligno, donaci la ricchezza della tua grazia, perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore. Per il nostro Signore ...