IL PENSIERO DEL GIORNO

17 Febbraio 2018

SABATO DOPO LE CENERI


Oggi Gesù ci dice: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Luca 5,27-32: Levi preparò a Gesù un grande banchetto nella sua casa, mettersi a tavola con i pubblicani e i peccatori, per la Legge giudaica, significava rendersi impuri. Alle proteste dei farisei, sempiterni scandalizzati di tutti e di tutto quello che non rientrava nel loro modo di pensare, Gesù risponde con un proverbio abbastanza eloquente: Gesù non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, perché diventino giusti attraverso la loro fede in lui (cfr. Gal 2,16), attraverso l’abbandono totale e fiducioso in lui, che «è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rom 4,25).


Non sono venuto a chiamare i giusti: CCC 588: Gesù ha scandalizzato i farisei mangiando con i pubblicani e i peccatori con la stessa familiarità con cui pranzava con loro. Contro quelli tra i farisei «che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri» (Lc 18,9), Gesù ha affermato: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,32). Si è spinto oltre, proclamando davanti ai farisei che, essendo il peccato universale, coloro che presumono di non avere bisogno di salvezza, sono ciechi sul proprio conto.


La misericordia di Dio nel centro del Vangelo - I Giorni del Signore (Commento delle Letture Domenicali): La misericordia di Dio forma la trama di tutta la storia della salvezza e dell’alleanza fin dalle loro origini. Essa è l’oggetto della fede, della speranza e dell’azione di grazie cantate a gara dai salmi, preghiere ispirate che i credenti di ogni tempo hanno fatto proprie e ridicono sempre con fervore.
Questa misericordia divina, Gesù l’ha insegnata in tutti i modi, e non solo con le parole. Egli ne è l’immagine vivente, l’incarnazione. Il suo modo di accogliere i peccatori, andare verso di loro, condividere l’intimità significativa della loro mensa ha rivelato agli occhi di tutti il Dio di misericordia. Credere in lui è ritrovare la speranza indefettibile nell’avvento della salvezza offerta a tutti, perché lui, Gesù nostro Signore, «si è consegnato per le nostre colpe» e perché egli è «risorto per la nostra giustificazione».
La Chiesa, comunità di peccatori ai quali Dio ha concesso la sia misericordia, deve, seguendo l’esempio del Signore, annunciare la buona novella e renderla visibile col proprio modo di essere, di comportarsi verso i peccatori e i pubblicani.
Proclamati durante la celebrazione dell’eucaristia, i testi biblici di questa domenica prendono tutto il loro rilievo. Nel momento di comunicarci - «Beati gli invitati alla cena del Signore» - noi diciamo: «O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa». Non basta dirlo. Occorre comportarsi conformemente a ciò che si è, e agire come colui che si riceve: il corpo del Cristo che ha mangiato coi peccatori e i pubblicani, che tiene la tavola imbandita per quei peccatori e pubblicani che noi siamo. Dire «Amen» ricevendo la comunione è rispondere all’invito: «Seguimi, sii nella Chiesa e nel mondo testimone della mia misericordia».


La misericordia di Dio e del Salvatore CARLO TOMASINI (Misericordia in Schede Bibliche Pastorali, EDB): Sul tema della misericordia di Dio, il Nuovo Testamento riprende l’insegnamento dell’Antico Testamento. Anzi, nel Nuovo Testamento l’attributo divino della misericordia acquista particolare rilievo, perché la buona novella, l’evento salvifico giunto al suo compimento in Cristo, è appunto una rivelazione di misericordia. Maria, nel Magnificat, canta con le parole dei salmi la misericordia divina manifestatasi in lei (Lc. 1,50); questa misericordia viene legata alla sua fedeltà, e quindi richiama l’idea del patto: «Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua mise­ricordia» (Lc. 1,54).
Di questa misericordia si dice che Dio è “ricco” (Ef. 2,4); questa misericordia viene detta “grande” (1Pt. 1,3). La misericordia divina si manifesta con l’aiuto nelle necessità fisiche; così l’uomo che era stato indemoniato viene esortato ad annunciare come frutto della misericordia divina la sua guarigione (Mc. 5,19). Il ministero apostolico di Paolo viene più volte descritto come un frutto della divina misericordia, che liberamente lo ha chiamato e lo ha scelto per fare di lui una manifestazione di essa (1Cor. 7,25; 2Cor. 4,1); uno scorcio particolarmente suggestivo di questa riflessione di Paolo su se stesso come oggetto di misericordia e sul significato di questa misericordia lo troviamo nella 1Timoteo: “Io che per l’innanzi ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo lontano dalla fede; e la grazia del nostro Signore ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che sono in Cristo Gesù. È sicura questa affermazione e degna di essere accettata: Cristo Gesù venne nel mondo per salvare i peccatori, e di questi il primo sono io! Ma fu usata misericordia con me, perché Gesù Cristo volle dimostrare in me, per primo, tutta la sua longanimità, ad esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1Tim. 1,13-16).
La misericordia divina è vista qui in quella che ne è la manifestazione più tipica, il perdono dei peccati. Ne viene vista l’espressione fondamentale, l’evento salvifico della redenzione di Cristo; e la chiamata dell’apostolo che era stato persecutore viene vista come un esempio di questo appello misericordioso ai peccatori. Una più profonda riflessione teologica sulle caratteristiche della misericordia divina si trova in Rom. 9,15-22. Si riprendono qui dei testi e delle tematiche dell’Antico Testamento per mostrare che la misericordia divina è assolutamente gratuita, si esercita secondo il divino beneplacito, e non le si può chieder conto dei criteri secondo i quali sceglie i suoi eletti. Tutta la storia della salvezza è vista da Paolo sotto il segno della divina misericordia (Rom. 11,30-32; 15,8; Tito 3,5). Il giudizio finale viene visto come momento di misericordia per i giusti (Mt. 5,7). Cristo viene detto “misericordioso” in Ebr. 2,11.
Tutto il suo atteggiamento si manifesta come una rivelazione della misericordia divina. L’idea del Nuovo Testamento, che presenta Cristo come il rivelatore di Dio, si manifesta particolarmente per quanto riguarda questa caratteristica della misericordia.
Tutto il Nuovo Testamento può essere considerato una rivelazione dell’amore misericordioso di Dio, manifestatosi in Gesù Cristo attraverso la morte redentrice che libera i peccatori dal loro stato di inimicizia con Dio.
Ricordiamo solo un passo che ci manifesta in maniera tipica questo atteggiamento di Gesù verso gli uomini. Richiesto indirettamente dai farisei sulle motivazioni del suo stare a mensa coi pubblicani e coi peccatori, Gesù risponde in Mt. 9,12-13: «Non sono i sani ad avere bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa significhi: Voglio la misericordia e non il sacrificio; non sono venuto infatti a chiamare i giusti ma i peccatori». Una sintesi sul pensiero e i sentimenti di Gesù verso l’umana miseria ci è data nel cap. 15° da Luca, noto come «il vangelo della misericordia».


Conversione ed ingresso nel regno di Dio - J. Gible e P. Grelot: 1. Gesù non si accontenta di annunziare l’approssimarsi del regno di Dio, ma incomincia a realizzarlo con potenza; con lui il regno si inaugura, quantunque esso sia ancora volto verso compimenti misteriosi. Ma l’appello alla conversione lanciato dal Battista conserva nondimeno tutta la sua attualità: Gesù lo riprende in termini propri all’inizio del suo ministero (Mc 1,15; Mt 4,17). Egli è venuto a «chiamare i peccatori alla conversione» (Lc 5,32); questo è uno degli aspetti essenziali del vangelo del regno. L’uomo che prende coscienza del suo stato di peccatore può d’altronde rivolgersi a Gesù con fiducia, perché «il figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati» (Mt 9,6 par.). Ma il messaggio di conversione urta contro la sufficienza umana in tutte le sue forme, dall’attaccamento alle ricchezze (Mc 10,21-25) fino all’orgogliosa sicurezza dei farisei (Lc 18,9). Gesù si leva come il «segno di Giona» in mezzo ad una generazione malvagia, meno ben disposta nei confronti di Dio di quanto lo fosse un tempo Ninive (Lc 11,29-32 par.). Perciò egli pronuncia contro di essa una requisitoria piena di minacce: gli uomini di Ninive la condanneranno al momento del giudizio (Lc 11,32); Tiro e Sidone avranno una sorte meno severa delle città del lago (Lc 10,13ss par.).
Di fatto l’impenitenza attuale di Israele è il segno dell’indurimento del suo cuore (Mt 13,15 par.; cfr. Is 6,10). Se non modificano la loro condotta, gli uditori impenitenti di Gesù periranno (Lc 13,1-5), ad immagine del fico sterile (Lc 13,6-9; cfr. Mt 21,18-22 par.).
2. Gesù, quando esige la conversione, non fa allusione alcuna alle liturgie penitenziali.
Diffida persino dei segni troppo appariscenti (Mt 6,16ss). Ciò che conta è la conversione del cuore che fa ridiventare come bambini (Mt 18,3 par.). È, in seguito, lo sforzo continuo per «cercare il regno di Dio e la sua *giustizia» (Mt 6, 33), cioè per regolare la propria vita secondo la nuova legge. L’atto stesso della conversione è evocato in parabole molto espressive. Implica una volontà di cambiamento morale, ma è soprattutto umile appello, atto di fiducia: «Mio Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18,13). La conversione è una grazia dovuta all’iniziativa divina che previene sempre: è il pastore che muove alla ricerca della pecora smarrita (Lc 15,4ss; cfr. 15,8). La risposta umana a questa grazia è concretamente analizzata nella parabola del figliuol prodigo, che mette in sorprendente rilievo la misericordia del padre (Lc 15,11-32). Infatti il vangelo del regno comporta questa rivelazione sconcertante: «C’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza» (Lc 15,7.10). Anche Gesù riserva quindi ai peccatori un’accoglienza che scandalizza i farisei (Mt 9,10-13 par.; Lc 15,2), ma provoca conversioni; ed il vangelo di Luca si compiace nel riferire in modo particolareggiato taluni di questi ritorni, come quello della peccatrice (Lc 7,36-50) e  quello di Zaccheo (19,5-9).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** L’uomo che prende coscienza del suo stato di peccatore può rivolgersi a Gesù con fiducia, perché «il figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati» (Mt 9,6 par.).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Guarda con paterna bontà, Dio onnipotente, la debolezza dei tuoi figli, e a nostra protezione e difesa stendi il tuo braccio invincibile. Per il nostro Signore Gesù Cristo...